In Abruzzo il coordinamento Agricoltori e Pescatori Italiani in difesa della natura

In Abruzzo il coordinamento Agricoltori e Pescatori Italiani in difesa della natura

Il Coordinamento Agricoltori e Pescatori Italiani (Coapi) ha aperto a Sulmona il programma di iniziative della cinque giorni dedicata al “Diritto a produrre e diritti ambientali”, occasione di riflessione e proposta quanto mai opportuna all’indomani dell’approvazione definitiva del Regolamento Ue sulla Restaurazione della Natura.


Sì all’agroecologia e la giustizia ambientale

L’evento di Sulmona, centrato sul “No al rewilding – Si alla tutela della Natura e delle Attività agropastorali”, si è aperto con un presidio davanti alla sede operativa del Parco Nazionale della Maiella a Sulmona ed è proseguito con un incontro all’Eremo di Sant’Onofrio, occasioni per definire i contenuti che contribuiranno, alla fine delle giornate di mobilitazione, a comporre il capitolo dedicato all’ambiente del documento finale della campagna di mobilitazione dei #99giorni.
All’interno del presidio si è tenuta la Conferenza stampa cominciata con un minuto di silenzio in segno di lutto per la tragica morte di Satnam Singh nelle campagne di Latina e di Pierpaolo Bodini, morto ieri nelle campagne di Brembio in Lombardia, per testimoniare come gli agricoltori che si stanno battendo per l’agroecologia e la sovranità alimentare come strumenti per affermare la giustizia ambientale sono i primi a rivendicare il rispetto della dignità e dei diritti del lavoro (dei braccianti, degli agricoltori e dei pescatori artigianali) come prima garanzia per il rispetto dei diritti sociali ed economici.


No alla mummificazione del territorio

Nella Conferenza stampa il Coapi ha ribadito come la protezione dell’ambiente naturale non può risolversi in una “mummificazione del territorio”.
Da qui il no deciso al Rewilding, “un’idea
antistorica, che non tiene conto della presenza dell’uomo come parte dell’ambiente naturale e della sua capacità di gestirlo, manutenerlo e viverlo”.
Obiettivi di grande attualità in Abruzzo, dove
la convivenza con tre parchi nazionali (Maiella, interregionale di Abruzzo, Lazio e Molise, Gran Sasso e Monti della Laga) e il parco regionale del Sirente – Velino diventa sempre più complessa, per i vincoli crescenti che limitano di fatto la costruzione di un sano equilibrio tra attività umane e natura.


Due
specie in via di estinzione: l’orso e il pastore

Dopo il presidio, in cui sono intervenuti in diversi, l’iniziativa si è spostata per la redazione di un documento di proposte (che saranno assunte nel documento generale della campagna dei #99giorni) all’Eremo di Sant’Onofrio, luogo di alto valore simbolico voluto da Papa Celestino V, che abitò la Maiella in armonia con la natura, primo a costruire un percorso di gestione della montagna.
Dino Rossi del Cospa Abruzzo, in conferenza stampa ha dichiarato: “Il presidio di oggi a Sulmona prelude ad un convegno che terremo presto a Pescasseroli, alla Tana del Lupo, sede del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
La questione che intendiamo porre è che oggi abbiamo due
specie in via di estinzione, l’orso e il pastore.
Perché in questi lunghi anni la specie minacciata di
estinzione (orso bruno marsicano) consta sempre dei soliti 50 esemplari, mentre sono stati spesi tanti soldi dal Parco senza riuscire a tutelare realmente la specie?
Noi chiediamo un Parco a misura
di orso, perché questo plantigrado purtroppo entra in competizione alimentare con cervi, che si muovono anche in branchi di 400 esemplari, e cinghiali, che ormai sono ovunque, popolazioni di ungulati che ad oggi, proprio perché non gestite, vanificano ogni forma di protezione dell’orso stesso. Il tutto, mentre il Parco vuole includere nelle aree protette gli usi civici, un esproprio vero e proprio, nei luoghi da sempre dedicati soprattutto al pascolo, e al tempo stesso si chiede all’allevatore una procedura complessa, costosa e con un fortissimo e irragionevole appesantimento burocratico come la valutazione d’incidenza ambientale per autorizzarlo al pascolo e alla tenuta stessa dell’allevamento.”

