Le Colline del Barbaresco: le terre di Fenoglio
Tra le 6 aree appartenenti al sito Unesco dei Paesaggi Vitivinicoli del Piemonte, quella delle Colline del Barbaresco si distingue per un forte carattere, evidente nella conformazione del territorio e nella radicata cultura legata alla produzione di uno dei più grandi vini italiani riconosciuti a livello internazionale: il Barbaresco.
Le colline dove nasce un grande vino
“Le colline del Barbaresco”, tra le 6 aree appartenenti al sito Unesco dei Paesaggi Vitivinicoli del Piemonte, sono il luogo dove nasce il vino rosso a lungo invecchiamento denominato, appunto, Barbaresco: una produzione di altissimo livello qualitativo che rientra a pieno titolo nel palinsesto dei grandi vini italiani riconosciuti a livello internazionale.
L’area di cui parliamo comprende solo due comuni, Barbaresco e Neive, le cui colline presentano una naturale predisposizione alla coltivazione del vitigno Nebbiolo, col quale si produce il Barbaresco, originario principalmente di quest’area, la cui ridotta produzione, in termini di bottiglie, è inversamente proporzionale alla sua inimitabile qualità.
Un vino dal colore rosso granato brillante che con l’invecchiamento assume sfumature aranciate che ricordano il mattone, dal profumo ampio che, a seconda della produzione, può ricordare la viola, la rosa, la frutta o la liquirizia, ma anche il pepe verde, la noce moscata, il fieno e il legno, o la nocciola tostata e con un sapore che ricorda l’immagine stessa di questi territori: intenso, pieno, robusto, austero ma allo stesso tempo vellutato ed armonico.
L’importanza dell’uomo a plasmare la terra
Il paesaggio di queste colline, adagiate sulla destra del fiume Tanaro, è fortemente caratterizzato dalla presenza di terreni esposti in pieno sole, dove si trovano i vigneti, che si alternano a più ombrose zone lasciate a bosco dove è facile scorgere robineti, storicamente utilizzati per ricavarne sostegni per la viticoltura.
Qui tutto parla di un sapiente uso del territorio da parte dell’uomo che, nel rispetto della natura, ha saputo ricavarne prodotti preziosi ed unici e per questo possiamo affermare che il Barbaresco è depositario di un patrimonio culturale locale che si presenta originale, unico ed autentico.
Il secolare lavoro dell’uomo ha plasmato straordinariamente le dorsali collinari restituendo un paesaggio dalla tessitura regolare, disegnato da appezzamenti di piccole dimensioni, che si appoggiano sull’orografia del terreno seguendone la conformazione.
Anche la fase della vinificazione contribuisce ulteriormente a testimoniare lo storico legame del vino Barbaresco con la sua terre d’origine, dal momento che tale tecnica, messa a punto da Domizio Cavazza nel castello di Barbaresco, alla fine dell’Ottocento, è tuttora la base, continuamente affinata in termini di innovazione tecnologica, per la produzione di uno dei vini più pregiati a livello internazionale, la cui produzione si basa oggi su un rigido disciplinare, che stabilisce che il Barbaresco sia prodotto esclusivamente con uve di vitigno Nebbiolo in purezza.
Barbaresco: a spasso nel borgo
Dell’abitato di Barbaresco, desta subito attenzione la torre medievale che, posta a strapiombo sul Tanaro, è uno degli edifici più riconoscibili del territorio di Langhe-Roero e Monferrato.
Tutto il borgo è caratterizzato dal tipico impianto urbano di età medievale con una via maestra su cui si affacciano le numerose attività legate alla storica vocazione vitivinicola di questi luoghi; in particolare alcune di queste si sono sviluppate all’interno di edifici di eccezionale valore architettonico, come l’Enoteca Regionale del Barbaresco, allestita negli spazi della chiesa barocca dedicata a San Donato (1833) poi ceduta negli anni Settanta del Novecento al Comune.
