Nov 21, 2024 | Enogastronomia
Premessa prima di leggere l’articolo. Quello che leggerete è ipercalorico per cui attenzione…
Questo itinerario, infatti, vi porterà infatti, in un fine settimana alla scoperta delle magie che piacentini, parmigiani e reggiani riescono a creare con la pasta fresca, con il burro, con a ricotta e con il Parmigiano Reggiano.
Da ovest a est o da est verso ovest lungo la via Emilia non importa. Le province di Piacenza, Parma e Reggio Emilia si susseguono e non è importante il punto di partenza.
Quello che davvero conta è tuffarsi a capofitto in questo regno dove le ricette tradizionali affondano le radici nella cucina popolare antica e conquistano cuori e palati a distanza di centinaia di anni.

Piacenza e i suoi tortelli con la coda
Partendo da Piacenza, il primo inevitabile incontro è con i tortelli con la coda.
La loro origine risale addirittura al 1351, quando le cuoche del castello di Vigolzone crearono dei fagottini di pasta ripiena in onore di un ospite molto illustre: Francesco Petrarca.
Il nome è un richiamo alla forma di questa pasta ripiena, che avvolge il ripieno di ricotta, spinaci (o erbette) e formaggio grattugiato a imitazione di una caramella o, a ben guardare, di una treccia. Il sugo è a scelta: di base vengono serviti con burro fuso, grana grattugiato e salvia con, a parte, una ciotolina da cui attingere a piacere sugo ai funghi. Che dire? Entrambe le varianti sono molto raccomandate.
Consiglio extra: gli anvein (anolini) piacentini che si distinguono da altre paste ripiene similari per l’ingrediente fondamentale del ripieno, ovvero lo stracotto di manzo alla piacentina, e per la cottura in “brodo di terza”.
Data la sua prelibatezza è assolutamente adatto a tutte le stagioni, anche se è il piatto natalizio per eccellenza, quindi imperdibile nel caso l’itinerario sia programmato per dicembre per assaporare al meglio la tradizionale magia del Natale.

A Parma con i suoi anolini
Imboccando la via Emilia tanto cara a Gianni Celati, direzione Parma, la seconda tappa del Tortello Tour prevede la conoscenza con un piatto che è diventato uno dei simboli più amati del territorio: gli anolini, chiamati anche cappelletti (questione lessicale piuttosto spinosa, a dire la verità).
Serviti con brodo bollente, la forma è quella di un piccolo sole, con i bordi frastagliati o lisci, mentre il ripieno può essere di due tipi: quello di tradizione “povera”, fatto di Parmigiano Reggiano e pangrattato scottato nel brodo, e quello di tradizione “ricca”, a cui viene aggiunto anche lo stracotto di carne.
Nati come piatto popolare di cui si ha traccia già nel XV secolo, gli anolini hanno conquistato lo status di piatto tipico della tradizione della città di Parma al punto da essere incluso da Pellegrino Artusi nel più importante ricettario italiano della fine del XIX secolo.
Consiglio extra: sappiate che i tortelli che troverete nel parmense, sempre di forma rettangolare, hanno varie personalità per quanto il ripieno.
Dai più famosi alle erbette conditi foghè in tal buter e sughè col formaj (affogati nel burro e asciugati con il formaggio) a quelli di zucca, tipici nel periodo autunnale o a quelli con le patate, tipici dell’Appennino, dove si condiscono con un sugo di funghi (TOP se fungo di Borgotaro IGP) o con il tartufo. In alta Val d’Enza potrete addirittura gustarli con un particolare ripieno di patate e erbette.

