Dic 4, 2024 | Enogastronomia
Con l’arrivo della stagione natalizia, è tempo di scegliere come rendere le tavole delle feste ancora più accoglienti e speciali.
I vini del Monferrato, tra cui spicca la Barbera, sono la scelta ideale per le grandi occasioni: una varietà di vitigno autoctono del Piemonte, che rappresenta perfettamente l’essenza della tradizione enologica di questa regione.
L’essenza del Piemonte nel bicchiere
Caratterizzata da un colore rosso intenso e da un profilo aromatico ricco, la Barbera è la scelta ideale per rendere indimenticabili le festività: un vino versatile, capace di aggiungere un tocco di eleganza e di esaltare i sapori della cucina italiana.
“Il Natale è un momento di convivialità e di buon cibo. La Barbera si presta perfettamente a rappresentare il calore e la generosità di queste feste, regalando a chi la assapora un viaggio sensoriale unico” afferma Vitaliano Maccario, Presidente del Consorzio Barbera d’Asti e vini del Monferrato, sottolineando come questo vino riesca a essere, allo stesso tempo, una scelta per i momenti in famiglia e una selezione raffinata per le serate più importanti.
Portare in tavola la Barbera significa celebrare il gusto e la tradizione enologica piemontese, perfetti per accompagnare ogni portata e rendere indimenticabili le occasioni di incontro e condivisione che caratterizzano il Natale.
Questo vitigno autoctono, che prospera nelle dolci colline del Monferrato, è noto per la sua capacità di esprimere un’ampia gamma di aromi, con note che spaziano dal fruttato maturo al delicatamente speziato, un profilo che ben si abbina ai piatti ricchi delle festività.
La Barbera è un vino che si distingue per la sua struttura robusta e il gusto avvolgente, che ne fanno un abbinamento ideale per i piatti ricchi e gustosi tipici della tradizione. Grazie alla sua struttura robusta e al sapore pieno, la Barbera è il vino ideale per esaltare antipasti sfiziosi a base di formaggi e salumi, così come per accompagnare primi piatti con sughi saporiti e secondi a base di arrosti o carni in umido. La sua acidità bilanciata permette a questo vino di completare ogni portata, donando un piacevole contrasto che valorizza anche i sapori più intensi.
Che si tratti di una cena elegante o di un pranzo informale, la Barbera sarà la scelta perfetta per esaltare ogni piatto e creare un’atmosfera di festa.
Il Consorzio Barbera d’Asti e vini del Monferrato
Il Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, fondato nel 1946, ha il compito di tutelare e promuovere le sue denominazioni per garantire la loro diffusione e la loro immagine sui mercati nazionali e internazionali, anche attraverso appositi marchi distintivi. Attualmente il Consorzio conta più di 410 aziende associate e 14 denominazione tutelate.
Nov 10, 2024 | Territori
Nel cuore del Verbano-Cusio-Ossola, in Piemonte, c’è un piccolo paese di poco più di 200 abitanti di cui si è molto parlato in questi giorni perché è un pase in cui il sole non brilla da novembre a febbraio.
Stiamo parlando di Viganella, piccolo paese immerso nella Valle Antrona che, però, non è rimasto in penombra grazie all’impegno del suo ex sindaco, ha ritrovato la luce con una soluzione ingegnosa. Soluzione ingegnosa che in questi giorni abbiamo saputo serve urgente manutenzione.
Viganella e il suo “specchio del sole”
Gli abitanti del piccolo borgo di Viganella hanno saputo adattarsi agli 83 giorni di buio, che ogni anno caratterizzano l’inverno del paese, da novembre a febbraio.
Viganella, infatti, si trova in una posizione particolare, proprio in mezzo ad alcune montagne che impediscono al sole di raggiungerlo durante i mesi invernali.
La penombra è però finita nel 2006, quando l’allora sindaco del paese, Franco Midali, con la collaborazione dell’amico architetto Giacomo Bonzani, ha inaugurato il cosiddetto “Specchio del Sole”.
Si tratta di uno specchio gigante – otto metri di larghezza per cinque di altezza – situato in una posizione strategica su una montagna vicina, che riflette i raggi del sole sul paese.
