Il Consorzio di Tutela Vini DOC Cirò e Melissa si presenta a Roma

Il Consorzio di Tutela Vini DOC Cirò e Melissa si presenta a Roma

Il Consorzio di Tutela Vini DOC Cirò e Melissa, il 20 marzo a Roma presenta in collaborazione con FIS, il secondo seminario della rassegna “Gaglioppo tra identità e longevità”.
L’appuntamento è presso la sede centrale della Fondazione, alle ore 20.00, e la conduzione è di Paolo Lauciani, docente di fama internazionale della Fondazione Italiana Sommelier, membro stabile della redazione della guida e della rivista Bibenda e redattore di molti contributi per testi di settore.

Il seminario si struttura come un viaggio sensoriale che, attraverso la degustazione di otto referenze di cantine selezionate, porta i partecipanti alla scoperta dalle marcate connotazioni identitarie che contraddistinguano i rossi calabresi ottenuti da uve Gaglioppo. Un’occasione unica per scoprire grandi vini rossi, complessi, strutturati, capaci di invecchiare acquisendo caratteristiche uniche e riconoscibili, come una tannicità sapientemente domata dagli enologi.

Alla scoperta del Gaglioppo

Nello stesso giorno, inoltre, si brinda con un calice di Gaglioppo alla consegna del Diploma di Sommelier di Fondazione Italiana Sommelier e del Diploma, riconosciuto in tutto il Mondo, di Worldwide Sommelier Association agli allievi FIS che hanno superato gli esami del 72° Corso per Sommelier di Roma.
Questo appuntamento si inserisce all’interno di un percorso che il Consorzio di Tutela Vini DOC Cirò e Melissa, ha intrapreso per portare i vini delle denominazioni di questo territorio sempre maggiormente all’attenzione del pubblico consumer e con gli addetti ai lavori del mondo wine, raggiungendo molteplici mercati nazionali e internazionali.

Il Consorzio quest’anno sarà inoltre presente a Vinitaly e anche durante la fiera non mancheranno le occasioni e gli appuntamenti per scoprire i vini della DOC calabrese. Il Consorzio organizzerà diverse masterclass e seminari. In particolare, domenica 2 aprile, ci sarà un evento al Teatro Stabile di Verona dedicato alla stampa e agli operatori di settore, che vedrà i vini dei produttori del Consorzio abbinati ai differenti sapori delle cucine regionali italiane. Focus dell’evento sarà scoprire i vini di questo territorio, i vitigni autoctoni da cui nascono e la loro grande abbinabilità.

Vini del sud: oltre il Sangiovese

[:it]137959630411668di Nadia Fondelli – Una sera di mezza settimana é perfetta per scoprire cose nuove. Così è stato per me quando, con parecchia curiosità sono andata in pieno cento di Firenze in una libreria-caffè-teatro alla scoperta di vini del sud, tutti da scoprire a chi ha un palato molto avvezzo al Sangiovese.

Radici del Sud grande contenitore del food e wine che si celebra ad inizio estate a Bari ha deciso di andare in tournee e portare al nord in questo caso tre autoctoni meridionali: il Negroamaro, il Gaglioppo e l’Aglianico.

Se il primo dei tre è il più noto perché espressione di quel Salento dalle spiagge belle da sempre ma (chissà perché) frequentate da poco, molto incuriosivano gli altri due vitigni.
L’Aglianico vino minerale nella sua eccezione lucana, ma ben diverso fra le cime dell’avellinese e il Gaglioppo espressione di quella Calabria laboriosa che non fugge, ma vive, lotta e produce.

Nicola Campanile, che di Radici del Sud è inventore e mattatore in 11 anni si è dato parecchio da fare per far sapere che i vini si sanno fare bene anche a longitudini meno frequentate.
Nei giorni baresi la vetrina offre infatti molto: dal contatto diretto delle aziende coi buyers, a un concorso alla cieca (finalmente) fino a specifici press tour per la stampa soprattutto estera.

Questo forse l’unico errore; dare troppo per scontato che i colleghi italiani conoscano bene questi vini e le loro storie e tradizioni quando invece, basta guardare nelle enoteche e ristoranti del sud dove sono davvero pochi i degustatori, anche delle grandi guide presenti all’assaggio.

Tornando alla serata fiorentina, dopo un introduzione con dei rosé che servivano per rompere il ghiaccio, ma che invece hanno solo fatto capire come i vini abbiamo bisogno del loro tempo la full immersion ha regalato nuovi saperi.

