Ott 9, 2023 | Enogastronomia
La grappa è da bevitore povero (magari anche anziano e malmesso) da circolo di periferia e la falsa bibita colorata è invece figa perché sostenuta da multinazionali. Questa la leggenda metropolitana.
La grappa 4.0 è altro.
Abbiamo assistito alcuni tempi fa ad un fidanzamento fra la cucina italiana di livello e la grappa trentina.
Se il matrimonio si farà, culinariamente parlando, è presto per dirlo. Personalmente non trovo niente di strano o inedito a cucinare con la grappa.
E’ pratica tradizionale di alcune zone alpine del Triveneto da sempre. Ma agli occhi di giovani colleghi e critici gastronomici, è parso questo l’argomento stesso di discussione di una serata insolita più che cercare di conoscere a fondo il mondo complesso delle vinacce e il duro lavoro del distillatore.

Quando il distillato si fa mixology
Le stesse disquisizioni sul cucinar grappando forse non sarebbero nemmeno sorte se il distillato in questione fosse stato uno più modiaiolo.
Penso ad un rum, per esempio, oggi sdoganato ai Millennians dai bartender che lo rendono protagonista di miscelazioni di cui a volte neanche si sentirebbe il bisogno.
Ma il rum o ron oggi è considerato un prodotto da scoprire, così come lo è da sempre un buon whisky e un buon cognac. Sono distillati da meditazione.

La grappa dei Millenials
Fra una portata e l’altra della nostra cena, la grappa da bere aveva lo stesso destino che ha nei concorsi internazionali. L’indifferenza.
Si disquisiva se quella diluita nel piatto aveva più o meno un buon legame con un certo ingrediente, se l’acidità e la dolcezza erano giuste, se il contrasto era equilibrato. Ma perché?
Forse quando si accompagna un sangiovese a un cinghiale o a un ragù si parla se il vino cucinato con la carne è perfetto o perfettibile?
No. Il vino ha identità di soggetto; il rum e altri distillati internazionali pure. La grappa è un oggetto. Di accompagnamento.

Bruno Pilzer un uomo senza vinacce sulla lingua
Sarà perché la grappa corre da tradizione nelle mie vene un po’ mitteleuropee. Sarà perché mi sono trovata a cercare di dare risposte a queste domande con Bruno Pilzer. Uomo senza peli ma con vinacce sulla lingua, attualmente alla guida dell’Istituto di Tutela della Grappa Trentina, ma alcune cose mi sono chiare.
In Italia il mondo della grappa è massacrato da una burocrazia ottusa (come già ci aveva detto in una lunga intervista la regina mondiale della distillazione Priscilla Occhipinti di grappe Nannoni).
All’estero è considerata alla stregua di una vinaccia imbevibile, magari a base di sorbo con sentore di calzino sudato d’estate.

Tipi di grappa
La grappa negli ultimi anni ci ha provato ad essere più ruffiana. Ha cercato di darsi una veste nuova nella versione ambrata da invecchiamento sulla scia del vino che è uscito dal disastro metanolo rifugiandosi nelle barriques.
Ma è quella la vera grappa?
La grappa autentica, e lo conferma il ritorno sul mercato in paesi consumatori come l’Austria, è quella bianca, quella più fresca e giovane.
E’ lì che senza trucco e inganno emerge se la qualità delle vinacce e della lavorazione sono buone. E lo sa bene chi ha avuto la fortuna di vivere, almeno per una visita, l’atmosfera della distillazione. I suoi profumi, i rumori delle caldaie, il lavoro frenetico e faticoso del momento topico in cui l’alchimia si manifesta.
C’è però chi preferisce l’ambrata perché più morbida e aromatica e appunto più modaiola. Non esiste la grappa perfetta. Esiste la grappa che a noi personalmente piace di più.