Tramite un sistema di motori elettrici comandati da computer, lo specchio viene ruotato in modo da catturare i raggi solari e rifletterli sul paese, creando così un’illuminazione artificiale durante i mesi invernali.
Nella notte viene riposizionato in modo che il mattino seguente possa ripartire dalla posizione prestabilita e fare il proprio lavoro durante l’arco della giornata.
Sei ore di sole assicurate ogni giorno fino al 2 di febbraio, data in cui il sole torna a illuminare il piccolo borgo, evento festeggiato in grande dagli abitanti di Viganella.
Il paese visto dall’alto
Una soluzione unica di cui il mondo ha parlato
L’idea di installare uno specchio per illuminare un villaggio privo di luce naturale non ha molti precedenti al mondo, e Viganella è uno dei pochi paesi ad aver adottato una soluzione simile.
Lo specchio va sottolineato peraltro che non utilizza fonti energetiche particolari, a parte un sistema di regolazione motorizzata, e rappresenta un esempio di tecnologia sostenibile al servizio di una piccola comunità.
Dopo l’installazione, Viganella è stata citata da testate giornalistiche internazionali, tra cui il New York Times e il Guardian, ed è diventata una meta per turisti, ingegneri e curiosi.
La capacità di sfruttare una soluzione creativa e rispettosa dell’ambiente per superare i limiti geografici rende Viganella un caso di studio interessante per l’architettura sostenibile e l’urbanistica in contesti remoti.
Questo borgo piemontese rappresenta quindi non solo una storia di adattamento e innovazione, ma anche la resilienza e la creatività dei piccoli borghi italiani, capaci di trasformare le difficoltà in opportunità.
Piazza di Viganella
Alla scoperta di Viganella
Lo specchio gigante di Viganella non è la sola attrazione di questa curiosa località posta a 1000 metri sopra il livello del mare e a ridosso del confine svizzero.
Ottimo centro di partenza per passeggiate ed escursioni proprio dal centro di Viganella, nei pressi della chiesa seicentesca dedicata alla natività di Maria Vergine, parte uno dei sentieri più interessanri quello che porta alle tracce ancora esistenti delle miniere di ferro di Ogaggia.
Un altro consiglio? Percorrete il sentiero che da Viganella conduce all’Alpe Cavallo, passando attraverso diversi alpeggi, tra foreste e ruscelli di montagna.
In copertina: Silvia Camporesi, Viganella, frame da video
Ott 21, 2024 | Territori
L’autunno è una stagione che incanta, con le sue pennellate di tramonti infuocati e foliage dai toni caldi e dorati: le avventure e le emozioni condivise si fanno più intense, soprattutto in quelle destinazioni che diventano ancor più affascinanti quando sono avvolte nella magia autunnale. Come il piemontese distretto turistico dei laghi, Monti e Valli dell’Ossola, che offre numerose esperienze per tutti gli amanti della natura e delle attività outdoor: trekking panoramici tra i boschi, escursioni in bicicletta tra specchi d’acqua e salite, visite a borghi storici ricchi di cultura e di sapori locali, ma anche esperienze da brivido nei parchi avventura in vista di Halloween.
Ecco, quindi, alcuni spunti per andare alla scoperta di questo stupendo angolo d’Italia, ma, per coglierne davvero l’essenza, non resta che viverlo di persona.
Montecrestese-Agarina_Foto arch. Distretto Turistico dei Laghi_ph. Pier Maulini
Tutti in sella tra giri panoramici e intrepide salite
Con i suoi scenari mozzafiato, che abbracciano i laghi Maggiore, d’Orta e di Mergozzo e i monti e le valli
dell’Ossola, quest’area nel nord del Piemonte si sta sempre più affermando come meta d’elezione per il
mondo sportivo legato all’outdoor, in particolare per le due ruote: grazie all’infinita varietà di percorsi che si
snodano tra colline verdi, borghi storici e lungo specchi d’acqua, infatti, gli appassionati di ciclismo e mtb
possono scegliere tra piste e tracciati adatti ad ogni livello e altamente suggestivi.