La burocrazia contro il mondo rurale

Andrea Marsili, del Cospa Abruzzo, sottolinea: “Il Parco della Maiella è un geoparco Unesco, la
presenza di ominidi è testimoniata in questi territori praticamente da sempre, ma oggi lo spopolamento minaccia seriamente la presenza dell’uomo.
Un processo in accelerazione spinto da
sempre nuovi vincoli ambientali; servono sempre più carte e burocrazia per pascolare le pecore, una forma di colpevolizzazione della presenza umana che è ormai straripante e che è ingiustificata: abbiamo da sempre manutenuto e custodito il territorio.” Marsili sottolinea l’esigenza di un dialogo fino ad ora mancato con gli enti parco, al fine di “Partecipare alla stesura dei regolamenti e degli impianti normativi, questo vogliamo attuare, attraverso un’azione che intendiamo sviluppare lungo tutto l’Appennino a partire dal contributo che daremo oggi dall’Eremo di Sant’Onofrio.

Perché dobbiamo scongiurare la dinamica davanti ai nostri occhi che pretende di bloccare la storia umana in questi territori. Noi vogliamo restare qui con una nuova agricoltura e una nuova
pastorizia”.


Il futuro: parchi eolici al posto delle greggi?

In Abruzzo, ai tempi della transumanza lungo il tratturo magno L’Aquila – Foggia c’erano tra i 2 ed i 3 milioni di pecore, nel 2017 gli ovini erano rimasti in 200mila unità, oggi sono 150mila, segno che l’attività di imprenditore armentario rischia di scomparire, con tutte le sue produzioni.
Alessandro Novelli, Rete Interregionale GPS invece affronta un altro argomento, quello dei crediti di carbonio: “Come agricoltori produciamo molto più ossigeno di quanto ne consumiamo con la produzione di CO2, ma la normativa europea per farci accedere al mercato dei crediti di carbonio come venditori, vuole che le nostre aziende siano ancora più performanti e quindi ci chiede di fare ulteriori investimenti lì dove già la capacità di investire degli agricoltori è stata ridotta dalla crisi economica in atto.
D’altro canto l’industria che acquista i nostri crediti di carbonio e che dispone di
ingenti capitali non è incentivata a ridurre realmente le proprie emissioni, che contribuiranno nel
tempo a rendere il clima e l’esercizio dell’agricoltura sempre più difficile e rischioso.”
Da qui
Novelli conclude: “Anche la cessione di crediti di carbonio oggi da parte di noi agricoltori al settore industriale si pone nel lungo periodo come una forma di finanziarizzazione del danno ambientale presente e soprattutto futuro che subiamo e che subiremo; un mercato illogico, per cui gli eventuali profitti di oggi consumano l’unico capitale vero di cui ogni agricoltore dispone: la terra coltivabile.”
Anche questo un tema che viene posto con forza in vista della redazione del
documento ambientale del Coapi. Gianni Fabbris, portavoce del Coapi conclude: “Vogliamo con le nostre iniziative scongiurare un
rischio ormai concreto: entro i prossimi 20 anni i 2/3 della popolazione italiana vivrà nelle città, e solo 1/3 risiederà nei territori rurali. Ma a cosa serviranno a questo punto i territori rurali, luoghi nei quali coltivare solo parchi eolici, visto che la produzione di cibo sarà stata abbandonata?
Resteranno solo per essere visitati nei wekend dai turisti provenienti dalle città selvaggia e inaccessibile ma da dove non si produrrà più il cibo, la cui produzione sarà delegata dal capitale finanziario a luoghi lontani devastati da modalità intensive, estrattive e industriali. Uno scenario che non vogliamo si avveri e che intendiamo scongiurare.”