Grappa e marketing
Bruno Pilzer pare quasi rassegnato quando racconta che la grappa non è compresa da nessuno e che anche ai concorsi internazionali il solo fatto di essere “grappa” porta in se penalità anche in presenza di altissima qualità.
Ma cercando di darsi delle risposte siamo certi che è necessario spezzare la logica che il buon marketing nell’epoca della globalizzazione conti più del buon prodotto.
Alcune bevande, imbevibili di chimica e colore, proposte ai nostri giovani per sbornie a basso costo ad esempio sono assistite da massicce campagne di comunicazione che le fanno sembrare necessarie. Di contrasto, grandi prodotti come la grappa tradizionale trentina e italiana, che non ha alle spalle grandi agenzie ma “solo” il lavoro tramandato da secoli di fatica e passione per creare un’alchimia perfetta di profumi e sapori, sono considerate chip.
La grappa è da bevitore povero (magari anche anziano e malmesso) da circolo di periferia e la falsa bibita colorata è invece figa perché sostenuta da multinazionali.
Dovremmo uscire da questo circolo vizioso di controlla-cervelli e provare a vedere coi nostri occhi, sentire con le nostre orecchie e degustare con il nostro naso e la nostra bocca.
E noi che ci occupiamo di agroalimentare dovremmo informare correttamente, raccontare, fare conoscere personaggi come Bruno.
Non deve servire per estremizzare, cambiare nome e immagine a un prodotto per renderlo cool. Se un quadro è una crosta anche con ottima cornice crosta rimane.
Noi continueremo a festeggiare con un momento di meditazione. Con una buona trentina o una buona friulana, profumate di vinacce che portano in se il cuore vivo della tradizione e della cultura italiana. Così come nel vino, nella grappa.
La speranza e che cominciate a farlo anche voi…
Dic 3, 2022 | il Fuori Toscana
L’antica arte di trasformare la “povera” vinaccia in prezioso distillato.
Questo il magico processo protagonista de La notte degli alambicchi accesi, speciale spettacolo teatrale itinerante organizzato dall’Associazione culturale “Santa Massenza piccola Nizza de Trent” con il supporto di Trentino Marketing, il coordinamento della Strada del Vino e dei Sapori del Trentino – nell’ambito della promozione delle manifestazioni enologiche provinciali trentine denominate #trentinowinefest – e la collaborazione di Garda Dolomiti e Istituto Tutela Grappa del Trentino.
Un evento, quest’anno in programma da giovedì 8 a domenica 11 dicembre, diventato ormai una tradizione, a cui ogni anno accorrono centinaia di visitatori da tutta Italia che riempiono di allegria le stradine del piccolo borgo di Santa Massenza di Vallelaghi, detto anche la “piccola Nizza de Trent” per via del suo ridente passato di località turistica estiva amata soprattutto dai vicini abitanti di Trento e riconosciuta come “capitale della grappa artigianale”, visto che vanta la maggiore concentrazione in Italia di distillerie artigianali a conduzione familiare.
Ed è proprio in queste distillerie, prezioso patrimonio storico-culturale del borgo, che vanno in scena i diversi episodi dello spettacolo itinerante degli attori della compagnia teatrale Koinè, guidati dalla divertente voce narrante di Patrizio Roversi.
Sette le performance previste nell’arco di quattro giorni (2 al giorno l’8, il 9 e il 10 mentre una l’11 dicembre) in cui, di volta in volta, gli spettatori saranno divisi in 5 gruppi, dotati di radiocuffie e condotti all’interno delle cinque distillerie del paese: Distilleria Casimiro, Distilleria Francesco, Distilleria Giovanni Poli, Distilleria Giulio & Mauro e Maxentia.
Ad ogni tappa, ovviamente, anche una piccola degustazione, con assaggi delle varie versioni del distillato – tra cui la grappa di Nosiola, vitigno rappresentativo della Valle dei Laghi e unica varietà a bacca bianca autoctona della provincia, e quella di Vino Santo, vera chicca ottenuta dalle vinacce degli acini di Nosiola lasciati appassire fino a primavera – in abbinamento a dolci e specialità del territorio.
Un appuntamento che valorizza la grappa artigianale trentina e il suo rigido processo produttivo, protetto dal disciplinare dell’Istituto Tutela Grappa del Trentino, che prevede l’utilizzo esclusivo di vinacce fresche locali e la tradizionale distillazione con il metodo “a bagnomaria” in alambicchi discontinui: un’arte tramandata di generazione in generazione, praticata da distillatori che utilizzano modeste quantità quando la vinaccia è ancora fresca e profumata e prediligono un riscaldamento uniforme, lento e continuo del contenuto, al fine di ottenere una migliore estrazione degli aromi.
Set 12, 2022 | Enogastronomia
Con la morte della Regina Elisabetta d’Inghilterra tanto si è scritto e spettegolato sul segreto dell’elisir di lunga vita della sovrana dei record.
Dopo 70 anni di regno e 96 primavere ben vissute si è parlato molto del suo senso del dovere dei suoi pasti parchi e di quel “vizietto” di concedersi ogni giorno, oltre al britannico rito del tè delle cinque del pomeriggio, qualche buon drink.

