«Abbiamo bisogno di capire quanto sia fondamentale la terra in ogni nostra giornata di vita sul pianeta, quanto sia determinante nella sopravvivenza di ogni essere vivente.
Dovremmo imparare a camminarci su con rispetto, a usarla con delicatezza e a respingere ogni abuso» questo è l’invito di Francesco Sottile, agronomo, docente dell’Università di Palermo e membro del Board di Slow Food.
Un invito da rispettare 365 giorni l’anno e non solo il 5 dicembre, in occasione della Giornata mondiale del suolo.
Un suolo cementificato è irreversibilmente perso
Tuttavia, nonostante l’evidenza della cronaca e gli appelli scientifici, continuiamo a mortificarlo: «I nostri suoli – puntualizza Federico Varazi, vicepresidente di Slow Food Italia – sono messi a dura prova da un consumo spregiudicato legato a nuovi insediamenti e infrastrutture e alla desertificazione.
Secondo i dati del Rapporto Ispra 2023, la cementificazione continua ad accelerare, arrivando alla velocità di 2,4 metri quadrati al secondo e avanzando di 77 km2, oltre il 10% in più rispetto al 2021.
Il territorio nazionale si sta trasformando, le città diventano sempre più calde e invivibili, aumenta l’esposizione al rischio idrogeologico.
Nell’ultimo anno, nelle aree a pericolosità idraulica media, sono oltre 900 gli ettari di territorio nazionale reso impermeabile.
Diminuisce anche la disponibilità di aree agricole, con oltre 4.500 ettari persi nell’ultimo anno, il 63% del consumo di suolo nazionale che producevano 4 milioni di quintali di cibo e fissavano 2 milioni di tonnellate di carbonio. I costi nascosti dovuti alla perdita dei servizi ecosistemici, sempre secondo il rapporto, ammontano a 9 miliardi di euro ogni anno». Un suolo cementificato è irreversibilmente perso, muore la biodiversità in esso contenuta che non ha pari sul pianeta.
Il doppio volto della desertificazione
Un altro dato preoccupante è la desertificazione che si manifesta in due modi.
Il primo dovuto alla siccità crescente con la crisi climatica che sta investendo ampie zone del pianeta colpendo spesso comunità, come quelle africane, che hanno contribuito storicamente meno a causarla.
A questo si aggiunga la desertificazione da agricoltura industriale:
«È un problema sempre più complesso – aggiunge il professore Sottile – e radicato su basi agronomiche, sociali, forse più genericamente antropologiche. Basti pensare a un appezzamento di terra in cui si applica una lavorazione agroindustriale. Si coltiva una specie in modo esclusivo, eliminando la biodiversità naturale con scelte di monocoltura, e il suo perdurare negli anni richiede necessariamente l’uso di chimica di sintesi per il suolo. Richiede una meccanizzazione sempre più spinta. Senza tralasciare che, spesso, dà spazio a una forma di inquinamento legalizzata come lo sversamento dei fanghi da depurazione».
Un problema che rischia di compromettere la potenzialità di molti suoli, anche in Italia. Il 70% di tutti i suoli europei è in uno stato di cattiva salute a causa delle attuali pratiche di gestione, dell’inquinamento, dell’urbanizzazione e degli effetti del cambiamento climatico.
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