La verde Reggio Emilia
Stomaco permettendo, ma sappiamo che state prendendo questo tour molto seriamente, l’ultima tappa prevede una degustazione di tortelli verdi di Reggio Emilia, di forma quadrata.
Gli ingredienti variano a seconda delle tradizioni familiari e locali, e, mentre la pasta fresca è simile a quella delle vicine Piacenza e Parma, il ripieno ricorda quello dei tortelli con la coda ma, oltre agli spinaci e alla ricotta, vengono aggiunti bietole, lardo, aglio, prezzemolo, noce moscata e l’immancabile Parmigiano Reggiano.
La preparazione reggiana prevede il condimento con burro e Parmigiano Reggiano stravecchio e la tradizione prevede che i tortelli verdi vengano preparati per la cena della vigilia di Natale e a Parma, per la Notte di San Giovanni, il 24 giugno. Ma ovviamente voi potete mangiarli quando volete!
Consiglio extra: i reggiani vanno molto fieri anche della ricetta dei cappelletti, che varia leggermente a seconda della famiglia e della località (montagna, Bassa reggiana e capoluogo), così come le dimensioni che tendono ad aumentare scendendo verso la Bassa.
Appetitoso e irresistibile, secondo una leggenda – che trae origine dalla “Secchia Rapita” – il cuoco “imitando di Venere il bellico, l’arte di fare il tortellino apprese”.
Diverse sono le varianti di ricette di anolini in brodo di terza che caratterizzano le varie zone della provincia di Piacenza..
Ingredienti
Per la pasta
400 g di farina
2 uova
acqua
Per il ripieno
250 g di carne di manzo
2 spicchi di aglio
50 g di burro
150 g di pane grattugiato
300 g di grana grattugiato
2 uova
Una carota
Mezza costa di sedano
Una cipolla
Noce moscata
Mezzo bicchiere di vino rosso
500 ml di brodo di carne
Per il brodo in terza
500 g di manzo
1 cappone o 1 gallina interi
200 g di polpa di maiale maiale
1 carota
Una costa di sedano
Una cipolla
Sale
Procedimento
Preparare lo stracotto che servirà per il ripieno, quindi creare dei fori nel pezzo di carne di manzo e inserire dei pezzetti di aglio.
Rosolarla nel burro, quando la superficie sarà leggermente brunita aggiungere una cipolla, mezzo gambo di sedano, sale, pepe, una carota, vino rosso e il brodo.
Cuocere molto lentamente a fuoco basso, chiusa con il coperchio per cinque e più ore finché il liquido sarà assorbito quasi completamente.
Togliere lo stracotto dalla pentola e recuperare il fondo di cottura.
Tritare la carne con una mezzaluna e tostare il pangrattato in padella con due mestoli di fondo di cottura conservato.
Versare il pangrattato in una ciotola, aggiungere due mestoli di fondo di cottura, lo stracotto tritato, le uova, il grana grattugiato e un pizzico di noce moscata fino ad ottenere un impasto omogeneo. Tenere da parte.
Preparare il brodo in terza versando tutti gl’ ingredienti all’interno di una pentola molto capiente. Coprire con l’acqua e cuocere a fuoco medio per quattro ore.
Preparare la pasta all’uovo seguendo la modalità classica, quindi ottenere un panettone liscio ed omogeneo. Lasciar riposare per mezz’ora avvolto con della pellicola alimentare. Stendere la pasta ottenendo una sfoglia non troppo sottile, disporre dei mucchietti di ripieno lasciando 5/6 centimetri di spazio tra l’uno e l’altro. Ripiegare con il lembo di sfoglia e confezionare gli anolini utilizzando l’apposito strumento. Avranno la forma di una piccola mezzaluna.
Cuocere gli anolini nel brodo in terza, scolarli non appena verranno a galla e servirli con il brodo.
Cappelletti reggiani
Ingredienti:
per il ripieno:
2 piccole cipolle
150 g di burro
costata di manzo o altro tipo di carne di manzo purché saporita
70 g di prosciutto misto
60 g di filetto o polpa di maiale
90 g di vitello o tacchino o pollo, fegatelli e rigaglie
1 spicchio d’aglio a piacere
noce moscata
pane grattugiato q.b.
Parmigiano Reggiano
Preparazione:
In un tegame fate sciogliere il burro con cipolla, sale e pepe.
Tagliate a pezzi la carne e versate nel burro, fate cuocere lentamente con coperchio. Quando i pezzi saranno mollemente cotti, ma non rinsecchiti, tritate finemente il tutto. Unite un uovo intero, il pane grattugiato, e tre manciate di Parmigiano Reggiano, che è componente di primaria importanza, perciò dovrà essere molto saporito e profumato. Da ricordare: Il pane grattugiato con un pizzico di noce moscata dovrà essere, in precedenza, tostato con il condimento della carne. Le varianti al pesto sono l’aggiunta di una salsiccia o di una fetta di mortadella macinate. Ancora la sostituzione del burro con il midollo di bue e l’aggiunta di chiodi di garofano. Preparate la sfoglia come per i tortelli di zucca e confezionate i cappelletti che devono essere in brodo (brodo da cappelletti!).
Nov 3, 2024 | Enogastronomia
Il Lambrusco è più di un vino, è una vera e propria leggenda emiliana.
Prodotto fra le province di Reggio Emilia, Parma e Modena è un vino rosso (a volte rosato) frizzante dalla spuma vivace ed evanescente, profumo di viola o fruttato, una gradevole acidità, un carattere fresco e vivace e un moderato contenuto alcolico (non supera solitamente i 10, 11 gradi).
I rami principali del Lambrusco sono sette, disponibili nelle versioni secco, amabile o dolce: il Sorbara, il Grasparossa, il Salamino, il Marani, il Maestri, il Montericco e l’Ancellotta.
Quanto al territorio di produzione, assieme a varietà minori i vitigni del Lambrusco vengono coltivati prevalentemente in Emilia Romagna nelle aree circostanti le province di Reggio Emilia, Parma, Mantova e Modena anche se alcune zona di produzione sconfinano in Lombardia.