I drink della Regina
Tutte le cronache narrano di tre o quattro dosi alcoliche giornaliere bevute da Lillibet che si divideva fra gin, buon vino (soprattutto Champagne) e Martini.
Nessuno però fino ad oggi ha svelato il segreto che lega la Regina al buon bere italiano.
Importanti tabloid british fra cui Business Insider e The Independent hanno raccontato che la regolarità anche nel bere era una delle sue doti e grazie a testimonianze dirette abbiamo saputo che il primo drink di Elisabetta arrivava in tarda mattinata e sarebbe stato il cocktail Gin & Dubonnet così amato prima di lei anche dalla Regina Madre. Un drink in stile francese preparato solo con gin Gordon’s, limone e abbondante ghiaccio.
Il pranzo era accompagnato da un classico bicchiere di vino e poi si proseguiva con un Dry Martini e un bicchiere di champagne prima di coricarsi.
Una narrazione un po’ frammentaria e poco approfondita dato che escluso il primo cocktail della giornata poco sappiamo se non il nome del gin preferito e l’inossidabile Dry Martini. Poco sappiamo del vino prediletto per il pasto e soprattutto niente si sa del segreto alcolico di Lillibet di cui solo noi vi narreremo.

Non solo champagne. I grandi vini italiani e la Casa Reale
Andiamo con ordine. La reale più pop dei due ultimi secoli era nota per essere amante del bello e del buono, specie se bucolico ed ha sempre apprezzato anche i grandi vini italiani con buona pace dei cugini d’Oltralpe.
Al suo banchetto di nozze nel 1947 si servì infatti anche il Brunello di Montalcino Biondi-Santi e nel 1969 in occasione di una cena all’Ambasciata italiana di Londra in onore della Regina il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat scelse personalmente il Brunello di Montalcino Riserva 1955, bottiglia che “Wine Spectator” ha inserito, come unico vino italiano, tra le migliori del Novecento.
Non solo Champagne quindi ma anche il grande rosso italiano e una passione anche per il più celebre dei perlage nostrani ovvero quel Prosecco così popolare in Gran Bretagna al punto tale che anche Sua Maestà ne è divenuta produttrice al punto che nelle scorse feste di fine anno ha spopolato a Londra e dintorni il suo Vintage Prosecco – Christmas venduto nella Tenuta reale di Norfolk, a Sandrigham e prodotto dalle Vivo Cantine di Campodipietra di Salgareda, a Treviso.
Infine è da sottolineare che il neo re Carlo III è lui stesso produttore vitivinicolo nella sua tenuta di Highgrove House e la consorte Camilla ricopre il ruolo di presidente della United Kingdom Vineyard Association tant’è che nel 2017 durante la loro ultima visita in Itala hanno incontrato alcuni dei produttori più importanti del vino italiano a Firenze.
Champagne e gin
Non vogliamo essere troppo provinciali e quindi è doveroso parlare anche di cosa Elisabetta beveva dal suo flûte. I suoi champagne preferiti narrano le cronache essere il Bollinger, il Krug, il Veuve Clicquot o Lanson, tutti degustati rigorosamente a cena.
Una nota a parte lo merita però il gin così amato dalla sovrana al punto di scegliere di averne uno tutto suo. Nello shop di Buckingham Palace si può acquistare infatti quello preparato con le erbe raccolte a mano in gran parte proprio nel giardino della Regina.

