“Generazione vigneti”. Un progetto che cresce in tutta Italia

“Generazione vigneti”. Un progetto che cresce in tutta Italia

di Barbara Tedde – La quinta generazione di una famiglia storica toscana che porta il vino sulle tavole ormai da più di un secolo non è certo l’argomento più originale del mondo, ma di fatto è una vicenda che determina la storia enologica italiana, quella delle grandi famiglie che hanno la fortuna di avere sempre una prole che ripercorra le orme dei padri o delle madri accarezzando idee innovative, pur mantenendo la tradizione.
Un continuo passaggio di Testimone che Eduardo De Filippo, in riferimento alla nascita dei figli, avrebbe definito con: E adesso “nun moro cchiù”.

Una grande storia di famiglia

Il gruppo Piccini 1882 nasce con Angiolo Piccini in soli sette ettari di vigneti in quel di Valiano a Castelnuovo Berardenga, versante meridionale della zona del Chianti Classico ed undicesima UGA a fianco di Vagliagli.
Per chi non masticasse ancora bene il Chianti Classico, le UGA sono le Unità Geografiche Aggiuntive che dall’anno scorso sono entrate in scena per suddividere il territorio del Gallo Nero in varie sottozone.
Ad oggi la fattoria di Valiano, la casa di famiglia, si stende su 230 ettari di terreno dei quali 75 coltivati a vigneti.
Negli anni Sessanta la fattoria fu proprietà del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e nel 1995 Mario Piccini ne acquisisce la proprietà con in tasca il sogno di produrre vini destinati a tutto il mondo: ad oggi sono 230 mila le bottiglie che escono dalla cantina di Valiano, cantina inserita nel progetto Generazione Vigneti, ed il suo Chianti Classico Valiano 2020 porta a casa un tre bicchieri nella guida del Gambero Rosso 2023.

Michelangelo Piccini

Quando i Piccini crescono

“Generazione Vigneti” nasce nel 2023; una ventata di freschezza e di rinnovo con l’ambizioso progetto del gruppo Piccini 1882, che segna un passaggio di consegne significativo all’interno dell’azienda, con il pieno coinvolgimento dei tre figli di Mario Piccini, patron del gruppo: Michelangelo Piccini al timone delle tenute toscane di Fattoria di Valiano e Tenuta Moraia, insieme alle sorelle, Benedetta e Ginevra Piccini, a capo della tenuta siciliana di Torre Mora, alle pendici dell’Etna.
Una quinta generazione che persegue l’obiettivo di raccontare e valorizzare i terroir più preziosi del mondo del vino italiano.
La filosofia produttiva che ispira il lavoro in tutte le cinque tenute dell’azienda è quella di creare vini che riflettano il territorio d’origine rispettando l’espressività delle uve attraverso pratiche enologiche non invasive. In ogni tenuta lo scopo enologico è diverso e al contempo uguale, ovvero produrre vini identitari e di qualità, abbattendo così elementi pregiudizievoli da parte del consumatore che, sovente, associa l’etichetta Piccini alla grande distribuzione.

Ginevra Piccini

Il teorema del cinque

Del progetto “Generazione vigneti”, seguito dalla quinta generazione Piccini fanno parte cinque aziende.
Il “teorema del cinque” coinvolge oltre alla Fattoria di Valiano, le seguenti aziende: Tenuta Moraia che si trova in Maremma, a pochi chilometri da Gavorrano,160 ettari totali dei quali 60 vitati e coltivati prevalentemente a Vermentino e Sangiovese, oltre che Alicante, Syrah, Cabernet, Merlot e Chardonnay; Villa al Cortile, posta nel versante sud di Montalcino, si stende su 12 ettari di terreno, suddivisi in due aree distinte: 8 ettari situati a Montorsoli, la parte nord di Montalcino, e 4 ettari situati a Lavacchio, sulle pendici sud-occidentali
di Montalcino; Regio Cantina, situata alle falde del Monte Vulture – vulcano ormai spento – che si trova in Basilicata, precisamente a Venosa, in provincia di Potenza, dove sono coltivati 15 ettari di Aglianico per un totale di produzione di 70.000 bottiglie all’anno; infine, Torre Mora, ai piedi dell’Etna: tre vigneti situati rispettivamente nella Contrada Dafara Galluzzo a Rovittello, nella Contrada Alboretto – Chiuse del Signore nel comune di Linguaglossa e nella Contrada Moscamento, sempre a Rovittello. I vigneti, iscritti fra i beni Unesco, sono di: Nerello Mascalese, vitigno principe delle pendici del vulcano, Nerello Cappuccio che ne completa l’uvaggio nella produzione di Etna Doc, e il Carricante.