I vini che parlano d’amore (nell’etichetta)

I vini che parlano d’amore (nell’etichetta)

Messaggi d’amore in bottiglia, o meglio, in etichetta. Non solo per San Valentino il giorno più romantico dell’anno, ma per ogni occasione in cui volete stupire il vostro partner ecco il suggerimento di due etichette sentimentali e sognanti fin dal nome.

“Ho scritto t’amo sulla sabbia” e sull’etichetta…

Il primo vino è Ho scritto t’amo sulla sabbia de Le vigne di San Pietro una piccola isola tra le colline moreniche del Garda di circa 10 ettari nata nel 1980 per volere di Sergio e Franca Nerozzi e oggi guidata dal figlio Carlo. Un vino ottenuti da uve Corvina al 100% che al naso ricorda la pesca animata da tocchi di mentuccia fresca, mentre al palato conquista con la sua grande sapidità e un finale decisamente balsamico, punteggiato da note di liquirizia.
Un vino teso che chiama la beva, facilissimo da bere ma tutt’altro che semplice, dal perlage sottile e dal bel colore rosa antico. Da bere come aperitivo o con piatti delicati, come il pesce crudo o una leggera insalata all’arancia.  

“Giocheremo con i fiori” per post hippy nostalgici

Da Torre dei Beati, piccola cantina dell’Abruzzo, votata alla produzione di vini naturali, arrivaGiocheremo con i Fiori, un vino unico, ben bilanciato da una vena acido-sapida che lo rende veramente interessanti: il livello di profondità di espressione di questo Pecorino sorprende, con una sapidità ben marcata ma sempre elegante, vero punto di forza del terroir sul quale crescono i vigneti di Torre dei Beati.
Questo Pecorino stupisce fin dal primo sorso, grazie alla sua prorompenza sempre elegante, alla sua freschezza e alla sua complessità aromatica.
Il merito di questa complessità, oltre che al costante e preciso lavoro di Adriana e Fausto, va sicuramente anche al terreno: i vigneti si trovano sulle prime colline ai piedi del Gran Sasso, a valle del torrente Tavo; qui il terreno è argilloso-calcareo, ricco di scheletro con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, riesce a conferire alle uve una forte esaltazione del corredo aromatico.
È così che nasce il Pecorino “Giocheremo con i fiori”, con la passione di una cantina unica, capace di esaltare al meglio le caratteristiche del territorio di Loreto Aprutino. 

Abruzzo e la rivincita delle aree interne. La pastinaca di Capitignano e la cipolla di Bagno diventano Presìdi Slow Food

Abruzzo e la rivincita delle aree interne. La pastinaca di Capitignano e la cipolla di Bagno diventano Presìdi Slow Food

Esistono luoghi in cui i Presìdi Slow Food hanno una ragion d’essere ancora più potente: le aree interne. Paesi e terre alte in cui la salvaguardia va ben oltre il prodotto in sé, rigenerando economie rurali minate dallo spopolamento e dalla conseguente perdita di biodiversità.
Qui, recuperare le colture significa ripristinare terreni abbandonati ma anche restituire al futuro memorie contadine a rischio di totale dimenticanza.
È quanto successo con la pastinaca di Capitignano e la cipolla di Bagno, i due nuovi Presìdi istituiti nella fascia interna dell’Aquilano: un tubero e un bulbo mai del tutto scomparsi dagli orti dei contadini che oggi puntano a rigenerare l’agricoltura locale.

foto Marco Del Comune, Slow Food

La pastinaca di Capitignano, radice della memoria

Il legame degli abitanti di Capitignano con la loro terra ha radici ben profonde e un nome preciso: pastinaca.
Sulle origini di questo tubero c’è chi parla di archeologia orticola, sarebbe stato diffuso infatti in tutta Europa dai Romani, importandolo dalla Germania.
A Capitignano, la pastinaca ha sviluppato nei secoli un ecotipo a sé, diverso dagli altri presenti sul mercato per il sapore dolce, il colore più tendente al giallo e la presenza di ramificazioni laterali.

