Feb 7, 2024 | Enogastronomia
Dopo il successo delle precedenti edizioni, torna e si rinnova Aggiungi un legume a tavola, la campagna di Slow Food Italia e della sua rete giovani in occasione della Giornata mondiale dei legumi.
Quest’anno per una settimana intera, a partire dal 10 e fino al 17 febbraio, i legumi saranno protagonisti delle proposte culinarie di ristoranti e pizzerie della rete.

La raccolta dei fagioli nei campi di mais. In foto il produttore Domenico Defilippi nei suoi campi. Presidio della Piattella Canavesana di Cortereggio – © Paolo Andrea Montanaro
Gli alleati della salute e del suolo
Preziosi alleati per il suolo e fonti ricchissime di micronutrienti e proteine, i legumi sono piccoli ma grandi alimenti dalle innumerevoli proprietà. La stessa Fao li ritiene chiave per affrontare la sostenibilità alimentare e ha indetto una giornata per celebrarli, il 10 febbraio.
Il tema scelto quest’anno per la Giornata mondiale dei legumi sintetizza chiaro e tondo perché dovremmo mangiarne di più: Pulses: nourishing soils and people, i legumi sono una fonte di nutrimento fondamentale per il suolo e per le persone. Perché se la produzione di cibo dipende dal suolo, un terreno sano è fondamentale per garantire la sicurezza alimentare e per evitare le malattie legate alla carenza di micronutrienti. E poi non va dimenticato che c’è un legume per ogni terreno, anche quelli più difficili, come quello montano: i legumi sono un ottimo ingrediente anche per ripopolare le aree interne della nostra penisola.

Fagiolo poverello bianco – Calabria. © Vincenzo Alvaro e Francesco Limonti
«L’attenzione verso i legumi è una parte fondamentale della nostra dichiarazione d’amore nei confronti della natura» afferma Roberta Billitteri, vicepresidente di Slow Food Italia.
«Fave, lupini, fagioli, piselli, cicerchie… i semi di leguminosa custodiscono in sé e raccontano storie di territori e di comunità e sono simbolo di equilibrio e giustizia sociale e ambientale. Ogni ricetta che li ha per protagonisti è un modo buono, pulito e giusto per dare senso a scelte consapevoli: prenderci cura di noi, del suolo e della natura, riscoprire e dare valore a quella meravigliosa biodiversità che dobbiamo proteggere. Solo se consci di appartenere a un mondo interconnesso e che la nostra salute dipende da quella del Pianeta, possiamo cambiare davvero le cose a partire dalla tavola: un legume alla volta o tanti insieme, preziosi alleati per tutte e tutti noi».

Fagiolo di San Quirino – Friuli-Venezia Giulia. © Archivio Slow Food
Sfatiamo i falsi miti
Ma come si può rendere più vegetale la nostra dieta?
Troppo spesso pensiamo che i legumi richiedano preparazioni lunghe o li riteniamo noiosi, poco validi nutrizionalmente o poco appetitosi. In realtà bastano i giusti accorgimenti per imparare a utilizzare le leguminose al meglio e compiere scelte alimentari che fanno bene a noi e al Pianeta.
Per esempio, quante volte rinunciamo a mangiare ceci, fagioli, lenticchie o affini perché convinti che ci gonfieranno?
Vi sveliamo un segreto, anzi due: sono i nostri intestini a essere disabituati a mangiarli, quindi basta reintrodurli più spesso e con le dovute accortezze, a partire da un ammollo lungo.
Oppure privilegiare le versioni decorticate, che sono più facilmente assimilabili e ci consentono anche di risparmiare tempo in cucina.