Benedetta Piccini

Gli assaggi

Vermentino Brut Tenuta Moraia – Maremma Toscana
Un metodo Charmat per niente scontato nella sua semplicità: profuma di frutti gialli come la pesca e la susina, è dolce l’olfatto ed il gusto è agrumato e sapido.

Ottimo per aperitivi e piatti di pesce; ha in sé la spensieratezza dell’estate con i suoi 12 gradi alcolici.

Tenuta Moraia – Albus maremma toscana bianco 2021 Riserva da uve vermentino
Chi dice Maremma dice vermentino, vitigno principe di una splendida terra. 13,5% gradi alcolici e non sentirli.
Gradevoli profumi agrumati, pesca bianca, erbe aromatiche e discreta sapidità, tutte caratteristiche tipiche del vitigno. E’ avvolgente ed equilibrato e mantiene una bella vibrazione acida anche post sorso.

Tenuta Moraia – Apricaia 2019
Da uve Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot, ed ecco che compare il taglio bordolese.

Elegante e pregiato fin da subito, confettura ai frutti di bosco, arancia in scorza, balsamicità da eucalipto ed elicriso. Buona la struttura in bocca, ricco e morbido in entrata, avvolgente ma non altezzoso, ottimo l’equilibrio di tannino e acidità. Bello ed elegante.

Della Fattoria di Valiano a Castelnuovo Berardenga: Vigna San Lazzaro Gran Selezione 2019 – Chianti Classico
Sangiovese in purezza da uve di un Cru. Profumi di ciliegia e marasca, sottobosco e pepe nero. Il sorso è complesso e ricco, lievemente ferroso e con tannini grintosi, frutti croccanti e rimandi boisé. Intrigante.

Torre Mora Metodo Classico Etna Rosé DOC 2018 – dosaggio zero
Stella nascente al Vinitaly 2023, dove ha fatto già strage di cuori. Appena 3 mila bottiglie prodotte, questo nerello mascalese in purezza da vendemmia 2018 sosta 48 mesi sui lieviti.

Un sorso che racchiude tutto il fascino della Sicilia da bere, quella dei salotti eleganti. Il colore accattivante rosa ramato, il profumo minerale e di pane fresco, rosa canina e fragolina affascinano fin da subito. Il gusto è vibrante e sapido, la bollicina è cremosa e solletica la beva. Il vulcano ed il mare che si congiungono creano un quadro dai tratti perfetti. Gustoso, energico ed elegante.

Torre Mora Scalunera – Etna Rosato 2022
Nerello mascalese in purezza, racchiude fragranti note di melograno e fragolina.

Il sorso è saporito e croccante ed il suo colore salmone affascina la vista. Ottimo compagno di viaggi enogastronomici sia di terra – carni bianche cotte in aromi, salumi, formaggi mediamente stagionati – che di mare. Goloso.

Vini del sud: oltre il Sangiovese

[:it]137959630411668di Nadia Fondelli – Una sera di mezza settimana é perfetta per scoprire cose nuove. Così è stato per me quando, con parecchia curiosità sono andata in pieno cento di Firenze in una libreria-caffè-teatro alla scoperta di vini del sud, tutti da scoprire a chi ha un palato molto avvezzo al Sangiovese.

Radici del Sud grande contenitore del food e wine che si celebra ad inizio estate a Bari ha deciso di andare in tournee e portare al nord in questo caso tre autoctoni meridionali: il Negroamaro, il Gaglioppo e l’Aglianico.

Se il primo dei tre è il più noto perché espressione di quel Salento dalle spiagge belle da sempre ma (chissà perché) frequentate da poco, molto incuriosivano gli altri due vitigni.
L’Aglianico vino minerale nella sua eccezione lucana, ma ben diverso fra le cime dell’avellinese e il Gaglioppo espressione di quella Calabria laboriosa che non fugge, ma vive, lotta e produce.

Nicola Campanile, che di Radici del Sud è inventore e mattatore in 11 anni si è dato parecchio da fare per far sapere che i vini si sanno fare bene anche a longitudini meno frequentate.
Nei giorni baresi la vetrina offre infatti molto: dal contatto diretto delle aziende coi buyers, a un concorso alla cieca (finalmente) fino a specifici press tour per la stampa soprattutto estera.

Questo forse l’unico errore; dare troppo per scontato che i colleghi italiani conoscano bene questi vini e le loro storie e tradizioni quando invece, basta guardare nelle enoteche e ristoranti del sud dove sono davvero pochi i degustatori, anche delle grandi guide presenti all’assaggio.

