Il formaggio che racconta la montagna. Il fodóm diventa Presidio Slow Food

Il formaggio che racconta la montagna. Il fodóm diventa Presidio Slow Food

Viene prodotto nell’omonima valle ladina delle Dolomiti bellunesi con il latte conferito da otto allevatori che sfidano le difficoltà dell’alta montagna e custodiscono un territorio di grande bellezza.

I “resistenti” del fodom. Foto Slow food

Gli otto “resistenti” di Livinallongo del Col di Lana

Sono in otto e, nonostante le difficoltà, resistono, come già i loro nonni un secolo fa.
«Non abbiamo alcuna intenzione di chiudere le stalle, non vogliamo abbandonare la montagna» sintetizza Egidio De Zaiacomo, 66 anni, una vita spesa a Livinallongo del Col di Lana, tra le Dolomiti bellunesi, Patrimonio Unesco.
Suo figlio Erwin è uno degli otto allevatori che conferiscono il latte alla latteria cooperativa dove si produce il fodóm, un formaggio a pasta semicotta ottenuto con latte vaccino intero crudo, appena diventato Presidio Slow Food. Lui, Egidio, gli dà una mano in azienda ed è il referente dei produttori del Presidio.

Lo sfalcio a mano. Foto Slow food

Che cosa rende così difficile lavorare su queste montagne?

Livinallongo del Col di Lana, milletrecento abitanti sparsi in diciassette frazioni, sorge ai piedi del massiccio del Sella: la valle di Fodóm inizia a 1300 metri e i suoi pascoli più alti superano i 2000 metri.
Pendii ripidi, caratterizzati da un’eccezionale varietà di erbe foraggere che si rivelano un ottimo pascolo e assicurano un fieno altrettanto eccellente: la raccolta inizia a giugno sui prati che circondano i masi, prosegue in agosto sui prati in altura e si conclude sul finire dell’estate, con un secondo sfalcio dei prati intorno al maso.
Mescolando i due tipi di erba, si ottiene un fieno eccellente, in grado di fornire un latte ricco di antiossidanti e vitamine.

Al pascolo. Foto Slow food

Fare agricoltura in montagna e allevare le bestie in altura, però, è tutt’altro che semplice. «Il primo elemento di difficoltà è rappresentato dalla pendenza dei prati – spiega De Zaiacomo – perché occorre dotarsi di macchinari speciali per la fienagione che assicurano stabilità e sicurezza nel lavoro, ma che costano il doppio di quelli usati a quote basse, dove i pendii sono più dolci».
Per fare il fieno ci vuole più tempo: «In un giorno noi riusciamo a fare un ettaro di fieno, a due o trecento metri di altitudine si può arrivare anche a dieci»
.
Il motivo? Per sfalciare in piano possono utilizzare macchine più grandi. E poi c’è da tener presente che chi lavora in alto deve anche occuparsi di portare più a valle, nelle stalle, il fieno: tempo e soldi che se ne vanno. Altra cosa: «Dobbiamo falciare superfici più ampie, perché i prati in alta montagna rendono di meno, dal punto di vista quantitativo» ricorda il referente.

Il fodom. Foto slow food

Latte con oltre 100 essenze arboree e cura dei prati permanenti per difendere l’ambiente

Nonostante le difficoltà, per i produttori del Presidio resistere in alta montagna è importante.
Da un punto di vista qualitativo, ad esempio, il latte non ha paragoni:
«In un metro quadrato dei nostri prati stabili ci sono un centinaio di essenze arboree diverse, rispetto alle quindici di un prato a bassa quota. Noi ci difendiamo con la qualità organolettica e nutrizionale di questo latte – rivendica – ma sfalciare i prati e fare il fieno non è un vantaggio solo per noi: genera benefici per il turismo, perché un prato sfalciato e un territorio curati sono belli e rendono più gradevole il paesaggio.
I prati permanenti curati e gestiti dagli allevatori locali, inoltre, contribuiscono a contrastare il dissesto idrogeologico e le slavine»,
un aspetto non trascurabile in un luogo come Livinallongo, in cui persino il nome, in ladino, richiama a una valle lunga con pendii ripidi, soggetti a slavine.