Fagiolo gialét della Valbelluna – Veneto. © Valerie Ganio Vecchiolino
Non è la solita zuppa…con i cuochi dell’Alleanza
Nei menù dei cuochi dell’Alleanza, a partire dal 10 febbraio, i legumi diventano l’originale ripieno di torte salate, crespelle o ravioli.
Il cece nero della Murgia Carsica è proposto in spuma dalla Masseria Storica Pilapalucci di Bari, o in versione farinata black al Fuzion di Torino. Al Piknik nel Verbanese, la fava di Carpino del Foggiano incontra la tradizione dell’härkäpapuragua, un piatto tipico finlandese.
Il cotechino sì, ma Al Crott dal Murnee ad Albavilla (Como) è fatto di ceci, patate e verdure di stagione. E nei menù dell’Alleanza non mancano le insalate gustose e colorate che celebrano la biodiversità leguminosa da tutta Italia.
Insomma, i legumi stanno bene davvero su tutto e c’è chi li propone persino come condimento della pizza. I 49 Presìdi Slow Food e le tante varietà iscritte all’Arca del Gusto arricchiscono i grandi classici: dalle minestre come la zuppa di Slow Beans proposta dal Ristorante Garden dell’Agenzia di Pollenzo (Bra, Cuneo) alla pasta con ceci, fagioli o lenticchie, quest’ultima presente pure in versione frittatina.
I cuochi di Slow Food accontentano anche gli amanti dei dolci: al Pasto Nomade di Bologna il migliaccio è a base di lenticchie rosse, a Tivoli la crema spalmabile è con nocciole, cioccolato, olio evo e fagiolina di Arsoli del Presidio.
Aggiungi un legume a tavola è una delle tante iniziative portate avanti da Slow Food negli anni per dare la giusta importanza ai legumi: scopri tutti i progetti della rete Slow Beans.
L’Alleanza Slow Food è una rete internazionale di oltre 1300 cuoche e cuochi che ogni giorno nelle loro cucine impiegano cibi buoni, puliti e giusti di chi produce con passione e rispetto per la biodiversità, la terra e gli animali. I cuochi si impegnano a segnalare i nomi dei produttori dai quali si riforniscono, per dare rilievo e visibilità al loro lavoro.
Nov 27, 2023 | Enogastronomia, Territori
Una oliva da tavola, con una polpa così morbida da riuscire a separarla dal nòcciolo con due dita, dal colore che, al momento della raccolta a piena maturazione, oscilla tra il rosa e il nero brillante: così si presenta l’oliva aitana dei Colli Tifatini, nel Casertano, appena entrata a far parte dei Presìdi Slow Food.
«È uno dei tanti esempi di biodiversità della nostra zona, ha un grande valore storico-ambientale» sottolinea Alessandro Manna, che del neonato Presidio è il referente Slow Food. Ma soprattutto «è buona, un piacere da mangiare e facile da usare in cucina».

foto Marco del Comune per Slow Food
Un nome che non deve trarre in inganno
L’aggettivo aitana significa di Gaeta, ma quella dei monti Tifatini, i colli subappenninici che abbracciano a nord Caserta spingendosi fino a Capua, non è un clone dell’oliva itrana.
«La ragione del nome è semplice – spiega Manna –. Un tempo, molte olive da mensa particolarmente buone venivano chiamate così».
Non vi è però dubbio sull’unicità genetica della cultivar dei monti Tifatini, accertata negli ultimi anni anche dalle analisi di laboratorio condotte dall’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr di Perugia e dal Dipartimento di scienze e tecnologie ambientali, biologiche e farmaceutiche dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Caserta.
«Quando le olive erano un alimento e non uno sfizio, tutta la fascia collinare era impiantata a oliveti – prosegue Manna – e lo dimostra il fatto che vi sono piante di questa cultivar, peraltro facilmente riconoscibili per via della forma “a merletto” che assumono quando invecchiano, a una decina di chilometri dal comune di San Prisco, che è il centro della produzione di queste olive».
Poi, con il tempo, l’aitana si è in parte persa: «Un po’ per la fuga dalle campagne, un po’ per la speculazione edilizia, un po’ per gli incendi, un po’ perché si è privilegiato l’innesto di olivi adatti alla molitura – continua il referente –, fatto sta che questa varietà ha sì resistito, ma su una scala più piccola».

foto Marco del Comune per Slow Food
Acqua, sale e aceto rosso
Dopo essere salita sull’Arca del Gusto, al termine di un percorso durato un paio di anni l’oliva aitana è finalmente diventata Presidio Slow Food.
I produttori che aderiscono al disciplinare sono una decina e Giuseppe Santoro è il loro referente: «Potrei dire di essere cresciuto sotto un albero di olivo – racconta –. Qui da noi ci sono tante varietà, alcune solo da olio, altre da mensa, altre ancora con duplice attitudine. L’aitana era l’oliva da tavola per antonomasia, quella dei giorni di festa. Non esagero se parlo di una sorta di sacralità, intesa come forma di rispetto di un alimento fortemente caratterizzante».
L’aitana dei Colli Tifatini si raccoglie tra novembre e gennaio, quando la superficie del frutto si ricopre di una velatura pruinosa. Poi viene deamarizzata in una soluzione di acqua, sale e aceto rosso, un metodo tradizionale adottato ancora oggi.
Se in tavola «è spettacolare, magari in un sugo alla puttanesca oppure sulla pizza, come già viene utilizzata in diversi locali della zona – prosegue Santoro –, come olio, invece, è neutro, per via della scarsa quantità di polifenoli, è ha una resa bassissima.
«A San Prisco, circa 200 ettari dei quasi 8 chilometri quadrati di superficie sono oliveti – continua il referente dei produttori –, ma non tutte le piante sono aitane. Complessivamente parliamo di una piccola produzione. Quest’anno, anche a causa della crisi climatica, purtroppo non è una buona stagione: complessivamente, tra tutti noi produttori, il raccolto sarà tra gli 80 e i 100 quintali».