Questo luogo rappresenta una preziosa testimonianza della tradizione culturale vinicola di Barbaresco, il settecentesco edificio nobiliare voluto dai conti Galleani, in passato dotato di bellissimi giardini e di ampi saloni, conserva le originarie cantine sotterranee di grande valore pur essendo oggi proprietà di una tra le famiglie di viticoltori più conosciuti al mondo.
Nel 1894 il castello veniva scelto dal Professor Domizio Cavazza” – il padre del vino Barbaresco” e direttore della Reale Scuola Enologica di Alba, seconda in Italia – quale sede della prima Cantina Sociale di Barbaresco, chiusa in epoca fascista, poi riaperta nel 1958 con la denominazione Cantina Produttori del Barbaresco, ancora oggi punto di riferimento per 56 viticoltori locali. Anche Don Fiorino Marengo fu una figura chiave per i produttori locali. Arrivato a Barbaresco nell’immediato dopoguerra, comprese fin da subito il grande potenziale dell’esperienza associativa di Domizio Cavazza. Decise dunque di ripeterla al fine di promuovere l’emancipazione dei contadini dalla povertà estrema e da un individualismo ben radicato.
Nel 1958 riunisce quindi 19 agricoltori e fonda la Produttori del Barbaresco “per la qualifica e garanzia del Barbaresco”. La prima vendemmia venne vinificata nel cortile della casa del parroco e le vendite registrarono un ottimo margine rispetto a quanto si sarebbe guadagnato vendendo l’uva come si era fatto fino a quel momento.
Risale invece al 1999 la grande meridiana, collocata nella piazza centrale del paese, creata per celebrare la coltivazione della vite e della produzione vinicola attraverso dodici illustrazioni tratte dal “Ruralia Commoda” di Pietro de’ Crescenzi, un antico trattato di agricoltura.
Per dare massima diffusione alla cultura del vino, il borgo ospita molteplici manifestazioni nell’arco dell’anno; tra queste si ricordano in particolare “Il Barbaresco a tavola” per presentare la nuova annata del rinomato vino, e la kermesse “Piacere Barbaresco” che si svolge nelle strade del paese con degustazioni, convegni e incontri destinati agli addetti ai lavori.
Neive: dov’è nata la ricetta dell’enologia piemontese
Neive è stata riconosciuta nel 2001 tra “I borghi più belli d’Italia”. Per la sua posizione strategica lungo la via Aemilia Scauri, l’insediamento ricopriva un ruolo strategico già in età romana.
Oggi Neive è ancora un borgo arroccato alla sommità di un colle, le cui tortuose stradine acciottolate salgono secondo anelli concentrici fino alla sommità dell’altura denominata Pian del Castello dove un tempo sorgeva il castrum medievale oggi purtroppo scomparso.
Si conservano, invece, le numerose testimonianze dell’antico ricetto (receptum), tra cui emerge la duecentesca cassaforte dei Conti Cotti di Ceres.
Nelle sale di questo imponente edificio, Francesco Cotti scrisse alla fine del XVII secolo un importante trattato sulla viticoltura piemontese. Nelle immediate adiacenze si innalza la Torre dell’Orologio risalente al XIII secolo. Alla mole severa della torre medievale si contrappongono invece le linee sinuose del vicino insieme architettonico barocco – composto da cupola e campanile – dell’Arciconfraternita di San Michele, un piccolo capolavoro di metà Settecento progettato dall’architetto Antonio Borgese.
Poco più a valle, Piazza Italia rappresenta il cuore del paese su cui si affacciano pregevoli palazzi che raccontano della fase di espansione settecentesca del borgo: in particolare, la prima sede del Municipio con la sua facciata rococò e Palazzo Borgese attuale edificio comunale dalla composizione semplice e severa.