Fodom a stagionare. Slow food

La richiesta? Che la politica riconosca le differenze

«Noi vorremmo che le differenze siano riconosciute, cosa che oggi non accade – prosegue De Zaiacomo –. La Regione Veneto considera montano l’intero territorio provinciale di Belluno, indipendentemente dall’altitudine, e questo fa sì che le indennità compensative riconosciute a noi, che stiamo a quote alte, siano di poco superiori a quelle erogate a chi lavora in basso. Ma i costi in alta montagna sono molto più alti e le condizioni di lavoro più dure».
Così, spiega, solo il 5% delle aziende che producono latte in provincia di Belluno lavora quotidianamente in queste condizioni e molti agricoltori, in inverno, devono avere un secondo lavoro: le risorse dell’allevamento, semplicemente, non sono sufficienti..
«Geneticamente abbiamo ereditato dai nonni l’attaccamento alla terraconclude De Zaiacomo –. Non vogliamo andare via, vogliamo vivere qua e vogliamo che anche i nostri figli e nipoti possano farlo. Ma non è possibile che in inverno i contadini delle terre alte debbano cercarsi altri lavori per mettere insieme un reddito che consenta loro di vivere. Oggi sono costretti a lavorare negli impianti di risalita o a sgombrare la neve, ma avere due impieghi così diversi non consente di lavorare bene con gli animali: va difesa la dignità del contadino, perché se muoiono i contadini muore la montagna».

Una fase della lavorazione. Slow Fod

Il fodom, più di un formaggio

La Latteria cooperativa di Livinallongo produce vari formaggi, ma il fodóm – fatto con latte crudo di vacche brune alpine e pezzate rosse – è la tipologia tradizionale che da sempre si produce in questa valle.
Al latte, scaldato a 36,5 gradi, viene aggiunto il latte-innesto autoprodotto e il caglio di vitello. Dopo mezz’ora di riposo avviene la rottura della cagliata, in diverse fasi e a dimensioni via via sempre più fini.
Quindi la cottura, la raccolta in un telo di lino e la pressatura, con tanto di applicazione della placca con la scritta Fodóm. Poi la salamoia e infine il via alla stagionatura, che può durare tre o quattro mesi. Le forme in commercio si presentano con diametro tra i 30 e i 35 cm, spessore di 7-8 cm e peso di circa 5 kg.
Il Presidio Slow Food intende promuovere le produzioni casearie della valle, dando loro il giusto valore, sostenendo così allevatori e casari.
L’obiettivo principale è avviare una produzione di fodóm fatto con il latte crudo estivo, ottenuto in alpeggio, da affiancare a quello che si ottiene nel resto dell’anno con i fieni dei prati stabili locali. 

I pascoli nella vallate del Col di Lana. Slow Food

Il debutto a Cheese

Il Presidio del fodóm è stato presentato a Cheese, il più grande evento internazionale dedicato ai formaggi a latte crudo, organizzato da Slow Food e Città di Bra, nell’ambito della conferenza Benvenuti ai nuovi Presìdi dei caci (e non solo)!. Insieme al Presidio di Livinallongo hanno debuttato a Cheese:
il cacio di Genazzano, un pecorino che arriva dai colli Prenestini, alle porte di Roma, dove due aziende agricole mantengono viva una tradizione lunga secoli, producendo le forme di formaggio usando ancora il paiolo di rame.
il blu del Queyras, un formaggio a pasta erborinata prodotto con latte crudo vaccino ottenuto negli alpeggi della regione francese delle Hautes Alpes;
la toma della Brigue, ottenuta con il latte di pecora brigasca, una razza ovina allevata in valle Roja;
la pecora plezzana, che deve il nome alla cittadina slovena di Plezzo ma che è diffusa anche nelle zone montane della provincia di Udine e nella regione austriaca della Carinzia, con cui Slow Food proprio in questi mesi sta avviando il percorso di tutela previsto dal progetto dei Presìdi.