foto Marco del Comune per Slow Food
Questione di (zero) chimica
«Per mettere a punto il disciplinare – ammette Santoro – sono andato a chiedere qualche consiglio a mia mamma, che in famiglia si è sempre occupata della cernita delle olive. Mi ha aiutato a ricordare alcuni passaggi della preparazione della salamoia… ed è stata anche l’occasione per trascorrere un po’ più di tempo insieme!». In campo, invece, le idee sono chiare da tempo: «Rispetto della natura, del consumatore e dell’operatore, perché se si usa la chimica si danneggia anche chi lavora e inala certe sostanze. Si parla tanto di sostenibilità sociale in agricoltura, ma è una cosa seria e non la si può promuovere soltanto a parole».
Oggi, accanto a un paio di produttori esperti, c’è un gruppo di giovani impegnati a recuperare gli oliveti dei nonni. «Confido che il riconoscimento come Presidio Slow Food – conclude Manna – possa essere un volano anche per la tutela dei Colli Tifatini: se l’olivicoltura diventa un valore economico competitivo, allora potrà essere anche un sostegno al progetto del parco delle colline Tifatine, che promuoviamo da tempo».
Nov 19, 2023 | Enogastronomia, Territori
Esistono luoghi in cui i Presìdi Slow Food hanno una ragion d’essere ancora più potente: le aree interne. Paesi e terre alte in cui la salvaguardia va ben oltre il prodotto in sé, rigenerando economie rurali minate dallo spopolamento e dalla conseguente perdita di biodiversità.
Qui, recuperare le colture significa ripristinare terreni abbandonati ma anche restituire al futuro memorie contadine a rischio di totale dimenticanza.
È quanto successo con la pastinaca di Capitignano e la cipolla di Bagno, i due nuovi Presìdi istituiti nella fascia interna dell’Aquilano: un tubero e un bulbo mai del tutto scomparsi dagli orti dei contadini che oggi puntano a rigenerare l’agricoltura locale.

foto Marco Del Comune, Slow Food
La pastinaca di Capitignano, radice della memoria
Il legame degli abitanti di Capitignano con la loro terra ha radici ben profonde e un nome preciso: pastinaca.
Sulle origini di questo tubero c’è chi parla di archeologia orticola, sarebbe stato diffuso infatti in tutta Europa dai Romani, importandolo dalla Germania.
A Capitignano, la pastinaca ha sviluppato nei secoli un ecotipo a sé, diverso dagli altri presenti sul mercato per il sapore dolce, il colore più tendente al giallo e la presenza di ramificazioni laterali.
Nel borgo montano di circa 600 abitanti ricompreso nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, la pastinaca non è mai mancata dagli orti domestici.
La sua coltivazione si è progressivamente ridotta, a causa dell’introduzione della patata in zona a partire dal ‘500, ma anche della gestione delicata della pastinaca: il terreno deve essere morbido e drenato, le piantine vanno prima diradate e poi, una volta raccolte, pulite con cura. Ma, come una madeleine proustiana, dalla memoria dei locali non era mai scomparsa del tutto.
«L’abbiamo fatta riassaggiare ai nostri compaesani perché tanti non ricordavano nemmeno che sapore avesse», racconta Noemi Commentucci, giovane produttrice. «Ma la memoria gustativa ha fatto la sua parte: molti di loro sono tornati bambini, richiamando gesti e sapori di famiglia». Come il cenone della vigilia di Natale, che secondo la tradizione a Capitignano prevede sette portate vegetali, pastinaca inclusa.
La famiglia Commentucci è stata fra i primi promotori del percorso di recupero del tubero, continuando a coltivarlo e proporlo agli ospiti del loro agriturismo. Oggi il Presidio riunisce alcune decine di produttori: «speriamo che sia l’occasione per rilanciare la coltivazione anche in paese», conclude Noemi.

