Apr 22, 2016 | Enogastronomia, Prato, Shopping
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di redazione – Nasce la mortadella, prodotta con le “parti nobili” del maiale tipico toscano, allevato fin dagli etruschi, ma fino a qualche anno fa considerato estinto. Un prodotto di nicchia, realizzato dall’artigiano delle mortadelle di Bologna, Silvio Scapin
Anche Montemurlo ha la sua mortadella, un prodotto di nicchia e di altissima qualità, realizzato con le parti nobili del suino nero di macchiaiola maremmana, allevato dall’azienda agricola “Il Poggiolino Montemurlo”.
Una vera e propria novità per l’azienda di Cicignano che va ad arricchire il paniere di salumi tutti “made in Montemurlo”.
Il salume è stato presentato alla presenza del sindaco di Montemurlo, Mauro Lorenzini, che ha detto:
« I due terzi del territorio di Montemurlo si estendono nella parte collinare ed è un piacere sapere che ci sono imprenditori come la famiglia Tissi, che investono nella cura dell’ambiente e nella promozione dei prodotti locali. Questo è il nostro valore aggiunto ed è così che si promuove il turismo e l’agricoltura sostenibile».
Inoltre, il sindaco ha sottolineato il valore della giovane imprenditoria agricola al femminile, ben rappresentata da Giulia Tissi, poco più che trent’anni, e figlia del fondatore dell’azienda “Il Poggiolino”, che all’amore del padre per un allevamento di qualità ha aggiunto il marketing e a breve aprirà uno spaccio dove poter acquistare i vari salumi della macchiaiola maremmana.
L’ultima arrivata in casa “Poggiolino” nasce dalla passione del proprietario, Bruno Tissi, per la regina delle tavole bolognesi: la mortadella.
Così alcuni mesi fa Tissi fa contattare il migliore artigiano delle mortadelle bolognesi, Silvio Scapin, da oltre quarant’anni patron di “Artigianquality” nel centro di Bologna e presidio slow food, e gli propone una nuova sfida: realizzare una mortadella dalle carni di macchiaiola maremmana.
È così che Montemurlo e Bologna si mettono insieme per dare vita ad un prodotto straordinario per gusto e qualità. Un prodotto di nicchia che per ora l’azienda agricola “Il Poggiolino” proporrà soltanto in alcuni periodi dell’anno ed in produzione limitata.
«Le carni di macchiaiola maremmana costituiscono un unicum, non esiste qualcosa di simile altrove, tanto che ho accettato volentieri la sfida che mi ha proposto Bruno Tissi.- spiega il “maestro della mortadella” Silvio Scapin– Il metodo di allevamento allo stato semi-brado, l’alimentazione con prodotti del sottobosco, frutta, verdura e i cereali prodotti dall’azienda agricola stessa migliorano il benessere dell’animale, rendendo le carni naturalmente saporite, così come lo erano un tempo e il risultato è una mortadella di grande consistenza, aroma e qualità».
Nulla a che vedere con le produzioni industriali. Per produrre la mortadella di macchiaiola maremmana Scapin ha utilizzato le parti più nobili dell’animale: prosciutto, parte della pancetta, gola e spalla denervata. Banditi gli additivi chimici e il pepe, mentre il sapore, oltre che dalla consistenza delle carni, viene dalle spezie naturali utilizzate e dosate con maestria: macis, cardamomo, coriandolo e noce moscata. Una produzione “lenta” che dura in media quattro o cinque giorni. La carne viene macinata e mescolata con le spezie selezionate. Sono, poi, aggiunti i lardelli di gola e il sale marino. Il composto viene insaccato in budelli naturali, legati a mano e poi fatti cuocere lentamente (cottura per assunzione) in particolari stufe per 24-28 ore. Così la carne ha tutto il tempo di far “esplodere” i propri aromi e profumi. Una mortadella tutta naturale, che, tra le altre qualità, ha anche quella di essere ben digeribile.