Si parte con una piacevole pedalata tra vigneti e mulini per una gita fuori porta che da Domodossola conduce
all’Alpe Parpinasca in Val d’Ossola: si tratta del percorso MTB alle porte del Parco Nazionale Val Grande (25
km), dove si trova l’omonimo rifugio immerso nel verde.
Si può anche scegliere l’anello dei Panorami alla Piana
di Vigezzo (20 km), che porta dai pittoreschi borghi di Toceno e Craveggia all’altopiano di Vigezzo, noto anche
come “Valle dei Pittori” per la policromia dei suoi panorami (che in autunno regalano davvero il meglio di sé).
Per gli esploratori appassionati di borghi, un’ottima opzione è la Pedalata a Campello Monti, percorso di quasi
50 km che parte da questo paesino dalle radici walser e continua in Valle Strona lungo una serie di curve fra la
roccia e l’omonimo torrente che portano alla frazione di Canova del Vescovo.
Altra opzione è la pedalata da
Montecrestese alla Valle Agarina (39 km), un anello che parte tra architetture in pietra, chiese e manufatti
della cultura contadina, proseguendo poi verso la selvaggia Valle Isorno, affascinante territorio quasi
inaccessibile.
Infine, un vero bike lover non può farsi sfuggire una delle tappe del Giro d’Italia 1992: un muro di 8.5 km e una
pendenza media del 9%: che fu percorso anche da campioni come Indurain, Chioccioli, Chiappucci, Fignon e
che portò alla ribalta una delle salite sino ad allora sconosciute ai più: l’Alpe Segletta. Qui si pedala nei
suggestivi scenari della Valle Intrasca e dell’Alto Verbano.
Alpe Devero, Codelago. Archivio Fotografico Distretto Turistico dei Laghi_Foto di Marco Benedetto Cerin
Slow trekking al ritmo della natura
Ma non solo oasi delle bici, il distretto turistico dei laghi in autunno è il paradiso anche per chi ama esplorare
la natura a piedi, dai trekker più temprati ai camminatori in cerca di rigeneranti escursioni a ritmo slow.
Un itinerario particolarmente indicato per questi ultimi (e anche per i baby escursionisti) è l’anello di 8.5 km
dell’Alpe Devero, che attraversa rilassanti pascoli e porta ad ammirare l’affascinante Lago delle Streghe, il
grandioso Lago di Devero (o Codelago) e la borgata di Crampiolo.
Anche l’Alta Valle Bognanco in autunno si tinge di colori poetici: un’escursione perfetta per scoprirla è, ad esempio, il giro dei tre rifugi, che in 9 km attraversa ambienti montani dall’aspetto variegato, da fitti e ombrosi boschi a vasti pascoli aperti.
Sulle alture del Lago d’Orta, invece, è da provare il Quadrifoglio di Ameno, formato da 4 percorsi ad anello con
centro comune, 35 km totali percorribili anche al 90% in MTB e a cavallo.
Progettato con Riccardo Carnovalini, noto fotografo ed escursionista, questo complesso di itinerari ne abbina ciascuno a un colore: celeste, azzurro, blu e indaco (che è anche un percorso didattico WWF, con bacheche informative sul territorio).
Infine, sulle sponde del Lago Maggiore si può camminare sul Sentiero dei Castagni: 8 km che si sviluppano
lungo antiche mulattiere che collegavano Stresa a Belgirate, borgo di origine medievale.
Archivio Fotografico Ferrovia Vigezzina-Centovalli
Sui binari d’autunno con il treno del foliage
La zona tra il lago Maggiore e la Val d’Ossola è perfetta per chi, invece, volesse godersi il territorio
ammirando in totale relax panorami multicolori che sfumano l’uno nell’altro: fino al 17 novembre si può
salire a bordo del Treno del Foliage®, 4 ore di viaggio sulla Ferrovia Vigezzina-Centovalli, che collega l’Italia
e la Svizzera in 52 km.
Inserita dalla Lonely Planet tra le 10 linee più spettacolari d’Europa, questa ferrovia ha biglietti speciali per la stagione più variopinta dell’anno: da Domodossola si sale fino alla Val Vigezzo, passando per il borgo di Santa Maria Maggiore; si supera poi il confine con la Svizzera e si scende attraverso le Centovalli, fino a raggiungere Locarno e la sponda elvetica del Lago Maggiore, prima di tornare indietro.