foto Marco Del Comune, Slow Food
Alla ricerca del tesoro (quasi) perduto: la cipolla di Bagno
Arriva da Bagno, frazione della città dell’Aquila, il nuovo Presidio dedicato alla cipolla, il secondo nella regione dopo la cugina bianca piatta di Fara Filiorum Petri, nel Chietino.
Leggermente schiacciata, dalla buccia dorata e la polpa compatta e bianca, quasi trasparente, la cipolla di Bagno ha un sapore dolcissimo tanto che un tempo veniva data ai bimbi come merenda, cotta sotto la brace, aperta e spolverata di zucchero.
«La cipolla è da sempre una specialità rinomata nella zona: gli anziani produttori erano gelosi dei semi, li custodivano come un tesoro e li scambiavano solo tra di loro» ricorda la produttrice Anna Ciccozzi.
Anna racconta che ancora oggi il legame con il bulbo è molto forte. I coltivatori continuano a irrorare la cipolla solo con l’acqua dei due laghi locali San Raniero e San Giovanni «perché è più pulita», e nessuno permette ad altre varietà di cipolla coltivate in zona di andare in fioritura, per scongiurare il rischio di ibridazione.
Da diverso tempo, è Anna a seminare la cipolla di Bagno sui suoi terreni per poi distribuire mazzetti di bulbilli ai quattro coltivatori aderenti al Presidio e a chi ne fa richiesta.
«Con il passare degli anni, insieme ai contadini più anziani stava scomparendo anche il prodotto. Oggi è importante tramandarlo con tutto il suo bagaglio di usi e memorie, perché sia ricchezza e opportunità per le nuove generazioni», conclude la coltivatrice.
Tra gli obiettivi dei due gruppi di produttori, c’è anche quello di valorizzare i trasformati.
Per la cipolla si pensa a creme che consentano di ovviare alla deperibilità del prodotto, più veloce rispetto ai bulbi convenzionali; per la pastinaca sono già stati sperimentati i patè ottenuti dai fittoni, per ridurre al minimo lo spreco.
A L’Aquila il lancio ufficiale con degustazione guidata
«Da sempre Slow Food pone la difesa della biodiversità al centro dei suoi progetti con l’obiettivo di tutelare la straordinaria ricchezza del nostro Pianeta, ma dal 1999 l’Associazione ha dato vita a uno degli strumenti più significativi: i Presìdi Slow Food», afferma Silvia De Paulis, referente dei Presìdi Slow Food dell’Aquilano.
«Abbiamo raccolto la voce di due Comunità, quella di Bagno e quella di Capitignano, che con tenacia, amore e tanto sacrificio, hanno conservato due diverse varietà orticole strettamente legate al loro territorio e alle loro tradizioni, la cipolla di Bagno e la pastinaca di Capitignano. Li abbiamo incontrati, ascoltati e abbiamo compreso che era la strada giusta da percorrere insieme, con il sostegno concreto del Gal Gran Sasso Velino, da sempre vicino a noi per progetti di valorizzazione e tutela delle produzioni di piccola scala. Saremo al loro fianco per difendere e tutelare i loro sforzi, anche nella speranza che nuove generazioni di agricoltori siano disposte a impegnarsi con loro per un’agricoltura più pulita e sostenibile, capace di generare un giusto reddito a chi voglia intraprendere questa strada».
Il debutto dei due nuovi Presìdi è in programma venerdì 17 novembre al palazzo dell’Emiciclo dell’Aquila, nell’ambito dell’apertura di Cibaq – Cibi della tradizione aquilana, la manifestazione dedicata a celebrare e promuovere la biodiversità dei Presìdi della provincia. Nella mattinata la presentazione ufficiale, nel pomeriggio un laboratorio di degustazione a cura di Slow Food Abruzzo in collaborazione con l’Istituto Alberghiero “L. da Vinci” dell’Aquila.
Nov 6, 2023 | Enogastronomia, Territori
Quante aziende servono per fare una filiera alimentare?
Cinque sono più che sufficienti, se guardiamo al caso del grano marzellina, l’ultimo arrivato, in ordine di tempo, tra i Presìdi Slow Food.
Cinque, infatti, sono le aziende che aderiscono al progetto di salvaguardia di questa varietà: c’è chi coltiva il grano, chi lo macina e chi lo trasforma. Ma andiamo con ordine.

