Dic 28, 2023 | Enogastronomia, Territori
Sette nuovi Presìdi slow food per la Puglia, da nord a sud. Il progetto è volto alla valorizzazione delle eccellenze agroalimentari e realizzato nell’ambito delle attività del programma di promozione dei prodotti agroalimentari pugliesi di qualità ed educazione alimentare, promosso dalla Sezione Coordinamento Servizi Territoriali del Dipartimento Agricoltura. La sinergia fra Regione Puglia Assessorato alle Politiche Agricole e Slow Food Puglia ha portato all’istituzione di nuovi Presìdi che insieme ai cinque “nuovi nati” nella prima fase che si è conclusa esattamente un anno fa, porta a 12 i nuovi Presìdi Slow Food in Puglia in due anni.
I nuovi presidi sono: uva Baresana, piselli tradizionali Salentini, agrumi tradizionali di Palagiano, cipolla rossa delle Saline di Margherita di Savoia, suino Nero Pugliese, carciofo della Terra dei Messapi, pecora Gentile di Puglia.
L’uva baresana
E’ un uva da tavola coltivata anticamente nel comune di Adelfia, in provincia di Bari.
Si tratta di un vitigno all’origine allevato ad alberello pugliese, senza sostegno, a due branche. Si presta bene anche ad alberello a vaso, ma oggi è coltivata prevalentemente a tendone pugliese tradizionale o a pergolato.
Sulle origini di questa coltura si apre un ampio panorama di notizie e curiosità locali. La più antica citazione del termine “Baresana” risale al 1892.
La raccolta avviene da inizio settembre a metà ottobre.
Piselli tradizionali salentini
Questa denominazione accomuna tre ecotipi autoctoni di piselli che fanno parte dello stesso Presidio (Pisello Riccio di Sannicola, Pisello Nano di Zollino, Pisello Secco di Vitigliano) che vengono prodotti in provincia di Lecce, nella zona del basso Salento.
Agrumi tradizionali di Palagiano
Questa denominazione è riservata alle arance, ai mandarini e ai limoni prodotti nel territorio di Palagiano, provincia di Taranto, per le antiche varietà che permangono negli agrumeti storici della zona.
Le prime cultivar (Avana, Biondo e Vaniglia) risalgono al sec. XVIII.
Cipolla rossa delle saline di Margherita di Savoia
La denominazione deriva dal fatto che il bulbo presenta sottili tuniche esterne di colore rosso intenso, con sfumature purpuree.
Anche l’epidermide presenta colorazione rossastra.
E’ un prodotto fresco caratterizzato da bulbi teneri, succulenti, croccanti ad alto contenuto di zucchero. Se il prodotto viene raccolto prima dell’ingrossamento del bulbo, prende il nome di cipollotto o sponzale.
Suino nero pugliese
La zona di allevamento ricade nell’intero territorio della regione Puglia, con diffusione particolare nell’area della Capitanata, della Murgia e della Valle d’Itria.
La storia di questa razza è legata alle vicende storiche e pastorali dell’Italia appenninica.
Questi esemplari, allevati prevalentemente allo stato brado, si sono adattati alle aree ricche di boschi in cui ghiande, castagne, tuberi e radici rappresentavano una importante fonte nutritiva.
Carciofo della terra dei Messapi
Pianta tipica mediterranea, da secoli coltivata nel territorio brindisino, che appartiene alla tipologia “Catanese”, le prime carciofaie, risalenti all’immediato dopoguerra, furono realizzate infatti con materiale di propagazione proveniente dalla Sicilia.
E’ una pianta precoce e rifiorente, altezza media di circa un metro e mezzo, che produce in media 8-9 capolini a forma quasi cilindrica. La raccolta inizia a dicembre e prosegue fino a maggio.
Pecora gentile della Puglia
Razza ovina autoctona appartenente alla specie Ovis aries.
La zona di allevamento ricade nella parte settentrionale della regione Puglia, province di Bari, Barletta- Andria- Trani, Foggia e nelle regioni limitrofe storicamente interessate alla transumanza.
Ha origine nella provincia di Foggia, area compresa tra il fiume Fortore, il fiume Ofanto, il Gargano e il Sub Appennino Dauno.
Nota per la finezza della sua lana, la razza è apprezzata per la sua resistenza alle malattie e per la capacità di adattamento a condizioni climatiche semi aride della Puglia.
Dic 9, 2023 | Enogastronomia, Territori
Mantello scuro, taglia piccola, zampe corte e robuste e una criniera di lunghe setole sulla schiena: ecco a voi il suino Sardo, appena entrato a far parte dei Presìdi Slow Food.
Una razza rustica, allevata in tutta la regione, dalle Barbagie alle aree del Gennargentu e del Supramonte, ma anche in Ogliastra, nel Sarrabus-Gerrei, nell’area del Monte Linas e nel Sulcis-Iglesiente, di cui si trovano riferimenti antichissimi, ma che negli ultimi decenni aveva rischiato la scomparsa a causa dell’arrivo sull’isola della peste suina africana.
