E’ sicuramente uno degli angoli di Toscana turisticamente meno noti. Forse perché quando parli di Prato inevitabilmente pensi ad altro. Pensi soprattutto alla vocazione industriale legata alla lavorazione della lana di di questa città.
La piccola e giovane provincia toscana invece, non è solo telai, rocchette e ciminiere ed oltre a fregiarsi di questa piana operosa e di una zona collinare di tutto rispetto feconda di buon vino e ricca di vestigia rinascimentali, vanta anche un territorio appenninico, che s’incunea fra la province di Pistoia e Firenze che non t’aspetti.
E’ la Val Bisenzio che comprende in toto e in parte i comuni di Cantagallo, Vaiano, Vernio e Montemurlo e che sorpende il visitatore meno distratto appena lasciata la città laniera alle spalle, quando, percorrendo la statale 325 ci s’inerpica curvando sinuosamente in direzione di Bologna risalendo il corso del fiume Bisenzio, che ci fa compagnia per tutto il percorso scavando una stretta vallata fatta di gole suggestive che funge da spartiacque fra l’Appennino e il massiccio carsico della Calvana.
Una zona dove domina il verde, in tutte le sue sfumature cromatiche, una zona albero della cuccagna per tutti gli amanti del trekking e della natura.
Aree verdi e di pregio dicevamo, fra cui su tutte, spicca la Riserva Naturale dell’Acquerino a Cantagallo dove risiede una numerosa comunità di cervi (circa 1000 esemplari) e dove esiste un fitto reticolato di ruscelli e piccoli corsi d’acqua che vanno ad alimentare il fiume Bisenzio che proprio all’ombra di questi boschi ha la sua sorgente.
Anche gli appassionati di storia hanno più di un buono motivo per scoprire questa vallata che, data la sua strategica posizione a guardia del passaggio appenninico era frequentata fin dall’antichità. I primi insediamenti di cui si ha notizia probabilmente, furono realizzati dai romani che li affidarono a coloni assegnatari di terre contese ai Galli; tra questi possiamo trovare le origini di Vernio, dove si suppone svernassero le milizie romane dirette nella Gallia Cisalpina, il cui nome deriverebbe appunto dall’espressione “hibernia” (accampamenti invernali) oppure dall’espressione “verus” (primaverile). Dopo i romani fu la volta dei bizantini e dai longobardi che proprio in Val Bisenzio decisero di fermarsi. Facendo un salto nei secoli possiamo affermare poi che, proprio in questa valle si è originata la fortuna di Prato. Iniziò qui infatti, nel XII secolo, la lavorazione della lana sviluppatasi grazie alla presenza del fiume che forniva l’acqua idispensabile alla sgrassatura della lana. Col tempo la lavorazione assunse “dimensioni industriali”; furono scavate gore che deviavano l’acqua del Bisenzio per muovere i macchinari. Su quelle stesse gore vennero poi costruiti anche numerosi mulini per macinare il grano ed altri cereali.
Anche i big della storia hanno bazzicato questa valle. Quanto ci sia di verità e quanto di leggenda non ci è dato sapere, ma è affascinante credere che anche Dante Alighieri percorse qusta strada. Lo fece in una fredda sera d’inverno quando, esiliato da Firenze cercava di raggiungere Bologna, ma fu sorpreso da una forte nevigata e cercò invano rifugio alla Rocca di Cerbaia, proprietà degli Alberti che si rifiutarono di aprire le porte al celebre viandante. Fatto sta che il vendicativo sommo poeta ha posto i due fratelli Alberti (Alessandro e Napoleone) nel suo XXXII canto dell’Inferno…Da qui la leggenda.
L’integrità naturalistica di questo luogo che quasi sorprende è dovuta a quella che fino a poco tempo fa si considerava una sua sfortuna. Ovvero l’esser stata questa parte di Appennino tosco-romagnolo di fatto, per oltre 50 anni, quasi totalmente isolatata ed abbandonata sia da parte degli abitanti – che per cercare nuove occupazioni nel settore tessile, abbandonarono le zone per trasferirsi nelle aree produttive della Val di Bisenzio e Prato – sia da parte della viabilità di massa che per scavalcare l’Appennino è andata a cercarsi strada in Mugello, là, oltre la Calvana..
Le grandi foreste di faggi, tra cui spicca il famoso “Faggione di Luogomano”, una pianta secolare eccezionale per grandezza e forma la cui chioma copre una superfice di 600 metri quadri, i boschi misti di latifoglie (querce e carpini) e gli ampi castagneti lasciano quindi oggi respirare a pieni polmoni la genuinità intonsa di un angolo di Toscana tutto da scoprire e che sorprenderà anche il turista più smaliziato.
Pr concludere, dato che le gite che non vi negherete fra i sentieri di queste foreste (tutti ottimamente segnalati) vi faranno venire sicuramente fame eco allora che avrete l’opportunità di entrete in contatto anche con la genuinità e la tipicità dei prodotti che questa terra offre: su tutto la castagna e i suoi derivati come la farina dolce che ancora viene prodotta come una volta nei tanti mulini presenti sul territorio, poi gli allevamenti della mucca di razza calvana ed infine l’ottimo olio e l’eccelso miele.