Nel borgo montano di circa 600 abitanti ricompreso nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, la pastinaca non è mai mancata dagli orti domestici.
La sua coltivazione si è progressivamente ridotta, a causa dell’introduzione della patata in zona a partire dal ‘500, ma anche della gestione delicata della pastinaca: il terreno deve essere morbido e drenato, le piantine vanno prima diradate e poi, una volta raccolte, pulite con cura. Ma, come una madeleine proustiana, dalla memoria dei locali non era mai scomparsa del tutto.

«L’abbiamo fatta riassaggiare ai nostri compaesani perché tanti non ricordavano nemmeno che sapore avesse», racconta Noemi Commentucci, giovane produttrice. «Ma la memoria gustativa ha fatto la sua parte: molti di loro sono tornati bambini, richiamando gesti e sapori di famiglia». Come il cenone della vigilia di Natale, che secondo la tradizione a Capitignano prevede sette portate vegetali, pastinaca inclusa.
La famiglia Commentucci è stata fra i primi promotori del percorso di recupero del tubero, continuando a coltivarlo e proporlo agli ospiti del loro agriturismo. Oggi il Presidio riunisce alcune decine di produttori: «speriamo che sia l’occasione per rilanciare la coltivazione anche in paese», conclude Noemi.

foto Marco Del Comune, Slow Food

Alla ricerca del tesoro (quasi) perduto: la cipolla di Bagno

Arriva da Bagno, frazione della città dell’Aquila, il nuovo Presidio dedicato alla cipolla, il secondo nella regione dopo la cugina bianca piatta di Fara Filiorum Petri, nel Chietino.
Leggermente schiacciata, dalla buccia dorata e la polpa compatta e bianca, quasi trasparente, la cipolla di Bagno ha un sapore dolcissimo tanto che un tempo veniva data ai bimbi come merenda, cotta sotto la brace, aperta e spolverata di zucchero.

«La cipolla è da sempre una specialità rinomata nella zona: gli anziani produttori erano gelosi dei semi, li custodivano come un tesoro e li scambiavano solo tra di loro» ricorda la produttrice Anna Ciccozzi.
Anna racconta che ancora oggi il legame con il bulbo è molto forte. I coltivatori continuano a irrorare la cipolla solo con l’acqua dei due laghi locali San Raniero e San Giovanni «perché è più pulita», e nessuno permette ad altre varietà di cipolla coltivate in zona di andare in fioritura, per scongiurare il rischio di ibridazione.
Da diverso tempo, è Anna a seminare la cipolla di Bagno sui suoi terreni per poi distribuire mazzetti di bulbilli ai quattro coltivatori aderenti al Presidio e a chi ne fa richiesta.

«Con il passare degli anni, insieme ai contadini più anziani stava scomparendo anche il prodotto. Oggi è importante tramandarlo con tutto il suo bagaglio di usi e memorie, perché sia ricchezza e opportunità per le nuove generazioni», conclude la coltivatrice.
Tra gli obiettivi dei due gruppi di produttori, c’è anche quello di valorizzare i trasformati.
Per la cipolla si pensa a creme che consentano di ovviare alla deperibilità del prodotto, più veloce rispetto ai bulbi convenzionali; per la pastinaca sono già stati sperimentati i patè ottenuti dai fittoni, per ridurre al minimo lo spreco.

