Apr 15, 2024 | Enogastronomia, Territori
La chiamano zvòla da aqua, perché in passato veniva coltivata nei terreni attraversati da canali e fossi d’acqua, e oggi diventa Presidio Slow Food: stiamo parlando della cipolla dell’acqua di Santarcangelo di Romagna.
Una varietà di cipolla (è la sedicesima in Italia a diventare Presidio, un dato che meglio di qualsiasi definizione spiega che cosa significa il termine biodiversità) «dalla pezzatura importante, che può arrivare anche al chilo di peso, di colore bianco e buccia dorata, e soprattutto caratterizzata da una dolcezza che ne consente il consumo anche a crudo, in insalata» spiega Fabio Polidori, il referente dei quattro produttori che aderiscono al progetto.
Il fiore della cipolla dell’acqua . Foto Anna Maria Nanni
Il mito della cipolla
Nella prima metà del Novecento, nella zona di Santarcangelo di Romagna la produzione della cipolla era fiorente.
«Nei terreni, tra una aiuola di cipolle e l’altra, venivano scavati dei piccoli fossi e l’irrigazione avveniva per scorrimento: l’acqua, prelevata dal fiume Marecchia, scorreva abbondante – prosegue Polidori –. Ma oggi quei fossi non sono più gli stessi: quelli che ancora ci sono portano molta meno acqua, ma molti non esistono nemmeno più.
Nella zona in cui ho l’azienda io, ad esempio, un tempo correva una fossa che assicurava l’acqua a cinque mulini: è scomparsa.
Questo fa capire quanto le scelte politiche possono cambiare la morfologia di un territorio».
Decennio dopo decennio, poi, la coltivazione ha subìto un progressivo abbandono: oggi resistono pochi contadini, che hanno ereditato la semenza e lavorano per conservarla e tramandarla.
Se l’irrigazione avviene necessariamente in modo diverso e la coltivazione si pratica su superfici ridotte, ciò che non è cambiato è il calendario dei lavori nell’orto: la semina avviene a gennaio, il trapianto delle piantine in primavera, la raccolta tra metà luglio e fine agosto: «Ho sempre avuto il mito della cipolla dell’acqua – ricorda Polidori –. I miei zii erano agricoltori e io, che ne sentivo parlare come di uno dei fulcri della cucina locale, rimanevo impressionato vedendo cipolle così grandi. Così otto anni fa ho iniziato anch’io».
Cipolla dell’ acqua di Santarcangelo di Romagna, Presidio Slow Food. Foto Anna Maria Nanni
In cucina, dalla piadina al dolce
Agli abitanti di Santarcangelo di Romagna l’appellativo di zvùléun, cioè cipolloni, è stato dato dai vicini riminesi: un soprannome che racconta bene un passato legato a doppio filo con il dolce e buonissimo ortaggio.
In cucina, la cipolla dell’acqua si presta a diversi utilizzi: oltre a venir consumata cruda, un tempo veniva cotta sulla stufa a legna oppure avvolta nella stagnola e messa nella brace.
Oggi la si ritrova in molte preparazioni, a cominciare dalla piadina per arrivare fino ad alcune pietanze dolci.
«È un vero e proprio tesoro per i santarcangiolesi, che la amano. – conclude Serena Boschi, referente Slow Food del Presidio – Ma siccome si conserva poco, due o tre mesi, oggi il tentativo è quello di usarla anche per fare trasformati e renderla sempre più appetibile sul mercato».
Gen 5, 2024 | Territori
Erano rimasti in cinquanta. Cinquanta esemplari in tutto, posseduti da un anziano allevatore in provincia di Ravenna. Da quel giorno del 1997, quando li mise a disposizione della facoltà di Veterinaria dell’Università di Parma affinché venisse avviato un programma di conservazione e ripopolamento della razza, è passato più di un quarto di secolo. E oggi il pollo Romagnolo ottiene il riconoscimento come Presidio Slow Food.
foto Oliver Migliore, Slow Food
Il romagnolo: un pollo che ha bisogno di spazio
Fino alla metà del secolo scorso, questa razza avicola era diffusa in tutta l’area delle odierne province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini. Rustico e abile pascolatore, dalla livrea variopinta, il pollo Romagnolo era apprezzato per la duplice attitudine, anzi triplice: innanzitutto per produrre uova, materia prima tra le più importanti della tradizione gastronomica dell’area, in particolare per la preparazione della pasta fresca, poi per la carne, sapida e saporita e, in alcuni casi, anche semplicemente a scopo ornamentale.