Tornando alla serata fiorentina, dopo un introduzione con dei rosé che servivano per rompere il ghiaccio, ma che invece hanno solo fatto capire come i vini abbiamo bisogno del loro tempo la full immersion ha regalato nuovi saperi.

Il Negramaro, in espressioni diverse di annate (2010 e 2011) e di produzioni (bio e convenzionale) ha piacevolmente colpito con le sue note decise di pepe nero, paglia, cuoio e cannella anche se la struttura in alcuni casi era perfettibile; può risultare fastidiosa l’aggressione alcolica e tanninica al palato alto e alla gola.

Il Gaglioppo molto personale e selvaggio come le selve che profumano di salmastro del cuore di Calabria da cui proviene, ci è parso più leggero nella corposità anche se deciso e personale nel colore; tannini decisi, aromi di caramello, mou e liquirizia.

L’Aglianico infine ha emozionatolo la scrivente, appassionata di vini minerali nella sua espressione lucana dove il Vulture e il suo antico vulcano sprigionano in bocca note superbe di terra e carmello che avvolgono pienamente la bocca con tannini corposi e decisi.
Meno personale, ma più divertente nel gioco degli aromi la versione campana.

In conclusione una serata bella e interessante che fa capire come saper fare vini è arte antica e che il territorio gioca una parte fondamentale nel risultato.
Piacerebbe forse sentire più blend, capire cosa potrebbe uscirne con percentuali di vitigni internazionali, ma la sensazione è che ai sudisti il vino piace così: nudo e puro. A costo di non (com)piacere.

 [:en]137959630411668di Nadia Fondelli – Una sera di mezza settimana é perfetta per scoprire cose nuove. Così è stato per me quando, con parecchia curiosità sono andata in pieno cento di Firenze in una libreria-caffè-teatro alla scoperta di vini del sud, tutti da scoprire a chi ha un palato molto avvezzo al Sangiovese.

Radici del Sud grande contenitore del food e wine che si celebra ad inizio estate a Bari ha deciso di andare in tournee e portare al nord in questo caso tre autoctoni meridionali: il Negroamaro, il Gaglioppo e l’Aglianico.

Se il primo dei tre è il più noto perché espressione di quel Salento dalle spiagge belle da sempre ma (chissà perché) frequentate da poco, molto incuriosivano gli altri due vitigni.
L’Aglianico vino minerale nella sua eccezione lucana, ma ben diverso fra le cime dell’avellinese e il Gaglioppo espressione di quella Calabria laboriosa che non fugge, ma vive, lotta e produce.

Nicola Campanile, che di Radici del Sud è inventore e mattatore in 11 anni si è dato parecchio da fare per far sapere che i vini si sanno fare bene anche a longitudini meno frequentate.
Nei giorni baresi la vetrina offre infatti molto: dal contatto diretto delle aziende coi buyers, a un concorso alla cieca (finalmente) fino a specifici press tour per la stampa soprattutto estera.

Questo forse l’unico errore; dare troppo per scontato che i colleghi italiani conoscano bene questi vini e le loro storie e tradizioni quando invece, basta guardare nelle enoteche e ristoranti del sud dove sono davvero pochi i degustatori, anche delle grandi guide presenti all’assaggio.

Tornando alla serata fiorentina, dopo un introduzione con dei rosé che servivano per rompere il ghiaccio, ma che invece hanno solo fatto capire come i vini abbiamo bisogno del loro tempo la full immersion ha regalato nuovi saperi.

Il Negramaro, in espressioni diverse di annate (2010 e 2011) e di produzioni (bio e convenzionale) ha piacevolmente colpito con le sue note decise di pepe nero, paglia, cuoio e cannella anche se la struttura in alcuni casi era perfettibile; può risultare fastidiosa l’aggressione alcolica e tanninica al palato alto e alla gola.

Il Gaglioppo molto personale e selvaggio come le selve che profumano di salmastro del cuore di Calabria da cui proviene, ci è parso più leggero nella corposità anche se deciso e personale nel colore; tannini decisi, aromi di caramello, mou e liquirizia.

L’Aglianico infine ha emozionatolo la scrivente, appassionata di vini minerali nella sua espressione lucana dove il Vulture e il suo antico vulcano sprigionano in bocca note superbe di terra e carmello che avvolgono pienamente la bocca con tannini corposi e decisi.
Meno personale, ma più divertente nel gioco degli aromi la versione campana.

In conclusione una serata bella e interessante che fa capire come saper fare vini è arte antica e che il territorio gioca una parte fondamentale nel risultato.
Piacerebbe forse sentire più blend, capire cosa potrebbe uscirne con percentuali di vitigni internazionali, ma la sensazione è che ai sudisti il vino piace così: nudo e puro. A costo di non (com)piacere.

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