Le carni del “Poggiolino”, infatti, sono naturalmente buone: i suini neri sono allevati in un ambiente incontaminato all’interno dell’area protetta del Monteferrato ed hanno un dna al 100% toscano. Allevati fin dagli etruschi, i maiali di macchiaiola maremmana fino ad alcuni anni fa era considerati estinti. Il recupero della razza è iniziato nel 2005 con il ritrovamento di un nucleo di riproduttori alle pendici dell’ Amiata ed proseguito grazie al sostegno del progetto europeo Vagal con il patrocinio della Provincia di Grosseto ed alla collaborazione dell’Università di Firenze ed è così rincominciato l’allevato di questa razza antica. L’allevamento, la riproduzione, la produzione di carne e la trasformazione dei prodotti stagionati della “Macchiaiola maremmana” sono regolamentati da un rigoroso disciplinare per garantirne l’eccellenza, la qualità e la salubrità. In Toscana sono solo due le aziende che producono la macchiaiola maremmana, “Il Poggiolino Montemurlo” e un’azienda di Seggiano. Le carni di macchiaiola maremmana hanno una prevalenza di acidi grassi insaturi e di acidi grassi delle famiglie Omega 3 e omega 6.
Maggiori informazioni si possono trovare anche sul sito dell’azienda www.ilpoggiolino.net[:en]
di redazione – Nasce la mortadella, prodotta con le “parti nobili” del maiale tipico toscano, allevato fin dagli etruschi, ma fino a qualche anno fa considerato estinto. Un prodotto di nicchia, realizzato dall’artigiano delle mortadelle di Bologna, Silvio Scapin
Anche Montemurlo ha la sua mortadella, un prodotto di nicchia e di altissima qualità, realizzato con le parti nobili del suino nero di macchiaiola maremmana, allevato dall’azienda agricola “Il Poggiolino Montemurlo”.
Una vera e propria novità per l’azienda di Cicignano che va ad arricchire il paniere di salumi tutti “made in Montemurlo”.
Il salume è stato presentato alla presenza del sindaco di Montemurlo, Mauro Lorenzini, che ha detto:
« I due terzi del territorio di Montemurlo si estendono nella parte collinare ed è un piacere sapere che ci sono imprenditori come la famiglia Tissi, che investono nella cura dell’ambiente e nella promozione dei prodotti locali. Questo è il nostro valore aggiunto ed è così che si promuove il turismo e l’agricoltura sostenibile».
Inoltre, il sindaco ha sottolineato il valore della giovane imprenditoria agricola al femminile, ben rappresentata da Giulia Tissi, poco più che trent’anni, e figlia del fondatore dell’azienda “Il Poggiolino”, che all’amore del padre per un allevamento di qualità ha aggiunto il marketing e a breve aprirà uno spaccio dove poter acquistare i vari salumi della macchiaiola maremmana.
L’ultima arrivata in casa “Poggiolino” nasce dalla passione del proprietario, Bruno Tissi, per la regina delle tavole bolognesi: la mortadella.
Così alcuni mesi fa Tissi fa contattare il migliore artigiano delle mortadelle bolognesi, Silvio Scapin, da oltre quarant’anni patron di “Artigianquality” nel centro di Bologna e presidio slow food, e gli propone una nuova sfida: realizzare una mortadella dalle carni di macchiaiola maremmana.
È così che Montemurlo e Bologna si mettono insieme per dare vita ad un prodotto straordinario per gusto e qualità. Un prodotto di nicchia che per ora l’azienda agricola “Il Poggiolino” proporrà soltanto in alcuni periodi dell’anno ed in produzione limitata.
«Le carni di macchiaiola maremmana costituiscono un unicum, non esiste qualcosa di simile altrove, tanto che ho accettato volentieri la sfida che mi ha proposto Bruno Tissi.- spiega il “maestro della mortadella” Silvio Scapin– Il metodo di allevamento allo stato semi-brado, l’alimentazione con prodotti del sottobosco, frutta, verdura e i cereali prodotti dall’azienda agricola stessa migliorano il benessere dell’animale, rendendo le carni naturalmente saporite, così come lo erano un tempo e il risultato è una mortadella di grande consistenza, aroma e qualità».