A L’Aquila il lancio ufficiale con degustazione guidata

«Da sempre Slow Food pone la difesa della biodiversità al centro dei suoi progetti con l’obiettivo di tutelare la straordinaria ricchezza del nostro Pianeta, ma dal 1999 l’Associazione ha dato vita a uno degli strumenti più significativi: i Presìdi Slow Food», afferma Silvia De Paulis, referente dei Presìdi Slow Food dell’Aquilano.
«Abbiamo raccolto la voce di due Comunità, quella di Bagno e quella di Capitignano, che con tenacia, amore e tanto sacrificio, hanno conservato due diverse varietà orticole strettamente legate al loro territorio e alle loro tradizioni, la cipolla di Bagno e la pastinaca di Capitignano. Li abbiamo incontrati, ascoltati e abbiamo compreso che era la strada giusta da percorrere insieme, con il sostegno concreto del Gal Gran Sasso Velino, da sempre vicino a noi per progetti di valorizzazione e tutela delle produzioni di piccola scala. Saremo al loro fianco per difendere e tutelare i loro sforzi, anche nella speranza che nuove generazioni di agricoltori siano disposte a impegnarsi con loro per un’agricoltura più pulita e sostenibile, capace di generare un giusto reddito a chi voglia intraprendere questa strada».
Il debutto dei due nuovi Presìdi è in programma venerdì 17 novembre al palazzo dell’Emiciclo dell’Aquila, nell’ambito dell’apertura di Cibaq – Cibi della tradizione aquilana, la manifestazione dedicata a celebrare e promuovere la biodiversità dei Presìdi della provincia. Nella mattinata la presentazione ufficiale, nel pomeriggio un laboratorio di degustazione a cura di Slow Food Abruzzo in collaborazione con l’Istituto Alberghiero “L. da Vinci” dell’Aquila.

8 destinazioni alla scoperta del tartufo

8 destinazioni alla scoperta del tartufo

Un giro d’Italia da nord a sud e ritorno al sapor di tartufo. Quattro mete diverse fra loro per storia e cultura ma quattro mete per assaporarlo, conoscerne tutti segreti, stanarlo con il cane e imparare a cucinarlo.
In autunno e in inverno le tavole si inebriano del profumo del tartufo che dai boschi diventa il re di piatti deliziosi proviamo a conoscerlo meglio.


Umbria: alla scoperta del nero fra dicembre e gennaio

In Umbria l’inverno è il momento ideale per degustare il pregiato tartufo nero umbro che si raccoglie proprio tra dicembre e gennaio.
Un’ esperienza da scoprire in un percorso lento tra natura, storia e arte.
Vengono organizzate speciali cacce al tartufo con il cavatore e il suo fidato cane nei dintorni di Gubbio, Norcia e Città di Castello.


Molise: il bianco e il nero di Castel del Giudice

Castel del Giudice (Isernia) in Molise, circondato dai boschi dell’Appennino molisano-abruzzese noto per la produzione delle mele , è il luogo in cui il tartufo diventa emozione.
Un rituale affascinante: partire insieme al tartufaio Antonio e la cagnolina Kelly, imbattibile con il suo fiuto sopraffino, per una giornata nell’azienda agricola Le Tartufaie e un tour alla scoperta delle varianti nere e bianco del prezioso tubero, l’ambiente in cui nasce e si sviluppa, la cavatura e tante curiosità sul diamante della terra.


In Alta Valle Isarco

in Alta Valle Isarco, tornano dal 17 novembre al 7 dicembre 2023 le Settimane del Tartufo, con gli esclusivi piatti firmati dallo chef 2 Stelle Michelin Peter Girtler.
Menu esclusivo a base di 5 specialità al tartufo nell’antica Gasthofstube.

Piemonte: la capitale del tartufo

Il Piemonte è rinomato per il tartufo bianco, in particolare nella zona delle Langhe e del Monferrato. Puoi partecipare a tour di caccia al tartufo con esperti locali e i loro cani addestrati. Alcuni luoghi noti per i tour di tartufo nel Piemonte includono Alba e Asti.
Se l’evento più famoso è ovviamente, la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba giunta ormai alla sua 93esima edizione che ha il suo clou nel Mercato Mondiale del tartufo, non mancano eventi diffusi specie nel territorio del Monferrato e dell’alessandrino dove si contano oltre dieci eventi dedicati.