Tra Avellino e Benevento, sull’Appennino
La marzellina, detta anche verminia, è una varietà di grano duro storicamente coltivata sulle montagne dell’Appennino campano.
Pianta rustica, perfettamente adattata ad altitudini superiori ai 500 metri e capace di arrivare oltre ai mille, ha un apparato radicale forte e ben sviluppato, paglia bianca e corta, spiga compatta e fortemente aristata, seme lungo e acuminato.
In passato il centro principale della produzione era San Bartolomeo in Galdo, nel Beneventano, dove fino all’inizio del ‘900 gli agricoltori destinavano alla sua coltivazione circa un terzo della superficie complessiva a grano, e non solo per via delle sue qualità organolettiche: poteva infatti essere seminata tra febbraio e marzo (da cui il nome marzellina), cioè alla fine dell’inverno.
«Era, ed è tuttora, una sorta di jolly – spiega Giusi Iamarino, referente Slow Food del Presidio –. Ha sempre rappresentato un bel vantaggio nel caso in cui non si fosse potuto seminare grano nell’autunno precedente, magari per condizioni meteorologiche svantaggiose».
Dalla metà del secolo scorso, come altri grani diffusi in passato, anche la marzellina è però stata messa da parte, sostituita da varietà che garantivano rese maggiori, richiedendo al contempo maggiori input, in termini di fertilizzanti e pesticidi. In alcuni terreni, perlopiù piccoli appezzamenti destinati alla produzione di farina per il consumo familiare, la marzellina è comunque rimasta, ponendo così le basi per il suo recupero.

“Ognuno di noi è responsabile di dove vive e dei suoi prodotti”
«La marzellina è poco esigente in azoto, fosforo e potassio – aggiunge Leonardo Roberti, referente dei cinque produttori che aderiscono al Presidio per complessivi 30 ettari – e perciò ben si sposa con le tecniche di coltivazione biologiche».
Il disciplinare di produzione consente esclusivamente la concimazione organica, da eseguirsi con letame maturo proveniente da allevamenti rispettosi dell’ambiente e del benessere animale, mentre vieta l’uso di fertilizzanti chimici di sintesi.
La raccolta avviene normalmente nel mese di agosto, ma può protrarsi fino ai primi giorni di settembre. «Le rese del grano marzellina sono inferiori alle varietà moderne – ammette Roberti –. Parliamo di 2,5 tonnellate per ettaro rispetto alle classiche quattro».

Dal campo alla tavola
Allora perché seminarlo? Innanzitutto perché, in virtù della sua adattabilità e resistenza, richiede pochi interventi in campo, e poi perché si presta a diverse lavorazioni: «Tra i produttori del Presidio – aggiunge Iamarino – c’è un trasformatore.
Si tratta di un pastificio interessato a usare parte del raccolto. Non solo: in questi mesi stiamo approfondendo anche la possibilità di utilizzare il grano marzellina per la panificazione e altri prodotti da forno, ad esempio i biscotti».
Progetti che, sottolinea la referente del Presidio, nascono dalla volontà di sostenere l’economia di un’area a vocazione cerealicola, alle prese però con il progressivo abbandono dell’agricoltura: «Il nostro compito è tutelare e aiutare chi coltiva, magari anche stimolare qualche giovane. Abbiamo una varietà unica, che esiste qua e non altrove: sottolinearlo non vuole essere soltanto un vanto, ma un’esortazione a far sì che non vada persa. Essere Presidio Slow Food è uno stimolo sia dal punto di vista agricolo, sia per una più ampia riflessione: ogni territorio ha le proprie peculiarità e ognuno di noi deve esserne responsabile».
Nov 2, 2023 | Territori
A quattro anni di distanza dall’inaugurazione, rinasce il mercato altoatesino targato Slow Food: si chiama Mercato della Terra dell’Alto Adige Südtirol Agitu Ideo Gudeta ed è l’erede del Mercato della Terra di Bolzano lanciato nel 2019.
L’appuntamento per il taglio del nastro è a Merano, in piazza della Rena, sabato 4 novembre alle 10, alla presenza della presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini.
Il mercato verrà poi replicato ogni primo sabato del mese (gennaio escluso) ruotando in diverse località: oltre a Merano, toccherà anche Bolzano, presso la giardineria Schullian, e Campo Tures, al Centro Tubris, dove già da tempo ogni giovedì viene organizzato un piccolo mercato con un gruppo di contadine della valle Aurina.