Nulla a che vedere con le produzioni industriali. Per produrre la mortadella di macchiaiola maremmana Scapin ha utilizzato le parti più nobili dell’animale: prosciutto, parte della pancetta, gola e spalla denervata. Banditi gli additivi chimici e il pepe, mentre il sapore, oltre che dalla consistenza delle carni, viene dalle spezie naturali utilizzate e dosate con maestria: macis, cardamomo, coriandolo e noce moscata. Una produzione “lenta” che dura in media quattro o cinque giorni. La carne viene macinata e mescolata con le spezie selezionate. Sono, poi, aggiunti i lardelli di gola e il sale marino. Il composto viene insaccato in budelli naturali, legati a mano e poi fatti cuocere lentamente (cottura per assunzione) in particolari stufe per 24-28 ore. Così la carne ha tutto il tempo di far “esplodere” i propri aromi e profumi. Una mortadella tutta naturale, che, tra le altre qualità, ha anche quella di essere ben digeribile.
Le carni del “Poggiolino”, infatti, sono naturalmente buone: i suini neri sono allevati in un ambiente incontaminato all’interno dell’area protetta del Monteferrato ed hanno un dna al 100% toscano. Allevati fin dagli etruschi, i maiali di macchiaiola maremmana fino ad alcuni anni fa era considerati estinti. Il recupero della razza è iniziato nel 2005 con il ritrovamento di un nucleo di riproduttori alle pendici dell’ Amiata ed proseguito grazie al sostegno del progetto europeo Vagal con il patrocinio della Provincia di Grosseto ed alla collaborazione dell’Università di Firenze ed è così rincominciato l’allevato di questa razza antica. L’allevamento, la riproduzione, la produzione di carne e la trasformazione dei prodotti stagionati della “Macchiaiola maremmana” sono regolamentati da un rigoroso disciplinare per garantirne l’eccellenza, la qualità e la salubrità. In Toscana sono solo due le aziende che producono la macchiaiola maremmana, “Il Poggiolino Montemurlo” e un’azienda di Seggiano. Le carni di macchiaiola maremmana hanno una prevalenza di acidi grassi insaturi e di acidi grassi delle famiglie Omega 3 e omega 6.
Maggiori informazioni si possono trovare anche sul sito dell’azienda www.ilpoggiolino.net[:]
Ago 31, 2012 | Arte e cultura, Prato
E’ sicuramente uno degli angoli di Toscana turisticamente meno noti. Forse perché quando parli di Prato inevitabilmente pensi ad altro. Pensi soprattutto alla vocazione industriale legata alla lavorazione della lana di di questa città.
La piccola e giovane provincia toscana invece, non è solo telai, rocchette e ciminiere ed oltre a fregiarsi di questa piana operosa e di una zona collinare di tutto rispetto feconda di buon vino e ricca di vestigia rinascimentali, vanta anche un territorio appenninico, che s’incunea fra la province di Pistoia e Firenze che non t’aspetti.
E’ la Val Bisenzio che comprende in toto e in parte i comuni di Cantagallo, Vaiano, Vernio e Montemurlo e che sorpende il visitatore meno distratto appena lasciata la città laniera alle spalle, quando, percorrendo la statale 325 ci s’inerpica curvando sinuosamente in direzione di Bologna risalendo il corso del fiume Bisenzio, che ci fa compagnia per tutto il percorso scavando una stretta vallata fatta di gole suggestive che funge da spartiacque fra l’Appennino e il massiccio carsico della Calvana.
Una zona dove domina il verde, in tutte le sue sfumature cromatiche, una zona albero della cuccagna per tutti gli amanti del trekking e della natura.
Aree verdi e di pregio dicevamo, fra cui su tutte, spicca la Riserva Naturale dell’Acquerino a Cantagallo dove risiede una numerosa comunità di cervi (circa 1000 esemplari) e dove esiste un fitto reticolato di ruscelli e piccoli corsi d’acqua che vanno ad alimentare il fiume Bisenzio che proprio all’ombra di questi boschi ha la sua sorgente.