I treni bianchi e blu, tutti con ampie vetrate panoramiche, sfilano davanti a colline con filari di vite giallo
oro, boschi di betulle e castagni e, in alta quota, faggete. La vista dei pianori incorniciati da bianche cime
riempie gli occhi e il cuore di quella meraviglia che solo questo stupendo ma limitato periodo può regalare.
Per informazioni e biglietteria: www.vigezzinacentovalli.com/esperienze/foliage
Hallowen da brivido nei parchi avventura
L’autunno è anche il momento giusto per grandi e piccini per mettersi alla prova nelle adrenaliniche attività
dei Parchi Avventura, di cui l’alto Piemonte è costellato.
Tra arrampicate, zipline, ponti tibetani e carrucole, questi parchi sono perfetti per avventure active con tocchi di mistero durante il periodo di Halloween: notti stregate, cacce al tesoro spettrali e attività a tema per le famiglie e gli amanti delle emozioni forti.
L’appuntamento al Parco Avventura Le Pigne, ad Ameno (sul lago d’Orta), è per venerdì 1° novembre dalle
14.30 alle 17.30 con “Halloween alle Pigne”. I più piccoli potranno divertirsi con un laboratorio di intaglio di
zucche, mentre gli esploratori più coraggiosi potranno partecipare ad un’avvincente caccia al tesoro. Ci sarà,
inoltre, un menù a tema e tipici piatti piemontesi.
Set 2, 2024 | Enogastronomia, Territori
Dal 6 al 15 settembre al via una dieci giorni di eventi che celereranno vino, cultura e tradizione nel cuore del Monferrato.
Conto alla rovescia per la prima edizione del Barbera D’Asti Wine Festival che si terrà nella città di Asti da venerdì 6 a domenica 15 settembre 2024.
L’evento è organizzato dal Consorzio Barbera d’Asti e vini del Monferrato, in collaborazione con Corriere della Sera, media partner dell’evento, e si inserisce nell’ambito della “Strategia nazionale aree interne Valle Bormida” capofila Unione Montana Alta Langa – Operazione 16.7.1, di cui è partner.
Il Barbera in festa
Dal 6 all’8 settembre, sotto la direzione artistica di Luciano Ferraro, vicedirettore di Corriere della Sera, si terrà un ricco palinsesto di incontri tematici con importanti ospiti del mondo del vino e del cinema, della letteratura, dell’arte e dell’imprenditoria, moderati dalle firme di Corriere della Sera Luciano Ferraro, Roberta Scorranese, Isidoro Trovato.
Il Barbera D’Asti Wine Festival continuerà dal 9 fino al 15 settembre con masterclass e degustazioni guidate da massimi esperti italiani e internazionali del mondo wine come Robert Camuto, Veronika Crecelius, Gianni Fabrizio, Aldo Fiordelli, Andrea Gori, Othmar Kiem, Jeff Porter, Andrea Radic, Marco Sabellico e approfondimenti sulla Barbera d’Asti e le eccellenze del Monferrato e food experience tra le vie e le piazze del centro storico di Asti.
Incontri, Masterclass e degustazioni diurne avranno come location lo storico Palazzo del Michelerio, un ex monastero risalente al Cinquecento.
Per intrattenere il pubblico presente e dare spazio anche alla parte artistica e culturale, alcune delle serate della manifestazione saranno animate da concerti live e performance musicali che si terranno nel cortile di Palazzo Alfieri.
“Il Barbera D’Asti Wine Festival – racconta Vitaliano Maccario, Presidente del Consorzio – rappresenta per noi una manifestazione capace di proiettare ulteriormente il nostro territorio e il vitigno Barbera sul palcoscenico internazionale. Grazie a queste giornate puntiamo a rafforzare ulteriormente e promuovere l’identità e la visibilità della Barbera d’Asti e delle nostre denominazioni – 4 Docg e 10 Doc – elevandone il prestigio a livello mondiale. È un’occasione imperdibile per tutti gli amanti del vino, oltre che per stampa e operatori del settore, di approfondire la loro comprensione dei vini del Monferrato e di aumentare la consapevolezza sul valore vitivinicolo del nostro meraviglioso territorio.”