Il vero segreto di Elisabetta? La grappa
Nessuna cronaca ufficiale e nessun tabloid scandalistico ha però mai narrato che la grande passione di Elisabetta era la grappa.
Ebbene sì, il grande distillato italiano ancora troppo sottovalutato alle nostre latitudini – a causa di prodotti sul mercato di scarsa qualità, è bene sottolinearlo – non mancava mai nelle stanze reali inglesi.
Quale grappa avrebbe potuto mai bere la regina dei record se non quella distillata dalla massima espressione nel campo?
Una grappa straordinaria sapientemente distillata dalle mani preziosissime della Maestra distillatrice Priscilla Occhipinti che forte delle sue oltre 180 medaglie oro e doppio oro internazionali vinte dal 2011 ad oggi è anch’essa una regina.

Priscilla Occhipinti: una regina per la Regina
“Una buona grappa bevuta in maniera consapevole è la rappresentazione plastica di un territorio” racconta la Maestra Priscilla che assicura che per Lillibet distilla vinacce di prima scelta provenienti da Montalcino. “In ogni mia grappa metto il mio amore e la mia passione oltreché l’essenza stessa del territorio perché in bocca devono arrivare emozioni e ricordi indelebili. La grappa è un grande prodotto eil bere consapevole deve essere un mantra della cultura che dobbiamo fare del buon bere. Non a caso anche qui a Paganico abbiamo una signora di 105 anni che ogni sera si concede una buona grappa”
L’azienda che fornisce le vinacce ed etichetta la grappa reale è top secret ma si sa di certo che a Buckingam Palace arriva la massima espressione del grande distillato italiano made in Italy pluripremiato con medaglie d’oro e doppie medaglie d’oro.
“Voglio che la materia prima nel bicchiere valorizzi il lavoro del vignaiolo, dell’enologo e del cantiniere”. E’ questa la bibbia della Maestra distillatrice e l’elisir di lunga vita di Elisabetta II?
Chissà se anche l’erede Carlo durante il suo ultimo viaggio in Italia si sia fermato anche a Paganico dove immerso nelle nebbie autunnali fra Siena e Grosseto è il “regno” di Priscilla Occhipinti e dove è davvero emozionante immergersi nei vapori fra sibili e sbuffi a sentire la dolce musica della distillazione inebriandosi dai profumi delle vinacce dove nascono le grappe migliori del mondo.

Priscilla col suo Maestro Nannoni
Degustando la grappa della Regina Elisabetta II
La grappa della Regina per i più curiosi è davvero un sontuoso prodotto da meditazione.
Una riserva da vinacce fresche di Sangiovese grosso di Brunello di Montalcino distillata entro le 48 ore dalla svinantura e invecchiata in barrique per minimo cinque anni.
Colore dorato, note di cuoio, tabacco stagionato, nocciola e noce che si alternano a piacevoli sensazioni di miele di castagno e rovere.
In bocca è intensa, calda, immediata e molto persistente con sensori di frutta sciroppata, caramella, nocciola, miele e rabarbaro.
Un elegante 42% distillata artigianalmente col metodo discontinuo con caldaiette a vapore e colonna discontinua a basso grado e taglio di testa e coda eseguito manualmente ad ogni cotta dal Maestro Distillatore.
Il costo non è da Regina. Con poco più di 100 euro potreste assicurarvi l’elisir della Regina dei due secoli.