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Tutti belli vergati in nero e ordinatamente elencati sul foglio appoggiato in ognuna delle sedute del banco d’assaggio riservato, in anteprima delle Anteprime ai giornalisti toscani specializzati dell’associazione Aset (Associazione Stampa Enogastroalimentare Toscana).
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Forse anche un po’ troppi se da degustarsi tutti in fila, l’uno dietro l’altro, nel breve volgere di poche ore anche per i più “allenati”.
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Da Igt Toscana (anche bianchi e un rosato) ai Chianti Colli Fiorentino e alle Riserve per concludere con una bollicina e tre Vin Santo.
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Tutti rigorosamente celati e identificati solo da un numero identificativo perché la degustazione è alla cieca (per gli anglofoni un blind tasting) ovvero un’ottima idea per un consorzio che cerca di emergere, seppur senza gomitare, nel panorama (fin troppo) vasto delle denominazioni toscane enoiche.
Occhio non vede etichetta e solo testa, occhio, naso, bocca e cuore giudica senza condizionamento.
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I giornalisti messi alla (dura) prova dell’assaggio dei campioni d’annata 2020 e 2021 tutti più o meno concentrati a scorgere sfumature, odorare sentori e degustare tannini.
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Le ore necessarie per completare la degustazione, seppur con pause e il deliziosissimo lunch finale offerto dai meravigliosi padroni di casa: Roberta Chini e Maurizio Mazzantini che hanno messo a disposizione degli enogiornalisti il loro bellissimo salone con affaccio sulle vigne del loro Marzocco di Poppiano.
0, ovvero non dichiarati per scelta i preferiti
Chi vi scrive per rendere onore al Consorzio che si vuole sempre più identificare come vino di Firenze e che è stato poco tempo fa il protagonista di un protocollo d’intesa con le amministrazioni comunali per valorizzarsi e lanciarsi nel mercato del post covid non darà giudizi personali anche se ha ben chiari i suoi preferiti.
Lo faccio perché è l’insieme che fa la forza ed è l’insieme che deve emergere come si spertica sempre a sottolineare anche il Presidente del Consorzio Marco Ferretti che da fiorentino d’importazione si è preso sulle spalle il duro compito di dare omogenità, almeno nell’immagine e sfruttando il forte brand Firenze ad un consorzio che stenta da anni ad emergere a causa della sua naturale difficoltà ad avere una linea comune nel bicchiere.
Ferretti ha capito che sono altre le carte da giocare poichè il Chianti Colli Fiorentini che con i suoi vigneti abbraccia ad anello la città del giglio sparpagliandosi fra molti comuni diversi (ah il campanilismo!), su suoli molto diversi e con esposizioni diverse stenta a trovare giocoforza un allineamento nel bicchiere.
Una forza più che una debolezza questa se ben giocata.
Il rischio subdolo a cui sono andate infatti incontro denominazioni più blasonate (soprattutto nell’ultimo decennio del Novecento e nel primo del Duemila) è in nome di un allineamento trovare invece un appiattimento che se sul mercato internazionale permette di vendere meglio penalizza quello interno (tornato in auge dopo la pandemia) e le territorialità specifiche.
Il Consorzio Chianti Colli Fiorentini è consapevole di essersi avviato per una strada in salita, ma se la salita viene affrontata con lo spirito del gregario, mettendosi in dubbio ad ogni pedalata (leggi annata) nella consapevolezza che il vino del futuro deve affrontare i cambiamenti climatici già presenti nelle bottiglie la vetta può diventare vicina.
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