Toscana; da San Miniato, a San Giovanni d’Asso e Volterra

La Toscana è un’altra regione famosa per i tartufi, in particolare il tartufo nero. Città come San Miniato e Volterra offrono tour di tartufo, che spesso includono la caccia al tartufo e degustazioni di piatti a base di tartufo.
San Miniato, a metà strada fra Firenze e Pisa che ospita la Fiera del Tartufo è una delle capitali nazionali. Leggenda narra che i tartufi più belli venduti alla fiera mondiale di Alba siano in realtà di San Miniato…
Ma torniamo nel borgo per darvi appuntamento nei fine settimana 11-12 / 18-19 / 25-26 novembre 2023 quando il
centro città ospiterà laboratori, banchi di degustazione e vendita del pregiato prodotto.


Marche: non solo Acqualagna

Le Marche sono un’altra regione italiana rinomata per il tartufo nero. Acqualagna è una delle città più famose per il tartufo nelle Marche e offre tour e festival del tartufo.
Se la fiera nazionale di Acqualagna quest’anno per colpa del caldo e la mancanza del fungo ipogeo è stata un po’ sottotono altre sono le occasioni per la scoperta del tartufo marchigiano.
Un’ottimameta è senz’altro la regione del Montefeltro e più nell specifico il borgo di Montefabbri provincia di Pesaro Urbino. Un paese che sembra essersi cristallizzato al 1400 dove funghi e tartufi sono di casa.


Abruzzo: neri, prelibato e poco noto

L’Abruzzo è famoso per il tartufo nero prelibato. Puoi partecipare a tour di tartufo a Rocca Calascio e nelle aree circostanti.
L’evento simbolo del tartufo d’Abruzzo è però la Fiera Internazionale dei tartufi d’Abruzzo che s
i terrà dall’1 al 3 dicembre 2023 all’Aquila, presso il Parco del Castello Cinquecentesco.

Puglia: il pregiato nero di Fasano

Anche la Puglia produce tartufi prelibati, in particolare il tartufo nero. Puoi trovare tour di tartufo nella città di Fasano e nelle aree circostanti.

La Calabria premia i migliori vini autoctoni del sud

La Calabria premia i migliori vini autoctoni del sud

A Trebisacce, sull’alto Jonio cosentino in agosto l’evento di premiazione dei grandi vini del sud con madrina d’eccezione l’enopittrice Elisabetta Rogai.

Elisabetta Rogai, la madrina dell’evento con alle spalle il suo splendido bronzo di Riace

Anche le etichette in passarella insieme al vino

L’appuntamento arrivato alla sua decima edizione, patrocinato dal Comune di Trebisacce, è stato sostenuto da organismi di settore, nato per ricordare che l’opera di ognuno è un bene di tutti perché è la dimostrazione che il lavoro e il dialogo tra gli operatori sono le strade principali per lo sviluppo
sostenibile dei comprensori e dei territori, vocazioni naturali che li caratterizzano, con creatività, da secoli.
Mission che è stata evidenziata dalla decima edizione del Wine Festival Art “Il vino nell’Arte, l’Arte nel Vino”, messo in programma il 16 agosto in una prestigiosa location del lungomare di Trebisacce, sull’alto Jonio cosentino, nel quale sono state indicate, secondo le preferenze del pubblico, il miglior “Rosso, Rosato e Bianco” e, grazie ad una giuria internazionale, l’etichetta
più originale tra le 20 Cantine partecipanti.
L’evento programmato ha voluto far degustare e soprattutto, promuovere i vini autoctoni del Sud Italia, prodotti in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, e mostrare quella espressività che sa suscitare il vino e come le vignette “Vino & Giornali” hanno mostrato in un allestimento.