L’accesso alla manifestazione sarà possibile previo acquisto di un biglietto in loco o sul sito del Consorzio Barbera d’Asti, che avrà validità giornaliera e permetterà agli interessati di partecipare a tutti gli eventi della giornata.
Mag 3, 2024 | Territori
Dalla metà del Settecento la famiglia reale trascorreva la villeggiatura nelle residenze lontane da Torino.
Furono acquistate, a questo scopo, i castelli di Govone, famoso per il giardino settecentesco e la sua collezione di rose, e di Agliè, il cui salone da ballo affrescato e la successione di ambienti d’epoca perfettamente conservati rendono l’edificio un trionfo di eleganza e splendore.
Nell’Ottocento la famiglia Savoia amava frequentare il Castello di Racconigi con il suo straordinario parco romantico, la Tenuta di Pollenzo, attuale sede dell’Università di Scienze Gastronomiche, e il Castello di Valcasotto trasformato da monastero certosino in residenza di caccia. Dalla metà del Settecento la famiglia reale trascorreva la villeggiatura nelle residenze lontane da Torino.
Furono acquistate, a questo scopo, i castelli di Govone, famoso per il giardino settecentesco e la sua collezione di rose, e di Agliè, il cui salone da ballo affrescato e la successione di ambienti d’epoca perfettamente conservati rendono l’edificio un trionfo di eleganza e splendore.
Nell’Ottocento la famiglia Savoia amava frequentare il Castello di Racconigi con il suo straordinario parco romantico, la Tenuta di Pollenzo, attuale sede dell’Università di Scienze Gastronomiche, e il Castello di Valcasotto trasformato da monastero certosino in residenza di caccia.
Castello di Agilè
Con più di trecento stanze, il magnifico parco di alberi secolari, l’incredibile collezione d’arte che spazia dai reperti archeologici ai manufatti orientali, il Castello di Agliè è una tappa obbligata per scoprire le bellezze nei dintorni di Torino e il nobile passato di Casa Savoia.
La residenza venne edificata dagli anni Quaranta del Seicento sui resti di un antico castello del XII secolo per volontà del conte Filippo San Martino d’Agliè, raffinato intellettuale, politico di primo piano e amante di Cristina di Francia.
A questa fase appartiene lo spettacolare Salone d’onore interamente affrescato da Giovanni Paolo Recchi e dalla sua bottega per celebrare le vicende medievali del primo re d’Italia Arduino d’Ivrea, da cui discendeva la famiglia San Martino.
Nel 1764 il castello venne acquistato dal re Carlo Emanuele III di Savoia per il figlio Benedetto Maurizio, duca del Chiablese. Nell’arco di circa un decennio l’architetto Ignazio Birago di Borgaro riplasmò l’intero complesso integrandolo armoniosamente con il borgo di Agliè. Vennero realizzate ex novo la piazza e la chiesa parrocchiale, a sua volta collegata al castello tramite una galleria coperta a due piani fuori terra tuttora esistente. All’interno della residenza la Sala delle cacce, ampio atrio d’ingresso e biglietto da visita del castello, ornata nel 1770 con sobri trofei in stucco di Giuseppe Bolina, segna un aggiornamento di gusto in chiave neoclassica.
Le importanti trasformazioni interessarono anche l’immenso parco, che venne risistemato alla francese da Michel Benard, direttore dei Reali Giardini, con la realizzazione di un lago circolare, posto al fondo del parco, in linea con l’asse longitudinale. Imperdibile è la scenografica Fontana dei Fiumi posta verso la facciata sud e impreziosita dai gruppi scultorei dei fratelli Collino.
Durante il periodo napoleonico il castello fu utilizzato come ricovero di mendicità. Rientrato in possesso dei Savoia nel 1823, fu ammodernato da Michele Broda su incarico del re Carlo Felice e della moglie Maria Cristina di Borbone. Ai coniugi si deve il notevole arricchimento delle collezioni. La passione della regina per le antichità e l’archeologia, che aveva condotto importanti scavi nelle sue proprietà nel Lazio, è testimoniata dai numerosi reperti conservati ad Agliè, in particolare nella Sala Tuscolana. Tra il 1838 e il 1840 vennero apportate modifiche anche al parco dal paesaggista Xavier Kurten, secondo la nuova moda del giardino romantico.