Un vino unico legato al suo territorio
La produzione del Lambrusco avviene prevalentemente con due metodi: il metodo Charmat (oppure detto Martinotti) utilizzato per creare la maggior parte dei Lambruschi frizzanti, che prevede la fermentazione secondaria in autoclave permettendo di mantenere la freschezza e i profumi caratteristici. C’è poi il metodo Classico usato meno frequentemente, ma che produce Lambruschi con bollicine più fini e strutturate.
Dopo la raccolta le uve vengono pigiate e fermentate. Il vino viene quindi messo a fermentare una seconda volta per creare la caratteristica effervescenza.
Ma che differenza c’è fra i diversi tipi di Lambrusco: Sorbara, Grasparossa, Salamino e Maestri?
Beh è evidente che presentano caratteristiche uniche che li distinguono in termini di colore, profumi, sapori e struttura. Vediamo nel dettaglio.

Quattro vini per un solo mito
Lambrusco di Sorbara
E’ considerato il più raffinato e delicato ed è noto per la sua elevata acidità e una struttura leggera. Questo lo rende un vino fresco e piacevolmente frizzante. Tendenzialmente di colore rosso rubino chiaro, a volte con riflessi rosati; presenta aromi floreali intensi come la violetta e note di lampone e fragola. Al palato risulta secco, fresco e leggero, con un buon equilibrio tra acidità e tannini moderati. Perfetto con antipasti, salumi, fritti leggeri e piatti di pesce.
Lambrusco Grasparossa
È il Lambrusco più strutturato e tannico, con una maggiore intensità rispetto al Sorbara. La sua robustezza lo rende adatto a piatti più corposi. Di un rosso rubino scuro, a volte con riflessi violacei al naso ha note fruttate di mora, ciliegia scura e un sottofondo speziato. Ha un gusto più pieno e intenso, con una maggiore presenza di tannini e una buona persistenza in bocca. È tipicamente secco, ma si possono trovare versioni amabili. E’ ideale con piatti a base di carne, arrosti, formaggi stagionati e la tradizionale cucina emiliana, come i tortellini o lo zampone.
Lambrusco Salamino
Chiamato così per la forma del grappolo, simile a un salame, questo Lambrusco è noto per essere una via di mezzo tra Sorbara e Grasparossa in termini di corpo e intensità. Il colore è rosso rubino vivace, con una spuma persistente e una tonalità violacea. Al naso è fruttato con sentori di ciliegia, prugna e leggeri accenni floreali. In bocca ha una buona struttura e una dolcezza bilanciata. L’acidità è moderata, e il gusto è generalmente armonico, con una piacevole morbidezza. Si sposa bene con i salumi e le preparazioni emiliane, come tigelle e gnocco fritto. Le versioni dolci possono essere servite con dolci secchi.
Lambrusco Maestri
È questa una varietà versatile spesso utilizzata anche in blend con altri vitigni per arricchire i vini. Ha un carattere forte e un buon corpo. Dal colore rosso intenso e scuro, con sfumature violacee e una spuma abbondante al naso ha aromi ricchi di frutti di bosco, ciliegia nera e spesso note di spezie. Al palato, il Maestri offre un gusto pieno e rotondo, con tannini decisi e una piacevole effervescenza. È più corposo rispetto al Sorbara, ma meno tannico del Grasparossa. Ottimo con piatti di carne rossa, stufati e formaggi più saporiti.