Elisabetta Rogai all’opera in diretta

Una madrina internazionale per la finalissima

La sottolineatura artistica è arrivata successivamente il 2 settembre, data programmata per il conferimento dei riconoscimenti del meeting, di cui è stata madrina, con le sue creazioni di EnoArte®, l’Artista fiorentina Elisabetta Rogai, famosa per aver brevettato la sua tecnica di dipingere con il vino, ha portato la sua testimonianza di come le donne contribuiscono fattivamente allo sviluppo di un prodotto importante per il nostro Paese per qualità, riconoscimenti ed export.
L’Artista, reduce dalla sua ultima performance live in agosto, vino su marmo bianco di Carrara a Forte dei Marmi e reduce dai trionfi piemontesi nelle tre terre canavesane è stata la madrina ideale per raccontare la sua tecnica EnoArte®, di come far diventare Arte un prodotto della terra, come il vino, trasportandolo con arte e talento dalla cantina alla tela, al marmo, alla pietra, è stato il tema presente per conferire un omaggio al territorio, celebrando i vini autoctoni del Sud Italia.
L’evento è stato organizzato da Franco Pingitore, direttore artistico, delegato regionale della Scuola Europea Sommelier, esperto nel settore eventi, infatti la sua ultima manifestazione è stata La Notte Rosa del Vino, nella quale sono state di nuovo presenti le donne con tutta la loro forza, coraggio e determinazione nel portare avanti imprese vitivinicole mettendosi in gioco, realizzando relazioni importanti e opportunità per crescita diffusa.


Elisabetta Rogai, una vita di successi

Elisabetta Rogai dipinge dall’età di 9 anni. La sua prima mostra da “adulta”, nel 2001, all’Officina profumo farmaceutica di Santa Maria Novella (Firenze), e da lì in avanti una nutrita serie di eventi, oltre alla partecipazione ad Art Cannes “Le salon des artistes” (Palais des Festivals, La Croisette, Cannes), mostre personali a Firenze, Capri, Washington, Napoli, Milano e Fiesole, a Pietrasanta nell’ambito della Versiliana.
Nel
frattempo realizza il ritratto di Oriana Fallaci, per la Regione Toscana dedicato alla scrittrice, e riceve la commissione come “unica donna” per un grande affresco celebrativo dei 70 anni della Scuola di Guerra Aerea di Firenze.
Viene scelta inoltre a
rappresentare Firenze in una mostra per i 40 anni del gemellaggio con Kyoto (Giappone) e per l’apertura della sala fiorentina del museo d’arte contemporanea di Arequipa (Perù), mentre dal suo dipinto Astrid è stata ricavata l’etichetta del vino ufficiale del semestre italiano di presidenza dell’Unione europea.
Il suo immaginario prende vita attraverso
creature surreali, donne e cavalli, oppure alla ricerca della sua terra, cariche di colori cangianti del vino dalle infinite sfumature che richiamano i fenomeni naturali.
Nel 2011 inventa EnoArte®, l’arte di dipingere con il vino al posto dei colori e il suo successo è istantaneo, chiamata dalle maggiori cantine sia italiane che straniere. Nel 2015 – anno dell’Expo – è chiamata ed effettuare il Drappellone del Palio di Siena e nel 2016 è testimonial di Audi Italia per  il progetto Innovative Thinking.
Da allora, nel
settore del vino, annovera grandi successi, sia in Italia che all’estero, a Hong Kong, a Milano per EnoFrigo a Host Fiera, al China Import & Export Fair Complex Guangzhou (Cina), a Castelfalfi, al Vintaly, il ritratto di Giacomo Tachis eseguito con il vino commissionato dal suo collezionista la Fondazione Chianti Banca, una grande mostra celebrativa in Palazzo Vecchio per il G20 sull’Agricoltura, fino ad eseguire 3 ritratti ad Andrea Bocelli per la Fondazione Bocelli aggiudicati a 25 mila dollari cadauno.