Alla morte di Maria Cristina il castello venne ereditato da Ferdinando di Savoia, duca di Genova. Il viaggio diplomatico in Asia del figlio di Ferdinando, il duca Tomaso, incrementò ulteriormente le raccolte con un’importante collezione di oggetti d’arte etnografica e orientale.
Durante gli anni della prima guerra mondiale la moglie di Tomaso, Isabella di Baviera, decise di istituire un piccolo presidio ospedaliero di tredici stanze per la convalescenza degli ufficiali di guerra nella parte più antica del castello, affacciato verso il giardino all’italiana di impianto seicentesco.
Venduto allo Stato nel 1939, il castello venne destinato a diventare museo di se stesso e oggi conserva intatti i suoi tesori e tutti gli arredi.
Castello di Racconigi
Il Castello di Racconigi, con la sua imponente architettura e il parco all’inglese di quasi 200 ettari, è stato il luogo di villeggiatura prediletto dal sovrano Carlo Alberto di Savoia e dalla sua famiglia.
Il castello era stato destinato allo svago e alla caccia già dalla metà del Seicento, quando divenne proprietà del ramo cadetto dei Savoia-Carignano. Su incarico del principe Emanuele Filiberto, dal 1676 il celebre architetto Guarino Guarini modificò l’antico edificio medievale rendendolo una moderna residenza di delizie. Di questa prima fase resta ancora oggi visibile la facciata settentrionale, che si apre sul parco. Il progetto venne poi completato alla metà del Settecento da Giovanni Battista Borra, a cui si devono la monumentale facciata d’ingresso sul lato meridionale in stile neoclassico e le Sale di Ercole e di Diana, i cui ricchi apparati di stucchi celebrano le virtù dei principi e delle principesse di Casa Savoia.
In virtù della sua appartenenza al ramo dei Savoia-Carignano, Carlo Alberto era legato da vincoli affettivi alla residenza di Racconigi. Nel 1832, a seguito della sua ascesa al trono di Sardegna, incaricò l’architetto regio Ernesto Melano di rimodernare l’edificio, a cui vennero aggiunte due ali laterali. Per il riallestimento interno fu chiamato Pelagio Palagi, che più di ogni altro artista seppe interpretare il clima culturale promosso dal re. È a Palagi che si devono i progetti di ridecorazione delle sale secondo un gusto nuovo ed eclettico. Il fascino per l’esotismo e per i mondi lontani, affermatosi con la moda dei gabinetti cinesi, venne aggiornato sui modelli etruschi, greci e romani, sulla spinta anche delle riscoperte di Pompei ed Ercolano e delle necropoli dell’antica Etruria. Per le serre e la cascina nel parco Palagi ricorse invece allo stile neogotico che meglio si adattava al giardino romantico disegnato dal paesaggista prussiano Xavier Kurten.
Dopo il trasferimento della capitale del regno d’Italia da Torino a Roma (1871), la presenza dei sovrani si diradò fino agli inizi del Novecento, quando il re Vittorio Emanuele III scelse nuovamente Racconigi come meta di villeggiatura, promuovendo nuove campagne di ammodernamento tecnologico e decorativo.
Frequentata regolarmente da Umberto II fino agli anni del secondo conflitto mondiale, la residenza venne acquistata dallo Stato italiano nel 1980, entrando a far parte della lista del patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO nel 1997, insieme alle altre Residenze Sabaude.
Oggi gli interni offrono ai visitatori uno sguardo intimo e ravvicinato sulla vita quotidiana e privata della famiglia reale: dalle camere da letto, alle cucine e ai gabinetti di toeletta, dalla sala del biliardo e da quella da pranzo allo straordinario gabinetto etrusco, dove il re riceveva ministri e ambasciatori. Oltre alla meraviglia degli interni il vasto parco è esempio tra i più significativi in Europa della sensibilità verso la natura e il paesaggio propria del Romanticismo, con alberi centenari che compongono aree boschive, celando sentieri e zone d’acqua.