Foto Jacopo Goracci
L’attitudine al pascolo
Dopo un lungo lavoro di eradicazione del virus, dal 15 dicembre del 2022 è caduto l’embargo sulle esportazioni di carni suine dalla Sardegna, una situazione che perdurava da quarant’anni.
«Restano solo quattro comuni in zona rossa – ricorda il referente Slow Food del nuovo Presidio, Raimondo Mandis – mentre dal resto della regione è nuovamente possibile movimentare carni e salumi al di fuori dell’isola. Il riconoscimento come Presidio è un segnale, un modo per sottolineare l’importanza di promuovere forme di allevamento locali e pratiche di trasformazione virtuose, per evitare che si commercializzino carni che arrivano da fuori regione e che, in Sardegna, vengono soltanto trasformate, come tuttora in alcuni casi avviene. Abbiamo una razza autoctona da sostenere e valorizzare, simbolo della biodiversità locale e fortemente integrata nell’ambiente isolano».
Una razza che si è salvata grazie al lavoro di alcuni allevatori sostenuti dall’Associazione allevatori della regione Sardegna (AARS), che dal 1920 cura un libro genealogico di razza e che oggi si occupa anche dei controlli per la sua continuazione.
Il suino Sardo, il cui colore può variare dal nero al fulvo, passando per il grigio e il pezzato, è un grande pascolatore: «Tenace e resiliente, è in grado di procurarsi autonomamente il nutrimento nei boschi e nelle foreste della regione – prosegue Mandis – ed è anche per questo motivo che si è diffuso così tanto: alimentarlo e mantenerlo costava poco».
L’animale, 60 centimetri al garrese e un peso che oscilla tra gli 80 e i 150 chili, si nutre in particolare di ghiande, che nei lecceti abbondano: «Grazie al pascolamento, il cosiddetto semibrado controllato che prevede ampia libertà di movimento e una doppia recinzione per evitare che i suini domestici entrino in contatto con i cinghiali, l’animale si sposta parecchio e consuma molto dell’apporto nutritivo che assume grufolando. Ne deriva una carne dal grasso importante, ma dalle caratteristiche nutrizionali ottimali, con bassa percentuale di grassi insaturi» sottolinea il responsabile Slow Food del Presidio. «E poi il suino Sardo non viene alimentato con insilati né assume antibiotici. Il finissaggio poi, con ghiande, carrube e castagne, assicura prodotti molto dolci».
Foto Jacopo Goracci
Il piatto simbolo della Sardegna
In Sardegna, una regione nota a livello internazionale per l’importanza e la diffusione dell’allevamento di pecore, quella di maiale rimane «la carne più consumata» spiega Mandis.
Il maialino arrosto, su proceddu arrustiu, per molti rappresenta infatti il piatto regionale per eccellenza. «Non è una carne che si consuma quotidianamente – sottolinea –. È il piatto che si prepara in occasione delle feste, è il simbolo del convivio e ha un valore culturale fortissimo: in alcuni nuraghi sono state rinvenute statuine bronzee raffiguranti il maiale domestico e il cinghiale. Insomma, in Sardegna abbiamo seimila anni di storia del consumo di maiale».
La carne di suino Sardo viene utilizzata anche in norcineria: se ne ottengono salumi come il prosciutto ogliastrino o barbaricino, la lonza, il guanciale, la coppa, la pancetta, il lardo maturo, i salami, la salsiccia sarda secca, la testa in cassetta e anche piccole mortadelle.
«Oltre alla tradizione gastronomica, l’allevamento del maiale ha un’importante dimensione sociale – conclude Mandis –. Nei boschi dove i maiali pascolano vengono da secoli rispettati i cosiddetti usi civici: qui le terre sono utilizzate dalla comunità e gli allevatori le occupano a rotazione, ciascuno per un certo periodo di tempo, assicurando a tutti la possibilità di nutrire i propri animali e conservando le risorse del bosco in modo bilanciato. Il tutto, naturalmente, soltanto nelle stagioni più fredde, i mesi nei quali i maiali non rischiavano di danneggiare le altre colture».
I produttori che aderiscono al Presidio Slow Food sono al momento tre, di cui due sono allevatori e uno soltanto trasformatore. Gli allevatori complessivamente interessati al programma di recupero della razza del suino Sardo sono una novantina, il triplo di vent’anni fa.
Mar 9, 2012 | Arezzo, Da non perdere, Enogastronomia, Valdarno
La razza nera ovaiola è ormai quasi estinta, ma quella bianca da carne che fino a cinquant’anni fa aveva un giro di mercato incredibile sopravvive, per sua e nostra fortuna nel cortile dei contadini. Un pollo vero e genuino di quelli che non si trova quasi più. Da provare, se free pokies games online il contadino ve lo fa assaggiare.
Altro prodotto dimenticato da provare è la Tarese un salame antico realizzato con la parte centrale del maiale, pancia e schiena compresa. Oggi è un presidio Slow Food ed è stato salvato dal’estinzione per un pelo anche se ancora difficile da trovare, ma voi cercate.