Scoprite cosa c’è alle spalle dell’industriale Prato, ne sarete sorpresi, ma felici.E’ sicuramente uno degli angoli di Toscana turisticamente meno noti. Forse perché quando parli di Prato inevitabilmente pensi ad altro. Pensi soprattutto alla vocazione industriale legata alla lavorazione della lana di di questa città.
La piccola e giovane provincia toscana invece, non è solo telai, rocchette e ciminiere ed oltre a fregiarsi di questa piana operosa e di una zona collinare di tutto rispetto feconda di buon vino e ricca di vestigia rinascimentali, vanta anche un territorio appenninico, che s’incunea fra la province di Pistoia e Firenze che non t’aspetti.
E’ la Val Bisenzio che comprende in toto e in parte i comuni di Cantagallo, Vaiano, Vernio e Montemurlo e che sorpende il visitatore meno distratto appena lasciata la città laniera alle spalle, quando, percorrendo la statale 325 ci s’inerpica curvando sinuosamente in direzione di Bologna risalendo il corso del fiume Bisenzio, che ci fa compagnia per tutto il percorso scavando una stretta vallata fatta di gole suggestive che funge da spartiacque fra l’Appennino e il massiccio carsico della Calvana.
Una zona dove domina il verde, in tutte le sue sfumature cromatiche, una zona albero della cuccagna per tutti gli amanti del trekking e della natura.
Aree verdi e di pregio dicevamo, fra cui su tutte, spicca la Riserva Naturale dell’Acquerino a Cantagallo dove risiede una numerosa comunità di cervi (circa 1000 esemplari) e dove esiste un fitto reticolato di ruscelli e piccoli corsi d’acqua che vanno ad alimentare il fiume Bisenzio che proprio all’ombra di questi boschi ha la sua sorgente.
Anche gli appassionati di storia hanno più di un buono motivo per scoprire questa vallata che, data la sua strategica posizione a guardia del passaggio appenninico era frequentata fin dall’antichità. I primi insediamenti di cui si ha notizia probabilmente, furono realizzati dai romani che li affidarono a coloni assegnatari di terre contese ai Galli; tra questi possiamo trovare le origini di Vernio, dove si suppone svernassero le milizie romane dirette nella Gallia Cisalpina, il cui nome deriverebbe appunto dall’espressione “hibernia” (accampamenti invernali) oppure dall’espressione “verus” (primaverile). Dopo i romani fu la volta dei bizantini e dai longobardi che proprio in Val Bisenzio decisero di fermarsi. Facendo un salto nei secoli possiamo affermare poi che, proprio in questa valle si è originata la fortuna di Prato. Iniziò qui infatti, nel XII secolo, la lavorazione della lana sviluppatasi grazie alla presenza del fiume che forniva l’acqua idispensabile alla sgrassatura della lana. Col tempo la lavorazione assunse “dimensioni industriali”; furono scavate gore che deviavano l’acqua del Bisenzio per muovere i macchinari. Su quelle stesse gore vennero poi costruiti anche numerosi mulini per macinare il grano ed altri cereali.
Anche i big della storia hanno bazzicato questa valle. Quanto ci sia di verità e quanto di leggenda non ci è dato sapere, ma è affascinante credere che anche Dante Alighieri percorse qusta strada. Lo fece in una fredda sera d’inverno quando, esiliato da Firenze cercava di raggiungere Bologna, ma fu sorpreso da una forte nevigata e cercò invano rifugio alla Rocca di Cerbaia, proprietà degli Alberti che si rifiutarono di aprire le porte al celebre viandante. Fatto sta che il vendicativo sommo poeta ha posto i due fratelli Alberti (Alessandro e Napoleone) nel suo XXXII canto dell’Inferno…Da qui la leggenda.
L’integrità naturalistica di questo luogo che quasi sorprende è dovuta a quella che fino a poco tempo fa si considerava una sua sfortuna. Ovvero l’esser stata questa parte di Appennino tosco-romagnolo di fatto, per oltre 50 anni, quasi totalmente isolatata ed abbandonata sia da parte degli abitanti – che per cercare nuove occupazioni nel settore tessile, abbandonarono le zone per trasferirsi nelle aree produttive della Val di Bisenzio e Prato – sia da parte della viabilità di massa che per scavalcare l’Appennino è andata a cercarsi strada in Mugello, là, oltre la Calvana..
Le grandi foreste di faggi, tra cui spicca il famoso “Faggione di Luogomano”, una pianta secolare eccezionale per grandezza e forma la cui chioma copre una superfice di 600 metri quadri, i boschi misti di latifoglie (querce e carpini) e gli ampi castagneti lasciano quindi oggi respirare a pieni polmoni la genuinità intonsa di un angolo di Toscana tutto da scoprire e che sorprenderà anche il turista più smaliziato.
Pr concludere, dato che le gite che non vi negherete fra i sentieri di queste foreste (tutti ottimamente segnalati) vi faranno venire sicuramente fame eco allora che avrete l’opportunità di entrete in contatto anche con la genuinità e la tipicità dei prodotti che questa terra offre: su tutto la castagna e i suoi derivati come la farina dolce che ancora viene prodotta come una volta nei tanti mulini presenti sul territorio, poi gli allevamenti della mucca di razza calvana ed infine l’ottimo olio e l’eccelso miele.
Scoprite cosa c’è alle spalle dell’industriale Prato, ne sarete sorpresi, ma felici.
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