28 Maggio 2023

Torchiato di Fregona, un patrimonio che non è andato perduto grazie a 7 piccoli produttori

Si è parlato di territorio, di produzioni vinicole, di tutela del paesaggio, dell’arte del saper fare ereditata come tradizione. Ma anche di turismo, e di quanto una Denominazione ben gestita possa diventare un importante driver economico per il territorio.


La salvezza a pochi passi dall’estinzione

Sette piccoli vignaioli 10 anni fa, associandosi in forma di cooperativa, hanno salvato il Torchiato dal rischio di estinzione unendo le proprie forze per presentarsi sotto un’unica etichetta: “Piera Dolza Torchiato di Fregona”.
Così facendo stanno tentando di superare le criticità dell’essere troppo piccoli per affrontare le esigenze del mercato.
Piera Dolza in dialetto veneto significa pietra dolce, perché facile da lavorare. Veniva estratta dalle vicine Grotte del Caglieron e impiegata nei secoli scorsi per gli stipiti delle porte di case e palazzi della vicina Vittorio Veneto e di Venezia.
Con questa pietra si era anche modellato il basamento atto a sostenere lo storico torchio posizionato nella piazza del paese dove tutti potevano recarsi per la torchiatura delle uve, cerimonia che a memoria d’uomo cadeva nella settimana di Pasqua, come avviene ancora oggi. 


Una rigorosissima selezione per il Piera Dolza 10 anni

Piera Dolza 10 anni è un risultato importante, un piccolo miracolo reso possibile solo dall’impegno coeso dei nostri vignaioli – spiega Alessandro Salatin, presidente della piccola cooperativa -.  Duemilacinquecento bottiglie da 375 ml frutto della vendemmia 2013 che non è detto riusciremo a produrre ogni anno. Ancora non abbiamo stabilito a quale prezzo verrà posta in vendita questa riserva speciale di 10 anni perché è difficile trasmettere il grande valore contenuto in ogni bottiglia”.
Il Torchiato di Fregona segue rigidissime regole di produzione.
Le rese massime consentite in vigna arrivano a 100 q per ettaro ma non tutto ciò che viene vendemmiato va bene per l’appassimento.
Solo le uve migliori superano la severissima selezione. Talvolta ne resta solo il 30% o addirittura il 20%. Di questo, dopo 2 o 3 cicli di torchiatura, ne rimane appena il 20% pronto per il lungo affinamento. Ed è l’unico vino il cui disciplinare impone venga realizzato con l’impiego di tre vitigni autoctoni: il principale è il Glera, lo stesso vitigno base del Prosecco, poi la Boschera e il Verdiso in percentuali ben definite.
“In aggiunta – osserva Salatin – come cooperativa ci siamo autoimposti regole ancora più stringenti relative alla sostenibilità ambientale. Questo vino quindi è veramente prezioso”. 


Breve storia di un mito

Tra storia e leggenda, il Torchiato di Fregona nasce in un non meglio precisato anno del 1600 quando,
a primavera, un contadino recupera i grappoli di un’annata sfavorevole dimenticati in un granaio. Gli
acini, avvizziti ma sanissimi, lo tentano. Decide di provarne la vinificazione torchiando con vigore le
uve e ottenendo alla fine del processo un vino bianco passito intenso, ricco di aromi e dolce al palato.
La piacevole scoperta spinge nel tempo altri contadini della zona a fare altrettanto. Nei piccoli poderi
diffusi in zona, coltivati principalmente da mezzadri a servizio dei latifondisti, ogni anno si cominciò a
nascondere parte dell’uva nei granai per destinarla alla produzione di questo irresistibile nettare.
Presto se ne scoprono anche insospettate qualità tanto da essere impiegato come ricostituente, come
rimedio per la tosse e altre malattie da raffreddamento, come tonico per donne incinte e perfino per i
bambini ai quali ne veniva riservato un cucchiaino nelle occasioni speciali.
Il successo di questo vino crebbe rapidamente fino a diventare un vino iconico, rappresentativo dello
stesso paese di Fregona, orgoglioso di avergli dato i natali.


La torchiatura in piazza nella settimana santa

Dopo aver trascorso tutto l’inverno prestando a turno scrupolose cure alle uve, le famiglie si davano
appuntamento per la pigiatura a primavera nella piccola piazza del paese dove era stato allestito un
torchio per uso comune, innalzato su una lastra di pietra. Qui ciascuno provvedeva a torchiare i propri
grappoli. Una festa paesana storicamente celebrata la settimana santa, prima di Pasqua, che vive
ancora oggi all’insegna di valori universali come la condivisione, la socialità e la convivialità. Una
tradizione ancorata fortemente negli abitanti del luogo, ora capace di attirare turisti da ogni dove per
celebrare un vino prezioso riservato alle occasioni speciali come l’arrivo di un ospite importante, una
nascita, un matrimonio.


I 7 eroi della rinascita

Nel tempo le piccole aziende che producevano modestissime quantità di vino destinate al consumo
familiare, prendono nuova forma in un consorzio e condividono un’immagine coordinata per proporsi
sul mercato come Torchiato di Fregona. Le iniziali tredici aziende che danno origine alla DOC,
successivamente si trasformano in cooperativa fino a configurarsi nell’Associazione degli attuali 7
produttori della DOCG nata per decreto nel 2011.
Il grande balzo avviene nel 2012 con l’inaugurazione del Centro di Appassimento, struttura congeniale
per ubicazione e per capacità produttiva, capace di soddisfare le esigenze dei sette produttori e di
garantire un prodotto con unica etichetta.
Grazie anche all’aiuto della Regione Veneto, della Provincia di Treviso e del Comune di Fregona, che
hanno investito nella salvaguardia di questo prodotto straordinario, i sette vignaioli si sono associati in
forma di cooperativa e, unendo le proprie forze, sono riusciti a produrre una maggior quantità di Piera
Dolza, in un ambiente più controllato e regolamentato.
Una produzione media di circa 15.000 bottiglie l’anno, 20 mila nelle annate migliori. Nonostante oggi
esistano le condizioni per aumentare questi numeri, i sette vignaioli assicurano che il Torchiato non
diventerà mai industriale e manterrà sempre i criteri di qualità garantiti da una lunga tradizione e
dalla cura manuale.