Un legame indissolubile col territorio
Questo vino come accennato anche in introduzione ha un legame profondo con l’Emilia-Romagna, terra di tradizioni culinarie famose in tutto il mondo ed è spesso associato a piatti regionali come salumi, formaggi stagionati (in particolare il Parmigiano Reggiano), pasta ripiena (come i tortellini e i cappelletti) e piatti di carne.
La sua acidità e le sue bollicine lo rendono perfetto per sgrassare la bocca e bilanciare la ricchezza dei cibi emiliani.
Inoltre, la cultura del Lambrusco è legata alle tradizioni contadine e alla convivialità tipica della regione, dove il vino è visto come una bevanda quotidiana e accessibile, da condividere con la famiglia e gli amici.

Tutte le curiosità
Il Lambrusco ha origini antichissime che risalgono ai tempi degli Etruschi e dei Romani. Testimonianze storiche indicano che il vino prodotto con queste uve era già apprezzato nell’antichità.
Negli anni ’70 e ’80 è stato uno dei vini italiani più esportati al mondo, in particolare negli Stati Uniti, dove veniva apprezzato per la sua dolcezza e la facilità di beva.
Per molti anni ha sofferto una reputazione di vino semplice e di bassa qualità, soprattutto per via delle versioni commerciali dolci prodotte in grandi quantità per l’export; ma negli ultimi decenni tuttavia i produttori hanno lavorato per migliorare la qualità e restituire al Lambrusco la dignità di un vino eccellente, capace di sorprendere anche i palati più esigenti.
Le diverse tipologie dimostrano la versatilità di questo vino, che può spaziare da versioni fresche e leggere a varianti più strutturate e complesse.
Anche se tipicamente accostato ai piatti della tradizione emiliana, il Lambrusco si abbina bene a una varietà di cibi, dai fritti ai piatti asiatici speziati, grazie alla sua acidità e alla frizzantezza che puliscono il palato.
Diverse versioni di Lambrusco hanno ottenuto le denominazioni di origine controllata (Doc) e controllata e garantita (Docg), come il Lambrusco di Sorbara Doc e il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Doc, a testimonianza della qualità e dell’importanza di queste varietà.
Infine un cenno alla spuma che nell’immaginario comune fa il Lambrusco. Per conoscere il segreto della sua formazione dobbiamo però fare un passo indietro e analizzare il processo di vinificazione tradizionale, detto di rifermentazione primaverile.
Anzitutto, nel Lambrusco la spuma nasce spontaneamente. Un tempo i cantinieri si avvalevano della forte escursione termica invernale che interrompeva la fermentazione per farla riprendere nella primavera successiva, quando il vino era ormai imbottigliato: si otteneva così la rifermentazione in bottiglia. L’anidride carbonica rimaneva infatti sciolta nel vino e, una volta stappata la bottiglia, compariva la spuma.
Nov 7, 2023 | Enogastronomia, Territori
Nel panorama vinicolo italiano un posto d’onore, anche se alcuni storcono la bocca, spetta al Lambrusco vino frizzante, allegro e generoso come la terra da cui proviene l’Emilia.
Uno dei vini italiani più famosi (ed esportati) al mondo è in realtà un crogiolo di vitigni e colori racchiusi in un solo nome: lambrusco.
Sono ben dodici i vitigni a bacca nera autoctoni dell’Emilia Romagna da cui deriva questo apprezzato nettare frizzantino.