Castello di Govone
Il Castello, che domina dall’alto il grazioso borgo di Govone e da cui si gode di una vista mozzafiato sulle Alpi, all’incrocio tra le Langhe, il Roero e il Monferrato, è il punto di partenza ideale per una gita nel verde a metà strada tra Asti ed Alba.
Esistente sin dall’XI secolo, il Castello venne riedificato dal 1678 su progetto del celebre architetto Guarino Guarini, incaricato da Roberto Solaro, ambasciatore dei Savoia e Gran Priore dell’Ordine di Malta, e da suo nipote il conte di Govone Ottavio Francesco Solaro.
La maestosa facciata, caratterizzata da uno scalone d’onore a quattro rampe e realizzata verso la fine del XVIII secolo, fu arricchita con le imponenti sculture seicentesche provenienti dalla smantellata Fontana di Ercole della Reggia di Venaria, coi telamoni di Giovanni Battista Casella e Carlo Pagano e con i quattro bozzetti dei Trofei militari in terracotta, progettati da Giovanni Baratta per Palazzo Madama, utilizzati per decorare la facciata di levante.
Nel 1795 il Castello passò ai Savoia anche se poco dopo, durante l’occupazione francese, finì all’asta. È con il nuovo acquisto e la restituzione a Carlo Felice di Savoia e della consorte Maria Cristina di Borbone, intenzionati a utilizzarlo come luogo di villeggiatura estiva, che gli interni vennero profondamente rinnovati (1819-1825) a partire dallo scenografico salone d’onore: un ampio spazio a trompe-l’œil che illusionisticamente richiama i templi classici, sulle cui pareti e sulla volta è raccontata la Storia di Niobe tratta dalla mitologia greca. Le favole antiche, affrescate da Carlo Pagani, Andrea Piazza, Luigi Vacca e Fabrizio Sevesi, furono scelte anche per decorare le volte degli ambienti al piano nobile, destinati al fratello di Carlo Felice, Vittorio Emanuele I, alla moglie Maria Teresa d’Asburgo-Este e ai principi di Carignano. Agli anni Venti dell’Ottocento risale anche il parco con il romantico giardino all’inglese, progettato dal paesaggista Xavier Kurten.
Verso la fine dell’Ottocento la residenza fu acquisita dalla casa bancaria Tedeschi e poi dalla famiglia Ovazza Segre di Torino. Nel 1897 divenne un punto di riferimento per i Govonesi poiché entrò a fare parte dei beni del Comune che vi istituì la scuola e vi insediò uffici pubblici. La maggior parte degli arredi fu messa all’asta e acquistata in blocco da Andrea Massena, principe d’Essling, e si può oggi ammirare negli allestimenti in stile nelle sale del Museo della Villa Massena a Nizza.
Attualmente una parte dell’edificio ospita gli uffici del municipio e la biblioteca comunale. Sono aperti al pubblico gli appartamenti al piano nobile, tra cui spicca il gabinetto cinese caratterizzato da vivacissime carte da parati settecentesche raffiguranti scene di vita quotidiana in Cina, l’atrio di ingresso e l’appartamento Montesquieu al piano terra con fini decorazioni a stucco geometriche e floreali.
Castello e agenzia di Pollenzo
Nel cuore delle Langhe e del Roero re Carlo Alberto di Savoia-Carignano recuperò, a partire dal 1833, l’antico borgo romano di Pollenzo, in frazione di Bra, per fondare la propria azienda agricola dotata di cascine, vigneti e cantine. Il complesso fu progettato dall’architetto Ernesto Melano e dal poliedrico artista Pelagio Palagi che assecondarono il gusto neogotico del sovrano elaborando una suggestiva città ideale in forme neo-medievali. Per il vasto parco all’inglese, abbellito da un laghetto artificiale alimentato dal fiume Tanaro, Carlo Alberto si affidò al noto paesaggista Xavier Kurten.