L’unico passito italiano fatto con tre autoctoni

La produzione del Torchiato di Fregona Piera Dolza segue una procedura antichissima.
Nel severissimo Disciplinare di Produzione, l’insieme di norme alle quali i produttori devono
obbligatoriamente attenersi, non sono previsti interventi chimici esterni, tutto avviene
sfruttando le stagioni, il particolare microclima della zona di Fregona e l’esperienza del
produttore.
Questo vino, è l’unico passito italiano realizzato con tre vitigni autoctoni: il disciplinare

impone debba contenere un minimo di: 30% di Glera (lo stesso vitigno base del Prosecco) 25% di
Boschera e 20% di Verdiso; varietà che ciascun produttore deve provvedere a coltivare da sé
all’interno del suo podere nelle quantità necessarie.
Dopo la vendemmia vengono conferite solo le uve migliori, selezionate rigorosamente a mano, e
riposte in cassettine di circa cinque chili. Una volta portate ad appassire riposano in fruttaia per circa
sei mesi. La Boschera, per le sue caratteristiche, viene adagiata nei graticci, mentre le altre stanno
nelle cassettine (invertite almeno una volta portando quelle più in alto in basso e viceversa). È solo
durante i primi 10-15 giorni che vengono azionate delle ventole per aiutare il processo di asciugatura
dell’umidità contenuta nell’uva. Poi essa viene lasciata riposare a temperatura e areazione controllata
fino al livello ottimale di appassimento, sfruttando le peculiarità del microclima come si fa da secoli.
Dopo circa sei mesi avviene la diraspatura che anticipa di poco la torchiatura delle uve. Per estrarre il
massimo degli aromi gli acini vengono sottoposti al torchio almeno un paio di volte, più spesso una
terza.
La resa massima dei vigneti dedicati alla produzione del Torchiato è di 100 quintali/ettaro ma alla
fine del processo, se tutto va bene resta un 20% della produzione.
Il mosto fermenta un mese, un mese e mezzo, a temperatura controllata, poi viene messo a maturare
per il 50% in acciaio e la restante metà in barrique esauste da vini bianchi.
Il disciplinare prevede un affinamento di un anno e mezzo, ma il vino viene lasciato solitamente
riposare due o tre anni invertendo le due masse, trasferendo il vino dalle barrique all’acciaio e
dall’acciaio alle barrique.
Infine viene assemblato e imbottigliato, per affinare ulteriormente in bottiglia, almeno cinque / sei
mesi prima di essere immesso nel mercato.
Per garantirgli l’altissimo standard qualitativo che lo connota, stante una vendemmia non all’altezza,
nel 2014 i sette soci hanno deciso di non vinificare il Torchiato.


Un terroir carsico

Il territorio in cui è prodotto il Piera Dolza è caratterizzato dal microclima del Bosco del Cansiglio,
una gola senza barriere, né naturali né artificiali, che presenta una media di due/tre gradi in meno
della vicina Vittorio Veneto. La conformazione carsica dell’Altipiano del Cansiglio risulta ideale per i
vigneti poiché la ventilazione presente anche nelle giornate estive più calde, favorisce la produzione di
uve sane.
Il sottosuolo è prevalentemente composto da limo e argilla con vigneti caratterizzati dalle piccole
dimensioni, a volte anche di soli venti o trenta filari.
La sostenibilità ambientale. In aggiunta alle severissime regole dettate dal disciplinare, la
cooperativa si è autoimposta un regolamento ancora più stringente. Esso vieta ogni tipo di diserbante,
favorisce lo sfalcio a interfilari, e prevede che il lavoro avvenga principalmente in forma manuale, sia
in vigna che in cantina.
Tutta la filiera viene gestita internamente, anche negli aspetti commerciali e di promozione e
marketing sia tradizionali che digitali, i quali non vengono finalizzati alla mera vendita, quanto a
meglio far conoscere questa realtà, unica nel suo genere.
Il nome Piera Dolza richiama la storia del paese nella cui piazza è ancora presente l’antico torchio
poggiato su una pietra estratta dalle vicine Grotte del Caglieron. Una pietra arenaria facile da
lavorare con la quale si realizzavano gli stipiti delle porte dei palazzi signorili della zona, ma anche
delle sontuose dimore di Venezia. Un legame con il territorio e con la tradizione che è stato ripreso nel
nome e nel logo dove appare appunto il torchio sulla pietra.
Oltre al Piera Dolza, la cooperativa dal 2015 produce la Boschera in purezza un vino che nonostante
la sorprendente acidità -tanto da meritarsi la definizione di ‘brivido verde’- possiede grande equilibrio
e indiscussa eleganza. Con le vinacce derivate dalla lavorazione del Torchiato viene prodotta, da una
vicina distilleria, anche una grappa.
Nel piccolo spaccio allestito all’interno del Centro Appassimento, trovano spazio anche alcune
preparazioni dolciarie come il “Torchiatone” una focaccia dolce, naturalmente al Torchiato; e il
formaggio “imbriago” una specialità casearia prodotta dalla vicina latteria Agricansiglio, affinata –
neanche a dirlo- sulle vinacce del Torchiato.

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