 

 

 

 

Parte da Cheese il “movimento” di tutela dei prati stabili

Parte da Cheese il “movimento” di tutela dei prati stabili

Durante l’inaugurazione della 14esima edizione dell’evento di Slow Food e Città di Bra è stato presentato il manifesto per i prati stabili, i pascoli e i pastori, sottoscritto da oltre 30 organizzazioni della società civile ed enti di ricerca.
“Tutelare i formaggi che nascono dai prati stabili e dai pascoli è una dichiarazione d’amore per il futuro, perché queste produzioni lattiero-casearie possono dare risposte importanti alle questioni ambientali, sociali ed economiche che tutti ci troviamo di fronte”.
Con queste parole
la presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini, ha inaugurato la 14esima edizione di Cheese, la più importante manifestazione internazionale dedicata ai formaggi a latte crudo, a Bra fino al 18 settembre: un’edizione dedicata al sapore dei prati, come sintetizzato nel claim della manifestazione, perché le qualità organolettiche e nutrizionali del latte – e di conseguenza il sapore e il valore dei caci – dipendono dalle erbe di cui si sono alimentati gli animali. 


“Il manifesto” per salvarci e salvare l’ambiente

I prati stabili riflettono il perfetto equilibrio tra natura ed esseri umani, tra rispetto dell’ambiente e produzione, sono importanti serbatoi di carbonio, oasi di biodiversità, argini al dissesto idrogeologico, ma stanno scomparendo, in montagna per l’avanzare del bosco e in pianura per la cementificazione e l’agricoltura intensiva.
Possiamo salvare i prati stabili solo se salviamo i pastori e l’allevamento a base di erba e fieno. E possiamo salvare la pastorizia e l’allevamento estensivo solo se salviamo i prati stabili.
Puntare su erba, fieno, pascoli e sostenere il lavoro dei pastori significa trasformare l’allevamento da settore con uno dei maggiori impatti sull’ambiente ad attività che può contribuire a combattere la crisi climatica e tutelare l’ambiente, la biodiversità, il paesaggio.
Significa ridare vita e valore ad aree abbandonate o a rischio di spopolamento. Salvare i prati stabili, i pascoli e i loro custodi non è un atteggiamento nostalgico o bucolico, non significa proporre un ritorno al passato, ma, al contrario, essere ben calati nel presente, consapevoli delle sfide attuali e con uno sguardo propositivo e concreto verso il futuro.
Per questo ci impegniamo a sviluppare iniziative, progetti, ricerche, campagne, per salvare i prati stabili e i pascoli montani dall’abbandono, per ripristinarli dove sono andati perduti, per favorire l’adozione di politiche e normative che sostengano chi li custodisce, per promuovere i prodotti che se ne ricavano.
Occorre impegnarsi per la loro tutela: per questo motivo, oltre 30 tra enti di ricerca e organizzazioni della società civile italiana hanno messo a punto il manifesto Salviamo i prati stabili, i pascoli e i pastori. Il manifesto è stato consegnato al ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, al presidente delle Regione Piemonte, Alberto Cirio, e alle altre istituzioni presenti all’inaugurazione. Da oggi l’adesione è aperta a tutti: istituzioni, associazioni, aziende private, ma anche singoli individui.
Firma anche tu il manifesto: https://cheese.slowfood.it/il-manifesto-per-i-prati-stabili/


Come raggiungere l’obiettivo

Ma come si fa nel concreto a tutelare i prati stabili?
Con la cura. I prati stabili non sono arati, seminati, trattati con la chimica di sintesi, ma non sono neppure selvatici.
Non possono essere abbandonati, devono essere gestiti, richiedono attenzione e competenza. Fanno parte di un delicato sistema agro-silvo-pastorale che vede protagonisti uomo e animali e al cui centro ci sono i pastori, che si occupano dei pascoli, della fienagione, che vivono la montagna. Per poterlo fare, hanno bisogno di contare su un reddito sufficiente: “La politica ha il dovere di sostenere chi lavora beneil messaggio del fondatore di Slow Food, Carlo Petrini –. I comportamenti virtuosi devono essere retribuiti in modo equo.
Non si può più parlare di qualità senza pagarla, ripetere che siamo i migliori del mondo e giocare invece al ribasso. Il diritto alla qualità spetta a tutti, ma abbiamo il dovere di riconoscere il giusto valore, perché il lavoro che fanno i pastori, in primis, di cura dell’ecosistema e di rivitalizzazione delle zone impropriamente dette marginali, non ha prezzo”.
“Slow Food si impegna nei prossimi anni a mappare i prati stabili italiani e a fornire ai consumatori gli strumenti per riconoscere i prodotti che ne derivano – conclude Nappini –. Alle istituzioni chiediamo di rendere accessibili i pascoli ai giovani, migliorando i servizi nelle aree interne, agevolando il loro lavoro”.