Anche gli appassionati di storia hanno più di un buono motivo per scoprire questa vallata che, data la sua strategica posizione a guardia del passaggio appenninico era frequentata fin dall’antichità. I primi insediamenti di cui si ha notizia probabilmente, furono realizzati dai romani che li affidarono a coloni assegnatari di terre contese ai Galli; tra questi possiamo trovare le origini di Vernio, dove si suppone svernassero le milizie romane dirette nella Gallia Cisalpina, il cui nome deriverebbe appunto dall’espressione “hibernia” (accampamenti invernali) oppure dall’espressione “verus” (primaverile). Dopo i romani fu la volta dei bizantini e dai longobardi che proprio in Val Bisenzio decisero di fermarsi. Facendo un salto nei secoli possiamo affermare poi che, proprio in questa valle si è originata la fortuna di Prato. Iniziò qui infatti, nel XII secolo, la lavorazione della lana sviluppatasi grazie alla presenza del fiume che forniva l’acqua idispensabile alla sgrassatura della lana. Col tempo la lavorazione assunse “dimensioni industriali”; furono scavate gore che deviavano l’acqua del Bisenzio per muovere i macchinari. Su quelle stesse gore vennero poi costruiti anche numerosi mulini per macinare il grano ed altri cereali.
Anche i big della storia hanno bazzicato questa valle. Quanto ci sia di verità e quanto di leggenda non ci è dato sapere, ma è affascinante credere che anche Dante Alighieri percorse qusta strada. Lo fece in una fredda sera d’inverno quando, esiliato da Firenze cercava di raggiungere Bologna, ma fu sorpreso da una forte nevigata e cercò invano rifugio alla Rocca di Cerbaia, proprietà degli Alberti che si rifiutarono di aprire le porte al celebre viandante. Fatto sta che il vendicativo sommo poeta ha posto i due fratelli Alberti (Alessandro e Napoleone) nel suo XXXII canto dell’Inferno…Da qui la leggenda.
L’integrità naturalistica di questo luogo che quasi sorprende è dovuta a quella che fino a poco tempo fa si considerava una sua sfortuna. Ovvero l’esser stata questa parte di Appennino tosco-romagnolo di fatto, per oltre 50 anni, quasi totalmente isolatata ed abbandonata sia da parte degli abitanti – che per cercare nuove occupazioni nel settore tessile, abbandonarono le zone per trasferirsi nelle aree produttive della Val di Bisenzio e Prato – sia da parte della viabilità di massa che per scavalcare l’Appennino è andata a cercarsi strada in Mugello, là, oltre la Calvana..
Le grandi foreste di faggi, tra cui spicca il famoso “Faggione di Luogomano”, una pianta secolare eccezionale per grandezza e forma la cui chioma copre una superfice di 600 metri quadri, i boschi misti di latifoglie (querce e carpini) e gli ampi castagneti lasciano quindi oggi respirare a pieni polmoni la genuinità intonsa di un angolo di Toscana tutto da scoprire e che sorprenderà anche il turista più smaliziato.
Pr concludere, dato che le gite che non vi negherete fra i sentieri di queste foreste (tutti ottimamente segnalati) vi faranno venire sicuramente fame eco allora che avrete l’opportunità di entrete in contatto anche con la genuinità e la tipicità dei prodotti che questa terra offre: su tutto la castagna e i suoi derivati come la farina dolce che ancora viene prodotta come una volta nei tanti mulini presenti sul territorio, poi gli allevamenti della mucca di razza calvana ed infine l’ottimo olio e l’eccelso miele.
Scoprite cosa c’è alle spalle dell’industriale Prato, ne sarete sorpresi, ma felici.
E’ sicuramente uno degli angoli di Toscana turisticamente meno noti. Forse perché quando parli di Prato inevitabilmente pensi ad altro. Pensi soprattutto alla vocazione industriale legata alla lavorazione della lana di di questa città.
La piccola e giovane provincia toscana invece, non è solo telai, rocchette e ciminiere ed oltre a fregiarsi di questa piana operosa e di una zona collinare di tutto rispetto feconda di buon vino e ricca di vestigia rinascimentali, vanta anche un territorio appenninico, che s’incunea fra la province di Pistoia e Firenze che non t’aspetti.
E’ la Val Bisenzio che comprende in toto e in parte i comuni di Cantagallo, Vaiano, Vernio e Montemurlo e che sorpende il visitatore meno distratto appena lasciata la città laniera alle spalle, quando, percorrendo la statale 325 ci s’inerpica curvando sinuosamente in direzione di Bologna risalendo il corso del fiume Bisenzio, che ci fa compagnia per tutto il percorso scavando una stretta vallata fatta di gole suggestive che funge da spartiacque fra l’Appennino e il massiccio carsico della Calvana.