La storia del Lambrusco: da Virgilio al Conte Dandolo
Il Lambrusco è stato decantato da poeti e scrittori classici come Virgilio e Catone che hanno raccontato del “Labrusca vitis”, un vitigno selvatico che cresceva ai margini delle campagne.
Persino Plinio il Vecchio, nel suo trattato più famoso, descriveva l’area padana come particolarmente vocata alla vite, soprattutto lungo la via Emilia.
È dal Rinascimento in poi però che le testimonianze sul Lambrusco si fanno sempre più presenti, fino ad arrivare all’Ottocento, quando avviene la svolta grazie all’innovazione tecnica per la conservazione di questo vino frizzante pubblicate a Modena dal Conte Vincenzo Dandolo che indica come produrre e imbottigliare correttamente i vini spumosi, al fine di commercializzarlo senza alterazioni. Nascono così nel Novecento diverse attività consortili, fino ad arrivare a oggi,

Le tipologie e le zone di produzione
Prima di parlarvi dell’ottimo Lambrusco protagonista della nostra degustazione è necessario brevemente raccontare che le tipologie di vino frizzante Lambrusco si producono nelle province dell’Emilia Romagna e soprattutto nelle province di Modena, Reggio Emilia e Parma.
È in queste zone che si concentrano le DOC emiliane del Lambrusco, cioè:
Lambrusco di Sorbara DOC:
Dà vita a un vino dai sentori di viola e frutti rossi, apprezzato in tutto il mondo per la sua beva elegante. Il colore può variare da rosato a rosso rubino chiaro
Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC
Lambrusco dal colore rosso rubino intenso dai riflessi esuberanti violacei e un profumo che richiama non solo l’uva appena pigiata, ma anche la mora, l’amarena e la viola.
La zona di produzione comprende i comuni in provincia di Modena e parte della provincia emiliana, si differenzia dalle altre tipologie per il corpo e i tannini più pronunciati.
Colli di Scandiano e di Canossa DOC
Nasce sulle colline reggiane, grazie al cui terreno e clima ottiene grande finezza.
Lambrusco Salamino di Santa Croce DOC
Colore rubino intenso e sentori di lampone, ciliegia e mora. È un vino dalla struttura media che piace a tutti, prodotto nei comuni in provincia di Modena.
Modena DOC
Dal rosato al rubino, passando per il porpora, racchiude in sé il carattere del territorio.
Reggiano DOC
Il suo disciplinare prevede che possano essere utilizzate diverse varietà appartenenti alla grande famiglia dei Lambruschi. Secco ma piacevolmente fruttat oè un vino molto pulito dal grande equilibrio tra acidità e tannini.

Casali, una storia lunga più di 100 anni
La storia di Casali Viticultori, la più antica realtà vitivinicola reggiana, ha inizio nel 1900 quando Giuseppe Casali decise di trasformare la sua produzione famigliare in una vera e propria attività.
La prima cantina, collocata a ridosso dell’antica Rocca dei Boiardo di Scandiano, con il crescente successo dei vini sul mercato e il necessario aumento della produzione, divenne troppo piccola e così la sede si trasferì negli anni ’80 nell’attuale sede a Pratissolo di Scandiano.
Oggi Casali Viticoltori rappresenta un punto di riferimento del comprensorio reggiano e alla fine del 2014 è entrata a far parte del Gruppo Emilia Wine che con più di 700 soci coltiva un vigneto di circa 1870 ettari tra il fiume Po, la Via Emilia e l’Appennino Reggiano.
Nel corso degli anni l’attenzione alla cultura del territorio si è unita, in modo quasi naturale, al rispetto dell’ambiente. Una sensibilità da sempre presente in Casali Viticultori e che l’ha portata a produrre energia pulita e a definire protocolli di coltivazione integrata delle uve che puntano al rispetto per l’uomo e per l’ambiente.
L’obiettivo è quello di fornire concrete garanzie di sicurezza lungo tutte le fasi della filiera, all’interno di un’ottica di completa trasparenza.
L’esperienza storica, la conoscenza del territorio e la cultura del vigneto sono alla base del prezioso patrimonio aziendale tramandato di padre in figlio che permette di proporre vini dalle caratteristiche uniche.
A Pratissolo di Scandiano la moderna cantina ospita al suo interno le autoclavi per la produzione del Lambrusco, vini fermi caratteristici del territorio, nati dall’unione di varietà locali con uve internazionali, e custodisce le bottiglie di spumante Ca’ Besina, il primo Metodo Classico dell’Emilia-Romagna prodotto a monovitigno Spergola, che riposano sui lieviti per almeno 48 mesi nel silenzio e buio della cantina interrata.
Ogni anno la produzione annua si attesta su circa 1,5 milioni di bottiglie, commercializzate in Italia e in più di 30 Paesi nel mondo.
Preservare il patrimonio autoctono locale grazie ad una produzione rispettosa delle caratteristiche dei vitigni e del terroir che li ospita è da sempre uno dei punti fermi di Casali Viticultori. Oltre alla tutela della grande famiglia delle varietà che vanno a comporre l’articolato universo dei lambruschi – Marani, Salamino, Montericco, Grasparossa, Montericco, Ancelotta – uno dei tratti distintivi di Casali Viticultori è certamente la custodia e tutela della Spergola.
Le origini di questa uva autoctona risalgono al XV secolo quando venne citata da Bianca Cappello, Granduchessa di Toscana. Si tratta di un vitigno diffuso solo nella fascia collinare e pedecollinare da Scandiano a Quattro Castella, che nel corso della storia ha ricevuto diverse denominazioni. Per i suoi acini medio-piccoli e la buccia pruinosa di colore verde-giallo, la Spergola è stata a lungo confusa con il Sauvignon Blanc, ma studi più approfonditi dal punto di vista morfologico e genetico hanno poi dimostrato la sua unicità assicurandone l’iscrizione al Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite.