L’articolata organizzazione prevedeva una struttura principale denominata Agenzia, sede della direzione della tenuta e caratterizzata ai lati da un imponente torrione merlato e da una grande cascina detta Albertina. In quest’area vennero collocati gli uffici, la scuderia, la rimessa delle carrozze e la Vinaia. Gli scantinati vennero adibiti a cantine e bottiglieria per la conservazione dei vini. Sulle vestigia di un antico castello del XIII secolo ne venne edificato uno nuovo, in cui la corte sabauda poteva soggiornare nei periodi di villeggiatura. La decorazione degli ambienti fu eseguita da Palagi e dalla sua équipe secondo uno stile eclettico in cui i richiami all’antichità classica convivono con il revival gotico.
Oltre alla tenuta, il sogno neo-medievale di Carlo Alberto coinvolse anche il borgo, in parte rifondato in funzione dell’azienda agricola. Furono edificate le abitazioni per i contadini, il mercato e la piazza centrale sulla quale si affaccia la nuova chiesa parrocchiale: un imponente e severo edificio in stile gotico dedicato a San Vittore e costruito su precedenti resti paleocristiani.
L’originaria vocazione agricola del complesso è mantenuta ancora oggi: dal 2004 l’Agenzia e la cascina Albertina sono sede dell’Università di Scienze Gastronomiche, promossa da Slow Food, della Banca del Vino, dove si conservano i vini dei migliori produttori italiani e dell’Albergo dell’Agenzia (quattro stelle con 47 camere, ristorante gourmet, fitness e palestra). Nel parco dell’Agenzia tre aree archeologiche testimoniano la fase tardo-antica (V-VI secolo) e quella medievale (X-XIII secolo) di Pollentia, fondata dai romani alla fine del II secolo dopo Cristo.
Il Castello, attualmente di proprietà privata, non è visitabile dal pubblico.
Castello di Valcasotto
Nel 1837 Carlo Alberto rimase incantato dall’atmosfera di pace e tranquillità che avvolgeva l’antichissima Certosa di Casotto e decise di acquistarla come suo patrimonio personale per trasformarla in una residenza estiva dedicata alla caccia, uno dei passatempi prediletti di Casa Savoia.
Il complesso abbaziale, incastonato ai piedi delle montagne monregalesi tra Garessio e Pamparato, venne fondato dai monaci certosini tra il 1090 e il 1172. Agli inizi del Settecento conobbe alcuni importanti rinnovamenti che gli diedero un aspetto rigoroso e monumentale, più simile a un palazzo nobiliare che a un monastero. Ricca di fascino è la facciata della chiesa progettata da Bernardo Vittone verso la metà del secolo e realizzata in pietra verde locale, in netto contrasto con il rosso dei laterizi del resto del fabbricato. Intorno alla chiesa, tra due corti, erano collocate le celle dei monaci e la foresteria.
L’abbandono della Certosa dopo la soppressione dell’ordine monastico da parte del Governo francese (1802) rese necessario compiere dei lavori di adeguamento per ospitare la corte di Carlo Alberto. Anche l’antica chiesa fu riadattata per essere utilizzata come cappella regia.
Entro il 1860 l’architetto Carlo Sada e la sua équipe di pittori (Dionigi Faconti e Angelo Moja), decoratori (Giuseppe Trivella e Carlo Isella) e intagliatori (Gabriele Capello) allestirono, negli antichi ambienti usati dai certosini, i nuovi appartamenti reali caratterizzati da una dimensione intima e domestica, ben lontana dagli sfarzi delle dimore di rappresentanza. È proprio in queste stanze che si scopre il lato più quotidiano della famiglia reale.
Oltre che da Carlo Alberto, la dimora fu particolarmente amata dal primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II, e dai suoi figli, in particolare la principessa Maria Clotilde che scelse la quiete di Casotto per trascorrere le sue estati.
Di proprietà dei Savoia fino al 1881, la residenza fu ceduta a privati. Oggetto di campagne di studio promosse dal Politecnico di Torino, nel 2000 è entrata a far parte del patrimonio della Regione Piemonte che, insieme alla Soprintendenza, ne ha avviato il completo recupero per destinarla a uso museale, didattico e ricettivo secondo innovativi criteri di sostenibilità ed ecocompatibilità.