Il Ministro Francesco Lollobrigida

L’impegno delle istituzioni

“Non tutti, nel mondo, hanno avuto la fortuna di aver conosciuto i valori legati al cibo – le parole del ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida presente all’inaugurazione di Cheese – . Noi abbiamo il dovere di spiegarlo e raccontarlo. Feuerbach sosteneva “Noi siamo quello che mangiamo”. Da qui deriva l’importanza del benessere dell’animale. La differenza del singolo formaggio, come della singola carne, è data da quello che ha mangiato l’animale e da come è stato curato.
Questa manifestazione ha raccontato, fin dall’inizio, l’importanza della qualità del nostro modo di vivere più che del nostro modo di mangiare. Una componente essenziale, una ricchezza da proteggere e valorizzare contro sistemi di etichettatura fuorvianti e, allo stesso tempo, candidando la cucina italiana a patrimonio dell’Unesco”.

 

 

 

Cheese 2023. I 6 formaggi di cui non potrete più fare a meno

Cheese 2023. I 6 formaggi di cui non potrete più fare a meno

Conciati con l’argilla, affinati con spezie, ricoperti di muffe naturali. La 14esima edizione di Cheese, a Bra (Cn) dal 15 al 18 settembre, riunisce le più originali forme del latte dall’Italia e dal mondo.
Tra espositori italiani e internazionali del Mercato, affineurs e selezionatori, Presìdi Slow Food e prodotti dell’Arca del Gusto, la manifestazione organizzata da Slow Food e Città di Bra anima le strade della cittadina piemontese con il più grande raduno di formaggi a latte crudo.
Ecco una guida agli esemplari più curiosi da assaggiare a Bra.

il pastore Rino Franci

L’axidda di escalaplano nel cuore della Sardegna

In Sardegna si allevano circa tre milioni di pecore, ma il latte è venduto prevalentemente a caseifici cooperativi che lo destinano alla produzione di denominazioni protette, con processi produttivi spesso massificati che banalizzano la qualità e fanno crollare il prezzo del latte.
Slow Food è attiva da sempre per dare un futuro alla pastorizia sarda e lo fa creando nuovi Presìdi su formaggi legati al territorio che stanno rischiando di scomparire, come l’axridda di Escalaplano.
In questo paese di poco più di 2000 abitanti, tra gli aridi altipiani delimitati dalle profonde vallate del Flumendosa e del Flumineddu, il pastore Rino Franci custodisce un pecorino unico al mondo.
Si tratta di un formaggio a latte crudo di pecora, esclusivamente di razza sarda, che fin dai tempi più antichi viene completamente ricoperto di argilla, in dialetto sardo, appunto, axridda, cavata poco lontano dal paese.
Questo tipo di conciatura protegge il formaggio creando una patina naturale che ne rallenta i processi evolutivi, mantenendo un corretto grado di umidità della pasta e difendendola dalle infestazioni di acari e mosche.
Un’antica tradizione oggi spesso circoscritta al consumo familiare che il Presidio Slow Food intende tutelare e promuovere, coinvolgendo nel progetto altri allevatori virtuosi. 

Joe Schneider con il suo Stichelton

Lo stichelton a latte crudo, nella contea di Cambridgeshire, in Inghilterra

Nel Nottinghamshire, una contea dell’Inghilterra nella regione delle Midlands Orientali, Joe Schneider produce da più di dieci lo Stichelton, formaggio vaccino blu dalla tipica forma allungata.
Il nome deriva dal villaggio Stilton, dall’inglese antico Stichl, stile, e Tun, villaggio o frazione.
Joe è l’unico produttore che lo realizza seguendo la tecnica tradizionale e lavorando solo latte crudo proveniente dal suo allevamento. E  proprio per questo non può far parte della Dop e non può chiamare il formaggio con il nome che gli spetta: dal 1996 il disciplinare di produzione dello Stilton prevede infatti la pastorizzazione obbligatoria del latte, e tutti i sei caseifici certificati Dop, che ne producono oltre un milione di forme l’anno, praticano un trattamento termico che uccide la flora batterica originaria, privando il formaggio di ricchezza aromatica e identità.
Slow Food ha deciso di sostenerlo con un Presidio e di aprire un dibattito e una campagna sulla necessità di lavorare latte crudo. 