Lambrusco e picio all’aglione
La nostra degustazione
Abbiamo deciso in redazione di approcciarci al Pian di Bosso dopo aver lasciato alle nostre spalle una lunga estate quasi novembrina.
Una scelta precisa perché, pur essendo questo un fantastico vino quattro stagioni volevamo esaltarne al meglio le note nella sua interezza e non influenzati dalla sua piacevole freschezza.
E’ stato un piacevole incontro a quattro: fra me, Nadia Fondelli Donna del Vino e giornalista esperta di enogastronomia da quasi 30 anni, Barbata Tedde, preziosa collaboratrice della nostra testata, sommelier Ais, Donna del Vino e conduttrice di corsi vinicoli molto intriganti e Francesco Catarzi oste di lunga, consolidata fama ed esperienza oggi patron dell’Osteria del Pratellino a Firenze.
Il nostro Pian del Bosso reggiano secco lo abbiamo esaltato per contrasto ovvero abbinandolo a un toscanissimo picio all’aglione in bianco e un’arista rifatta.
Il suo rosso rubino intenso con sfumature violacee che richiamano nei colori la squadra della nostra città Firenze ci ha esaltato, ma più del colore poté l’inteso bouquet olfattivo di rosa, viola mammola e le note intense di prugna e lampone.
In bocca è davvero sgarzullino, intrigante, fresco e quasi irriverente.
Fresco e giovane ma allo stesso tempo anche elegante e vellutato con quella dose di mineralità che ne richiama il desiderio di beva che ha una buona persistenza.
Mai un ortodosso avrebbe pensato a una tale abbinamento ma siccome io, Barbara e Francesco siamo degli avventurieri ne abbiamo abilmente esaltato le doti anche per contrasto.
E chi l’ha detto che un Lambrusco sta bene solo con un buon Parmigiano Reggiano con un aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia, con i salumi artigianali della valley italiana più pregiata?
Osare premia e con il Pian di Bosso è stato così!
Giu 5, 2023 | Territori
Una delle acetaie più famose d’Italia inizia in giugno il suo “Giro d’Italia” per celebrare la versatilità dell’ Aceto Balsamico in abbinamento ai piatti della tradizione italiana.
Parte il 6 giugno da Firenze questo tour all’insegna del gusto che farà tappa in tre città italiane, Firenze, Roma e Milano, per raccontare non solo l’altissima qualità che contraddistingue l’Aceto Balsamico ma anche la sua capacità di abbinarsi alle numerose ricette della tradizione italiana e rendere speciale qualsiasi piatto.