Una zona dove domina il verde, in tutte le sue sfumature cromatiche, una zona albero della cuccagna per tutti gli amanti del trekking e della natura.
Aree verdi e di pregio dicevamo, fra cui su tutte, spicca la Riserva Naturale dell’Acquerino a Cantagallo dove risiede una numerosa comunità di cervi (circa 1000 esemplari) e dove esiste un fitto reticolato di ruscelli e piccoli corsi d’acqua che vanno ad alimentare il fiume Bisenzio che proprio all’ombra di questi boschi ha la sua sorgente.
Anche gli appassionati di storia hanno più di un buono motivo per scoprire questa vallata che, data la sua strategica posizione a guardia del passaggio appenninico era frequentata fin dall’antichità. I primi insediamenti di cui si ha notizia probabilmente, furono realizzati dai romani che li affidarono a coloni assegnatari di terre contese ai Galli; tra questi possiamo trovare le origini di Vernio, dove si suppone svernassero le milizie romane dirette nella Gallia Cisalpina, il cui nome deriverebbe appunto dall’espressione “hibernia” (accampamenti invernali) oppure dall’espressione “verus” (primaverile). Dopo i romani fu la volta dei bizantini e dai longobardi che proprio in Val Bisenzio decisero di fermarsi. Facendo un salto nei secoli possiamo affermare poi che, proprio in questa valle si è originata la fortuna di Prato. Iniziò qui infatti, nel XII secolo, la lavorazione della lana sviluppatasi grazie alla presenza del fiume che forniva l’acqua idispensabile alla sgrassatura della lana. Col tempo la lavorazione assunse “dimensioni industriali”; furono scavate gore che deviavano l’acqua del Bisenzio per muovere i macchinari. Su quelle stesse gore vennero poi costruiti anche numerosi mulini per macinare il grano ed altri cereali.
Anche i big della storia hanno bazzicato questa valle. Quanto ci sia di verità e quanto di leggenda non ci è dato sapere, ma è affascinante credere che anche Dante Alighieri percorse qusta strada. Lo fece in una fredda sera d’inverno quando, esiliato da Firenze cercava di raggiungere Bologna, ma fu sorpreso da una forte nevigata e cercò invano rifugio alla Rocca di Cerbaia, proprietà degli Alberti che si rifiutarono di aprire le porte al celebre viandante. Fatto sta che il vendicativo sommo poeta ha posto i due fratelli Alberti (Alessandro e Napoleone) nel suo XXXII canto dell’Inferno…Da qui la leggenda.
L’integrità naturalistica di questo luogo che quasi sorprende è dovuta a quella che fino a poco tempo fa si considerava una sua sfortuna. Ovvero l’esser stata questa parte di Appennino tosco-romagnolo di fatto, per oltre 50 anni, quasi totalmente isolatata ed abbandonata sia da parte degli abitanti – che per cercare nuove occupazioni nel settore tessile, abbandonarono le zone per trasferirsi nelle aree produttive della Val di Bisenzio e Prato – sia da parte della viabilità di massa che per scavalcare l’Appennino è andata a cercarsi strada in Mugello, là, oltre la Calvana..
Le grandi foreste di faggi, tra cui spicca il famoso “Faggione di Luogomano”, una pianta secolare eccezionale per grandezza e forma la cui chioma copre una superfice di 600 metri quadri, i boschi misti di latifoglie (querce e carpini) e gli ampi castagneti lasciano quindi oggi respirare a pieni polmoni la genuinità intonsa di un angolo di Toscana tutto da scoprire e che sorprenderà anche il turista più smaliziato.
Pr concludere, dato che le gite che non vi negherete fra i sentieri di queste foreste (tutti ottimamente segnalati) vi faranno venire sicuramente fame eco allora che avrete l’opportunità di entrete in contatto anche con la genuinità e la tipicità dei prodotti che questa terra offre: su tutto la castagna e i suoi derivati come la farina dolce che ancora viene prodotta come una volta nei tanti mulini presenti sul territorio, poi gli allevamenti della mucca di razza calvana ed infine l’ottimo olio e l’eccelso miele.
Scoprite cosa c’è alle spalle dell’industriale Prato, ne sarete sorpresi, ma felici.