«Nell’aia, il pollo Romagnolo c’è sempre stato» ricorda Lia Cortesi, responsabile Slow Food del nuovo Presidio.
«Una razza rustica, che ama stare all’aperto, razzolare liberamente». Eppure, nel secondo dopoguerra, proprio la caratteristica che più lo contraddistingue – il bisogno di ampio spazio per procurarsi il cibo raspando tra i ciuffi d’erba e beccando le granaglie avanzate dalla mietitura – ne ha sancito la pressoché totale scomparsa: garantirgli lo spazio all’aperto è diventato, per chi ha preferito adottare un approccio industriale e intensivo all’allevamento, sconveniente e poco redditizio. Non solo: il pollo di razza Romagnola è piuttosto lento a crescere e impiega fino a sei-otto mesi per raggiungere la massa che le razze commerciali toccano in cinquanta o sessanta giorni.»
Pulcino di razza romagnola. Foto Oliver Migliore, Slow Food
Un Presidio che è un’idea di allevamento
Il processo di recupero, cominciato nel 1997, ha consentito di moltiplicare il numero di esemplari: «Oggi possiamo stimare tra i 500 e i 600 riproduttori negli allevamenti della Romagna – spiega Alessio Zanon, presidente della Associazione razze autoctone a rischio di estinzione, che si è occupato anche del pollo Romagnolo – più alcuni altri a livello famigliare».
Gli allevatori professionali che aderiscono al Presidio Slow Food sono tre, a cui si aggiungono gli allevatori amatoriali di pollo Romagnolo membri dell’Associazione razze e varietà autoctone romagnole (Arvar).
Uno di loro è Davide Montanari, referente dei produttori del Presidio:
«Da quasi vent’anni gestisco un piccolo allevamento in cui mi occupo della selezione degli animali destinati a essere i nuovi riproduttori, così da incrementare il patrimonio zootecnico» spiega.
Tutti i suoi animali, naturalmente, crescono all’aperto, perché il Romagnolo si esprime al meglio se dispone di ampi spazi erbosi per il pascolo.
«Questo Presidio Slow Food ha un che di sentimentale – aggiunge Cortesi – e lo riteniamo importante perché è un esempio di allevamento virtuoso: esortiamo spesso a mangiare meno carne e a mangiarla di qualità, e questo vale anche per il settore avicolo. Quando sento dire indiscriminatamente che il pollo “è sano”, faccio presente che negli allevamenti industriali spesso vengono somministrati antibiotici agli animali e il benessere si misura esclusivamente nel numero di animali per metro quadro. C’è pollo e pollo, insomma, e dobbiamo educarci alla scelta».
La razza che non si adatta all’intensivo
Come molte altre razze autoctone, anche la Romagnola è meno produttiva: «In realtà è solo incapace di adattarsi a un allevamento intensivo, mentre in un sistema estensivo si rivela vincente» conclude Zanon. «L’allevamento di polli autoctoni dovrebbe essere salvaguardato, non visto in contrapposizione al sistema industriale. I due sistemi non sono in competizione: producono alimenti che provengono sì dalla stessa specie, ma che hanno caratteristiche gustative, salutistiche e qualitative completamente diverse».
I Presìdi presenti in Emilia-Romagna sono 19, frutto di una collaborazione di lunga data tra Slow Food Italia e la Regione che ha portato recentemente alla firma di un protocollo d’intesa.
«Il sostegno ai Presìdi Slow Food, capaci di creare cultura e identità, porta avanti un progetto che coinvolge le comunità locali e persegue obiettivi come salvare la biodiversità, tutelare gli ecosistemi e le risorse naturali, tutelare la salute dei cittadini e promuovere filiere eque dal punto di vista sociale. I Presìdi sono una ricchezza qualitativamente ineguagliabile, preservata da chi ogni giorno si impegna per ridare il giusto valore all’alimentazione, rispettando chi produce cibo sano e un’armonia che le istituzioni devono difendere e promuovere sempre» aggiunge l’assessore regionale all’Agricoltura Alessio Mammi.