Pascual Cabaño mentre taglia il suo afuega l’pitu

Dalle Asturie l’afuega l’pitu a latte crudo 

Nel 1981 la legge spagnola proibì la produzione a latte crudo, una decisione che causò la scomparsa pressoché totale di questo formaggio tipico delle Asturie, regione della Spagna nord occidentale. Sopravvisse solo nella città di Pravia, dove si svolgevano Las espichas, feste in cui si beveva molto sidro, accompagnato da cibi salati per stimolare la sete.
Qui un produttore di piccola scala, Pascual Cabaño, riprese la produzione su ispirazione della nonna, che nel suo locale preparava spesso l’afuega l’pitu come dolce.
Questo nome peculiare, che significa nella lingua locale “strozza il pollo, o strozza il collo”, è legato alla consistenza della sua pasta e al fatto che si attacca un poco in gola: secondo la leggenda, se il pollo faticava a inghiottirlo, era il momento giusto per gustarlo.
La stagionatura può arrivare fino a 16 mesi, ma si usa consumarlo anche fresco, appena prodotto – in questo caso si chiama barreña o cuajada – con l’aggiunta di miele o zucchero, o anche fragole.

brie francese

Tra croste fiorite ed erborinati: il delicato sottobosco del brie francese 

Nelle piazze e nelle vie di Bra, il Mercato italiano e internazionale di Cheese espone i migliori prodotti di casare e casari da tutto il mondo.
Dalla Francia, nel piccolo villaggio di La Boissière-Ecole, la Ferme de la Tremblaye produce dal 1967 formaggi di vacca e di capra secondo il modello agroecologico.
L’azienda agricola, situata ai margini della famosa foresta di Rambouillet, nell’Île-de-France, padroneggia tutte le fasi della produzione dei suoi formaggi, dalla coltivazione dei foraggi in agricoltura biologica alla stagionatura, fino alla gestione di vacche da latte e capre, lasciate al pascolo o al prato e allevate con la massima attenzione per il benessere animale.
Tiene conto anche della protezione e della manutenzione del suolo, della foresta, della produzione di energia propria e del riciclaggio dei rifiuti derivanti.
Nel Mercato di Cheese presenta formaggi a pasta molle con crosta fiorita come il brie e il jovencau, che si contraddistinguono per i tipici sentori di sottobosco, e formaggi erborinati, alcuni dei quali beneficiano della denominazione Fromage Fermier. 

l’erborinato di latte vaccino crudo del cuneese

La pungente sorpresa del muschio vaccino del cuneese

Nel Mercato italiano, tra gli erborinati, spicca il colore bluastro e il sapore intenso e pungente del cosiddetto Muschio vaccino, tra i più apprezzati del Caseificio Rabbia, oggi capitanato da Francesco e Giorgio Rabbia, casari di terza generazione.
Nata nel 1890 come bottega artigiana per la produzione di tome, l’azienda di Raffia (Cuneo) valorizza al meglio la biodiversità del territorio, dalle erbe dei pascoli situati ai piedi del Monviso ai profumi della Valle Grana, dove le forme vengono lasciate stagionare.
Ma preserva anche antiche tecniche della tradizione casearia: i formaggi, rigorosamente a latte crudo, vengono ancora prodotti utilizzando caldaie in rame e fasciature manuali con tele di lino, che permettono di delineare un’impronta unica a ogni lavorazione. 

gli affinatori Barbara Cecchellero e Lorenzo Borgo

L’arte dell’affinamento made in Asti di Barbara e Lorenzo

Grande debutto nella via degli Affinatori per l’azienda di Barbara Cecchellero e Lorenzo Borgo, ex studenti dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Cuneo) che già nelle ultime due edizioni di Cheese hanno arricchito il programma dello stand Unisg con le loro originali proposte.
Nel 2018, dopo un percorso di formazione che li ha portati a esplorare l’arte della maturazione casearia in Francia e in Australia, Barbara e Lorenzo tornano nel centro storico di Asti per dare vita al progetto Borgo Affinatori, con l’obiettivo di valorizzare le produzioni degli allevatori locali.
Con questi ultimi sviluppano un rapporto diretto, dando spazio alle realtà attente alla qualità del latte e al benessere dei propri animali.
Affinare vuol dire innanzitutto rispettare il potenziale intrinseco della materia prima, sviluppando aromi, gusto e consistenza. Tra tome, alpeggi e croste lavate, a Cheese propongono alcune delle loro sperimentazioni creative con vinacce, foglie, spezie e cacao. 