Il Negramaro, in espressioni diverse di annate (2010 e 2011) e di produzioni (bio e convenzionale) ha piacevolmente colpito con le sue note decise di pepe nero, paglia, cuoio e cannella anche se la struttura in alcuni casi era perfettibile; può risultare fastidiosa l’aggressione alcolica e tanninica al palato alto e alla gola.

Il Gaglioppo molto personale e selvaggio come le selve che profumano di salmastro del cuore di Calabria da cui proviene, ci è parso più leggero nella corposità anche se deciso e personale nel colore; tannini decisi, aromi di caramello, mou e liquirizia.

L’Aglianico infine ha emozionatolo la scrivente, appassionata di vini minerali nella sua espressione lucana dove il Vulture e il suo antico vulcano sprigionano in bocca note superbe di terra e carmello che avvolgono pienamente la bocca con tannini corposi e decisi.
Meno personale, ma più divertente nel gioco degli aromi la versione campana.

In conclusione una serata bella e interessante che fa capire come saper fare vini è arte antica e che il territorio gioca una parte fondamentale nel risultato.
Piacerebbe forse sentire più blend, capire cosa potrebbe uscirne con percentuali di vitigni internazionali, ma la sensazione è che ai sudisti il vino piace così: nudo e puro. A costo di non (com)piacere.

 [:en]137959630411668di Nadia Fondelli – Una sera di mezza settimana é perfetta per scoprire cose nuove. Così è stato per me quando, con parecchia curiosità sono andata in pieno cento di Firenze in una libreria-caffè-teatro alla scoperta di vini del sud, tutti da scoprire a chi ha un palato molto avvezzo al Sangiovese.

Radici del Sud grande contenitore del food e wine che si celebra ad inizio estate a Bari ha deciso di andare in tournee e portare al nord in questo caso tre autoctoni meridionali: il Negroamaro, il Gaglioppo e l’Aglianico.

Se il primo dei tre è il più noto perché espressione di quel Salento dalle spiagge belle da sempre ma (chissà perché) frequentate da poco, molto incuriosivano gli altri due vitigni.
L’Aglianico vino minerale nella sua eccezione lucana, ma ben diverso fra le cime dell’avellinese e il Gaglioppo espressione di quella Calabria laboriosa che non fugge, ma vive, lotta e produce.

Nicola Campanile, che di Radici del Sud è inventore e mattatore in 11 anni si è dato parecchio da fare per far sapere che i vini si sanno fare bene anche a longitudini meno frequentate.
Nei giorni baresi la vetrina offre infatti molto: dal contatto diretto delle aziende coi buyers, a un concorso alla cieca (finalmente) fino a specifici press tour per la stampa soprattutto estera.

Questo forse l’unico errore; dare troppo per scontato che i colleghi italiani conoscano bene questi vini e le loro storie e tradizioni quando invece, basta guardare nelle enoteche e ristoranti del sud dove sono davvero pochi i degustatori, anche delle grandi guide presenti all’assaggio.

Tornando alla serata fiorentina, dopo un introduzione con dei rosé che servivano per rompere il ghiaccio, ma che invece hanno solo fatto capire come i vini abbiamo bisogno del loro tempo la full immersion ha regalato nuovi saperi.

Il Negramaro, in espressioni diverse di annate (2010 e 2011) e di produzioni (bio e convenzionale) ha piacevolmente colpito con le sue note decise di pepe nero, paglia, cuoio e cannella anche se la struttura in alcuni casi era perfettibile; può risultare fastidiosa l’aggressione alcolica e tanninica al palato alto e alla gola.

Il Gaglioppo molto personale e selvaggio come le selve che profumano di salmastro del cuore di Calabria da cui proviene, ci è parso più leggero nella corposità anche se deciso e personale nel colore; tannini decisi, aromi di caramello, mou e liquirizia.

L’Aglianico infine ha emozionatolo la scrivente, appassionata di vini minerali nella sua espressione lucana dove il Vulture e il suo antico vulcano sprigionano in bocca note superbe di terra e carmello che avvolgono pienamente la bocca con tannini corposi e decisi.
Meno personale, ma più divertente nel gioco degli aromi la versione campana.

In conclusione una serata bella e interessante che fa capire come saper fare vini è arte antica e che il territorio gioca una parte fondamentale nel risultato.
Piacerebbe forse sentire più blend, capire cosa potrebbe uscirne con percentuali di vitigni internazionali, ma la sensazione è che ai sudisti il vino piace così: nudo e puro. A costo di non (com)piacere.

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