Agitu Ideo Gudeta. Foto Matteo Croppo
Ricordando Agitu, la pastora e imprenditrice etiope che viveva in Trentino
«Il mercato rinasce con lo stesso spirito con cui era stato fondato, ma con l’ingresso di alcuni nuovi produttori – spiega Angelo Carrillo, fiduciario della Condotta Slow Food Alto Adige Südtirol –. Ma, soprattutto, riparte nel segno di Agitu, a cui il progetto è intitolato: nel 2019, il Mercato della Terra di Bolzano era nato grazie a lei per dare alla città e ai contadini altoatesini legati a Slow Food un luogo dove incontrarsi e conoscersi».
Per questo motivo, si è scelto di intitolarle il mercato: «In Alto Adige, Agitu Ideo Gudeta era molto conosciuta e apprezzata e, pur essendo basata a Frassilongo, in Trentino, veniva spesso da queste parti. Con lei c’erano un’amicizia e un legame che andavano al di là del mercato».
Inaugurato in concomitanza con i mercatini di Natale del 2019, l’esperienza bolzanina durò pochi mesi: prima la pandemia di Covid-19 e poi, a dicembre 2020, la morte della pastora e imprenditrice etiope causarono lo stop a quell’esperienza. «Riprendere è stato complicato, benché fin da subito ci sia stato il proposito di ricominciare il prima possibile – continua Carrillo –. Finalmente, in questi ultimi mesi, il nuovo progetto ha preso forma».

Mercato della terra. Foto: Matteo Croppo
Produttori altoatesini e una cuoca etiope
Agitu, che in Etiopia aveva combattuto e denunciato il land grabbing, si era stabilita in Trentino dove aveva iniziato una nuova vita occupandosi di capre e di formaggi: grazie al suo lavoro – produceva formaggi naturali a latte crudo e si dedicava al recupero di una razza autoctona, la capra pezzata mòchena – era entrata in contatto con Slow Food.
«Abbiamo voluto riprendere il suo spirito, rendendo il mercato più accogliente e inclusivo» prosegue Carrillo. Per questo motivo, tra i produttori c’è Rahma Tesfa Ahmed, una cuoca di nazionalità etiope che preparerà piatti della tradizione culinaria del suo Paese, a cominciare dal teff, cereale alla base della dieta alimentare nel Corno d’Africa.
«Come Slow Food, da tempo sosteniamo le iniziative dei gruppi di volontari che lavorano in Etiopia e, allo stesso modo, cerchiamo di valorizzare la produzione del teff, per mantenerne il valore culturale senza snaturarlo e trasformarlo in business».
In totale, gli espositori coinvolti sono una quindicina: alle bancarelle sarà possibile acquistare il graukäse Presidio Slow Food, cioccolata, grappa e birra derivate dal lupino di Anterivo Presidio Slow Food, la carne della pecora Villnösser Brillenschaf Presidio Slow Food, la pera Pala (inclusa sull’Arca del Gusto Slow Food), e poi ortaggi, miele, vino, formaggi ovini, prodotti derivati dalla canapa coltivata in alta val Venosta e di artigianato. Non mancheranno particolarità, come formaggi locali a pasta filata o condimenti fermentati come shoyu e miso a base di cereali e legumi mediterranei.

Mercato della Terra. Foto Matteo Croppo
Il programma di novembre e dicembre
«La nostra zona è una terra che nutre una spiccata sensibilità verso il rispetto dell’ambiente – aggiunge Omar Signori, portavoce del mercato –. Il Mercato della Terra Alto Adige Südtirol Agitu Ideo Gudeta trova perciò un ambiente estremamente fertile per stimolare tutto il mondo agricolo verso una vera rivoluzione agroecologica».
Dopo l’inaugurazione del 4 novembre, a cui prenderanno parte come ospiti anche un produttore trentino del Presidio Slow Food della razza grigio alpina e una rappresentanza del Mercato della Terra – Terre alte degli Altipiani Cimbri, con l’avvicinarsi del Natale il mercato si sdoppia per alcuni appuntamenti speciali: dal 7 al 9 e dal 14 al 16 dicembre verrà organizzato presso lo Spazio Alma 9 a Bolzano.