Giovani storie e grandi formaggi. Il racconto di chi guarda al futuro del mondo “a latte crudo”

Giovani storie e grandi formaggi. Il racconto di chi guarda al futuro del mondo “a latte crudo”

Possiamo ancora affermare che quello del casaro è un mestiere antico?
Sì, ma stando alle esperienze delle scuole avviate in Italia, non lo è del tutto.
«La figura del pastore, o del casaro, oggi non è più vista in maniera tradizionale. I giovani che si avvicinano a questo mestiere hanno bisogno di formazione, di affiancare alle conoscenze tecnico-scientifiche e all’applicazione delle innovazioni, il savoir faire artigianale dei prodotti caseari del loro territorio, il sapere legato alla gestione dei pascoli» racconta Salvatore Claps, Direttore del Crea Za – Centro di ricerca Zootecnia ed Acquacoltura di Bella, in Basilicata, che parteciperà alla conferenza Cosa vuoi fare da grande? Il pastore! in programma a Cheese, la manifestazione internazionale dedicata ai formaggi a latte crudo organizzata da Città di Bra e Slow Food, dal 15 al 18 settembre. 

Da grande voglio fare il casaro

Claps nel 2022, in collaborazione con Maria Assunta D’Oronzio del Crea Pb – Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia, ha organizzato la prima edizione del corso per tecnici nelle produzioni lattiero-casearie tradizionali sostenibili.
Una vera e propria scuola del casaro, cui fanno eco i vari corsi di pastorizia che stanno nascendo in diverse regioni italiane. «Nei caseifici c’è un’elevata richiesta di manodopera specializzata, di persone competenti che conoscono l’intero processo e sono in grado di intervenire nei punti critici, come la promozione di questi prodotti in un mercato sempre più competitivo e globale».
E così, come dimostra la grande partecipazione a Cheese di espositori da tutte le regioni italiane, e non solo, la narrazione del prodotto tradizionale non è più un aspetto folkloristico, ma un’esigenza per le aree interne, cosiddette marginali, a cui giovani appassionati possono dare un’idea di futuro. «Al corso hanno potuto partecipare 15 studenti: si tratta di ragazzi under 40, non sempre figli di agricoltori o allevatori, spesso laureati. Per metà sono donne, e ci sono anche cinque allevatori di razza podolica, tutti transumanti. Saranno presenti a Cheese, un’occasione unica per loro per raccontarsi e confrontarsi con il panorama lattiero-caseario internazionale. Nel frattempo noi stiamo lavorando alla seconda edizione della scuola del casaro, per rispondere alle richieste dei tanti giovani che non hanno potuto partecipare al corso appena terminato».
I giovani a Cheese sono presenti, con i loro caci e le loro storie, in molte occasioni previste dal programma e nel grande Mercato italiano e internazionale. Conosciamone qui alcuni, in attesa di incontrarli
a Bra dal 15 al 18 settembre.

Davide Nicoli

Il malgaro d’alta quota dell’altopiano di Asiago

Davide Nicoli, produttore del Presidio Slow Food dell’Asiago stravecchio, è uno dei più giovani malgari dell’Altopiano di Asiago, dove si è specializzato in allevamento di razza rendena, le vacche tradizionali di queste montagne.
Oggi gestisce la Malga Serona, nel comune di Caltrano, a circa 1260 metri di altitudine, e da giugno a settembre produce un formaggio dal gusto unico, frutto delle fioriture e delle erbe tipiche stagionali. A Cheese racconta la vita in malga tra magia e difficoltà nella Conferenza Prati e pascoli: perché scompaiono e perché salvarli, venerdì 15 settembre alle 15.

I formaggi dell’Azienda Agricola Nicoletta, situata a Settimo Vittone, in Piemonte.