Un giro d’Italia speciale
Ad ospitare questo viaggio da nord a sud della penisola, organizzato dalla più antica casa produttrice di Aceto Balsamico di Modena, alcune delle più note e storiche osterie d’Italia che aprono le porte agli esperti del settore enogastronomico per far scoprire loro le migliori espressioni delle diverse collezioni degli aceti balsamici in abbinamento ai piatti forti e più rinomati delle loro cucine.
Agli eventi di lancio seguiranno poi delle serate di degustazione dedicate al pubblico di appassionati e gourmand.

In “maglia rosa” la 17ma generazione di una delle acetaie storiche di Modena
Sotto la guida di Claudio Stefani Giusti, 17ma generazione di una delle famiglie storiche di Modena e AD dell’azienda sarà possibile scoprire le molteplici versioni che animano la produzione di questa storica azienda e che trovano perfetto abbinamento con i piatti tipici della tradizione toscana.
“Siamo estremamente orgogliosi di essere riusciti a dare vita a questo piccolo “Giro d’Italia” dove il protagonista è il nostro Aceto Balsamico presentato nelle sue molteplici sfaccettature e diversità e in abbinamento ai piatti delle diverse tradizioni regionali – commenta Claudio Stefani Giusti – “l’Aceto Balsamico di Modena è sicuramente un prodotto legato al suo territorio di origine e ci teniamo molto affinché la promozione dei nostri prodotti coincida con una valorizzazione della terra da cui nascono. Allo stesso tempo, però, crediamo anche che sia fondamentale raccontare l’incredibile versatilità di questo prodotto, “portarlo in giro” per l’Italia per mostrare la sua capacità di abbinarsi ed esaltare i tanti piatti della tradizione culinaria del nostro Paese. Per farlo non poteva esserci occasione migliore di un vero e proprio tour nelle principali città italiane”.
Versatilità e sperimentazione: saranno queste dunque le parole chiave del “Giro D’Italia” un’iniziativa che conferma l’impegno nel promuovere e far conoscere le innumerevoli sfaccettature di un prodotto storico e d’eccellenza come l’Aceto Balsamico di Modena, dando vita ad un racconto in cui tradizione e territorio si sposano con uno sguardo contemporaneo e in cui il Balsamico diventa protagonista della cucina moderna, in grado di evolversi ed abbinarsi ai tantissimi piatti della cucina italiana

Scopriamo il balsamico: Dop o Igp?
Vi siete mai chiesti che differenza c’è fra il pregiato aceto balsamico tradizionale di Modena Dop e l’aceto balsamico di Modena Igp?
Partiamo col dire che l’aceto balsamico tradizionale di Modena Dop cioè a “denominazione di origine protetta” si ottiene solo con mosto d’uva cotto seguendo un rigoroso disciplinare e un invecchiamento di molti anni.
L’aceto balsamico di Modena Igp cioè a indicazione geografica protetta viene realizzato con mosto e aceto di vino e necessita di una maturazione molto più breve, di appena due mesi.
Il disciplinare dell’aceto balsamico tradizionale di Modena Dop prevede ce il mosto sia ridotto a circa 2/3 facendolo cuocere a 30° centigradi molto lentamente.
Una volta raffreddato e fatto decantare, vengono innestati lieviti ed inizia la prima fase di riposo invernale e successivamente viene messo a invecchiare in batterie di botti detti “vaselli”. A questo punto inizia il lungo riposo.
Le uve di partenza del mosto cotto devono essere prodotte nella provincia di Modena: Trebbiano, Lambrusco e Ancellotta, Sauvignon, Berzemino, Occhio di Gatta e Sgavetta.
L’aceto balsamico di Modena Igp ha più ingredienti: mosto cotto, mosto concentrato e aceto di vino eventualmente invecchiato, aggiunte (non sempre) di caramello e bastano due mesi di invecchiamento per essere pronto.

La variante reggiana
Ultimamente si trova anche aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia anche questo ottenuto solo con mosto cotto di uve autoctone.
La differenza è nella posizione dell’acetaia, nell’uso dei legni delle botti, la tecnica usata e la concentrazione degli zuccheri (che per Modena non deve essere inferiore a 25°Bx e per Reggio Emilia non inferiore a 40°Bx) e nell’acidità che è di poco differente.
La cosa importante da sapere quando si acquista un aceto balsamico è che la parola tradizionale indica tutta la differenza con l’aceto balsamico di Moden iGP.