Nelle cantine del Municipio è ospitata la Bottega dei Quattro vini di Neive fondata nel 1983 da un piccolo gruppo di vignaioli locali per rappresentare Neive e i suoi vini nel Mondo; dopo oltre quarant’anni di attività è ancora oggi il punto di ritrovo, per acquistare e degustare i vini prodotti nell’area. Anche il Palazzo dei Conti del Castelborgo rappresenta una significativa testimonianza del legame tra l’aristocrazia piemontese e la tradizione vitivinicola locale; infatti, il nobile edificio settecentesco conserva le originarie cantine, oggi come un tempo, sede di rinomate produzioni vinicole. Il gusto barocco delle architetture raggiunge alti livelli anche nell’architettura del palazzo dei Conti Bongioanni Cocito, scenograficamente inquadrato dalla Porta di San Rocco, cioè l’originario ingresso verso sud del borgo medievale.
Serafino Levi, l’uomo degli alambicchi
Neive diede i natali a Serafino Levi che nel 1925 fondò una distilleria con alambicco a fuoco diretto, conosciuta come “Distilleria Levi“.
Dopo la precoce scomparsa di Serafino e della moglie, l’attività passò poi ai figli Romano e Lidia. Per oltre sessant’anni, i fratelli Levi continuarono la tradizione dei loro antenati producendo una grappa unica, conosciuta come “La Grappa della Donna Selvatica“. Quest’ultima non è un semplice distillato di vinacce, ma è anche il frutto dell’arte di Lidia nella composizione delle erbe immerse nella bottiglia e di Romano nella graficazione delle etichette, disegnate a mano.
Nei primi anni Sessanta Romano volle infatti differenziare la sua produzione da quelle dei concorrenti personalizzando le bottiglie una ad una con etichette disegnate o dedicate con poesie da egli stesso. Questa operazione ha permesso nel tempo di annoverare Romano tra i produttori di grappa più famosi al mondo e le sue bottiglie ancora oggi sono oggetto di collezionismo a livello internazionale.
Inoltre, da oltre settant’anni, ogni anno la distilleria rinnova il rito dell’accensione del fiammifero: momento in cui Romano Levi dava inizio alla distillazione con il suo alambicco a fuoco diretto. Oggi la casa-distilleria dei Levi è un Museo vivo e produttivo della Grappa, un’isola del tempo in cui il Genius Loci di Romano Levi aleggia ovunque.
La bellezza di questi luoghi è testimoniata anche nella letteratura del Novecento che ne ha celebrato alcuni scorci. Nei romanzi di Beppe Fenoglio, questi luoghi fanno da sfondo alle vicende delle brigate partigiane che qui si rifugiarono; furono soprattutto le caratteristiche rocche a picco sul fiume Tanaro a catturare l’attenzione dello scrittore: “Montavano la guardia sugli aerei, di per se stessi avventurosi, strapiombi sul fiume di Barbaresco. Là il fiume, ricordava Johnny, era stretto e profondissimo, lento come una colata di piombo, ed al gusto e alla vitalità della guardia concorreva il mistero immanente nelle fittissime pioppete sull’altra sponda vicinissima.” (Beppe Fenoglio, “Il partigiano Johnny).
Lo stesso romanzo ospita anche una descrizione del borgo di Neive: “La ragazza abitava a Neive, il grosso paese in fondo alla valle sovrastata da Mango, diviso in due borghi, il soprano dominante i truci scoscendimenti sul fiume Tanaro, il sottano dilagante dalla collina alle rotaie della ferrovia, deserte ed inattive dal giorno dell’armistizio.”
Da segnalare infine due itinerari che comprendono i borghi di Neive e Barbaresco, per accompagnare il turista nell’esplorazione del territorio.
La Strada Romantica, costituita da 11 tappe, 130 km di strade panoramiche, 300 spunti letterari e il trekking intitolato Da Barbaresco a Neive per una camminata panoramica tra i filari che segue parte del celebre e spettacolare percorso ciclo escursionistico “Bar to Bar”.