Alice torna a casa

Altra storia di alpeggio è quella che vede protagonista Alice dell’Azienda Agricola Nicoletta, situata a Settimo Vittone, in Piemonte.
L’azienda nasce agli inizi del Novecento con pochi capi di bestiame e poche forme consumate principalmente in casa, per poi continuare a crescere di generazione in generazione.
Alice, ex studentessa dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, tornata a lavorare nell’azienda di famiglia, ha saputo valorizzare l’attività apportando delle migliorie per rinnovare l’azienda impiegando gli strumenti più idonei alla produzione.
Alcune fasi del ciclo produttivo infatti sono realizzate ancora a mano, altre solo con appositi macchinari, a beneficio della qualità del prodotto finale.
A Cheese potete conoscerla nel grande Mercato dei formaggi o negli eventi organizzati dall’Università di Scienze Gastronomiche, tra colazioni speciali e abbinamenti curiosi.  

Viola Marcelli

La civiltà della transumanza

Viola Marcelli, referente della Comunità Slow Food dell’Aquilano per l’allevamento transumante, è il punto di congiunzione tra la parte istituzionale e il progetto di innovazione della Cooperativa ASCA, fondata nel 1977 ad Anversa degli Abruzzi come azienda agricola da Nunzio Marcelli e da Manuela Cozzi, agronoma specializzata in zootecnia sull’alimentazione degli ovini.
L’obiettivo era quello di recuperare un concetto tradizionale di allevamento, vale a dire estensivo, biologico, con razze rustiche locali, a triplice attitudine.
A partire dal 1987, la Cooperativa è tra le prime in Abruzzo a diversificare l’attività e aprire le porte dell’agriturismo, un’ancora di salvezza per le aziende agricole abruzzesi, soprattutto in un’economia marginale come quella zootecnica e dell’agricoltura montana.
Oggi Viola è la proprietaria dell’agriturismo Porta dei Parchi, dove si alternano differenti attività, dalla pastorizia di tipo tradizionale alla pratica della transumanza, e a Cheese racconta la sua esperienza nella conferenza Settembre, andiamo. è tempo di migrare. La civiltà della transumanza, in collaborazione con l’Istituto culturale per il patrimonio alimentare, partner culturale di Cheese, domenica 17 settembre alle 15. 

Non solo pastori, malgari e casari…

Cuoche, agricoltori, apicoltrici e viticoltori: Cheese è la festa di tutto il mondo Slow Food! Un’occasione di confronto e scambio per i giovani che stanno portando avanti la filosofia del buono, pulito e giusto in cucina, nei campi e tra le vigne.
Li troviamo come relatori nelle Conferenze ospitate dalla Casa delle Biodiversità, come Miguel Acebes, membro della rete Slow Grains e cofondatore di Tularù, azienda agricola organico rigenerativa avviata con Alessandra, la sua compagna, a Ponzano Cittaducale (Ri), tra le valli dei fiumi Salto e Velino. Ma anche nei Laboratori del Gusto, in cui debuttano Manila Bruno, classe 1999, dell’azienda agrituristica Vignola (Pz), che presenta due piatti tipici dell’Appennino lucano, e il giovanissimo Ernesto Salizzoni, al quarto anno dell’istituto alberghiero di Trento, che duetta con Luigi Montibeller, educatore e cuoco dell’Alleanza Slow Food.
Negli Appuntamenti a Tavola si distingue Greta Gemmi, cuoca del ristorante Al Resù a Lozio in Valle Camonica, nel bresciano. Membro dell’Alleanza Slow Food dei cuochi, Gemma è stata premiata, a 24 anni, come miglior giovane nella guida Osterie d’Italia 2023 di Slow Food Editore.

Anat e Daniel Kornmehl

Tra le giovani promesse presenti nelle degustazioni degli alunni dell’Università di Scienze Gastronomiche diamo il benvenuto ad Anat e Daniel Kornmehl, coppia di agronomi che nel 1997 ha deciso di stabilirsi nel deserto del Negev, in Israele, per avviare una fattoria con allevamento di capre, caseificio e annesso piccolo ristorante, e Michael Opalenski di Masseria Cattiva, realtà pugliese che punta su fermentazioni spontanee, coltivazione biologica e sperimentazione.
Grande ritorno invece per Nicola del Vecchio e Michela Bunino della molisana Società agricola Alba, che presentano alcuni formaggi affinati con erbe e fiori provenienti dalle aziende di due loro ex compagni di studi, Erika Coletto dell’Azienda Agricola Antea e Nicola Robecchi, fondatore di Wilden.Herbals.