A Roccamontepiano (Chieti) un Presidio Slow Food per salvare la tradizionale cotta del mosto d’uva

A Roccamontepiano (Chieti) un Presidio Slow Food per salvare la tradizionale cotta del mosto d’uva

A Roccamontepiano, millecinquecento anime in provincia di Chieti, il vino cotto è una faccenda seria.
Al punto che la tradizione vuole che, quando nasce un figlio, si prepari e si metta in cantina una botte di vino cotto da conservare nel tempo, magari da aprire il giorno in cui quel ragazzo o quella ragazza si sposerà.
Ben più di una bevanda, il vino cotto rappresenta un motivo di orgoglio per ogni famiglia che lo produce.
«C’è persino un po’ di sano campanilismo familiare, nel senso che ciascuno conserva una propria ricetta che tramanda di generazione in generazione» spiega Adamo Carulli, presidente dell’associazione Produttori vino cotto d’Abruzzo e referente dei produttori del nuovo Presidio Slow Food della cotta di Roccamontepiano. «E quando si ha un ospite importante a casa è consuetudine aprire una bottiglia molto antica. Io stesso, qualche anno fa, ne ho assaggiato uno del 1924»

foto Marco Del Comune

Un Presidio a tutela del metodo di produzione

Il vino cotto non è prodotto esclusivamente a Roccamontepiano: è diffuso in diverse parti dell’Abruzzo, nelle Marche e in altre aree dell’Italia centrale, e si ottiene dalla cottura del mosto di vino.
Ma il processo produttivo della cotta di Roccamontepiano avviene grazie a una tecnica particolare e soprattutto è un processo partecipato che si svolge in un centro messo a disposizione della comunità grazie a un finanziamento del locale Gal Majella Verde.
Ed è stata proprio la dimensione collettiva della produzione della cotta ad aver catturato l’attenzione di Slow Food, che l’ha valorizzata istituendo un Presidio Slow Food su questa tecnica di produzione locale.
Il progetto prevede che il mosto tipicamente di uve di Montepulciano d’Abruzzo sia cotto per più di sette ore, fino a ridurne la massa di circa due terzi, più di quanto si fa in altre zone d’Italia per preparare bevande simili.
A quel punto si procede con la rabboccatura, cioè con l’aggiunta di mosto fresco in proporzioni uguali alla massa ridotta dal calore.
«Ipotizziamo una disponibilità iniziale di  cento litri di mosto: se alla fine della cottura ne rimangono trenta, se ne aggiungono altri settanta di fresco – prosegue Carulli –. Poi si lascia fermentare in maniera naturale e, dopo che è trascorso almeno un anno, la cotta è pronta. Più si lascia invecchiare, meglio è».
La maggior parte del mosto cotto ottenuto con il processo produttivo valorizzato dal Presidio è utilizzato per farne vino cotto, ma può anche essere ingrediente di dolci tradizionali.

Marco Del Comune

Una società cooperativa per proteggere il gioiello

I produttori che aderiscono al Presidio sono riuniti nella Società cooperativa Vino cotto, nata una quindicina di anni fa, dove i conferitori portano le uve provenienti dai vigneti della zona e dove ha sede il centro di cottura consortile.
Qui ciascuno cuoce il mosto e produce il proprio vino cotto, che poi può portare a casa per l’autoconsumo oppure etichettare e mettere in commercio come cooperativa. I quantitativi sono limitati: mille, millecinquecento bottiglie, all’incirca dieci quintali di vino cotto all’anno.
«Ma senza il centro di cottura il prodotto sarebbe gravemente a rischio di scomparsa – sostiene la referente Slow Food del Presidio, Enca Polidoro –. La produzione domestica del vino cotto non è più praticabile come un tempo: le condizioni abitative e le abitudini di vita sono cambiate e nelle cucine moderne mancano gli spazi e le attrezzature che un tempo rendevano possibile questa antica lavorazione. Il centro di cottura invece tiene viva la tradizione, così come contribuisce a farlo la festa del vino cotto che quest’anno si celebra l’8 e il 9 novembre». 

Marco Del Comune

Lo sguardo rivolto al futuro

Un tempo il mosto si cuoceva in un grande paiolo di rame, lu callare, all’interno del quale si collocavano anche un pezzo di ferro, come anodo per attrarre il rame, e un piatto rotto, per regolare l’ebollizione tramite la porosità della terracotta.
Oggi nel centro di cottura di Roccamontepiano si usano calderoni di acciaio con sistemi che consentono di controllare la
temperatura e far sì che il mosto non bruci: ma un vecchio paiolo in rame è ancora presente a ricordo di come si lavorava un tempo.
La cotta di Roccamontepiano non rappresenta però soltanto la testimonianza di un passato che sarebbe un peccato perdere, né soltanto un momento di convivialità: secondo Polidoro, la nascita del Presidio Slow Food può rappresentare «la spinta che serve a questo territorio per rilanciarsi, uno strumento di promozione e divulgazione, oltre che un modo per coinvolgere le generazioni più giovani.
Le sensazioni sono buone: ho visto molto entusiasmo da parte dei soci e dei conferitori della cooperativa e la volontà della gente del posto di portare avanti questo progetto è forte».

Il Perù conquista la scena globale: eccellenza gastronomica e riconoscimenti internazionali

Il Perù conquista la scena globale: eccellenza gastronomica e riconoscimenti internazionali

Il mese di ottobre 2025 ha segnato un momento di grande prestigio per il Perù, protagonista di due importanti riconoscimenti che ne consolidano il ruolo di riferimento mondiale nel settore gastronomico e turistico.

Trekking a Choquequirao Cusco. Foto Juan Vallejo

La conquista del world culinary awards 2025

A coronare un mese di successi, il Perù è stato insignito del titolo di Best Culinary Destination in Latin America 2025 ai prestigiosi World Culinary Awards, confermando la sua posizione di riferimento nel panorama gastronomico regionale.
Questo riconoscimento celebra l’eccezionale varietà e qualità della cucina peruviana, frutto di una fusione unica tra tradizioni millenarie, influenze internazionali e innovazione contemporanea.
Lima, capitale vibrante e cosmopolita, ha ricevuto il premio come Best Culinary City Destination in Latin America 2025, rafforzando il suo ruolo di epicentro gastronomico del continente.
Con una scena culinaria dinamica e in continua evoluzione, Lima offre esperienze gastronomiche che spaziano dai mercati tradizionali ai ristoranti d’avanguardia, attirando food lovers da tutto il mondo e consolidando il prestigio internazionale della città.

Preparazione de la causa, uno dei piatti tipici del Perù. Foto Adrián Portugal

Vittoria anche nel the best chef awards

Alla nona edizione dei The Best Chef Awards, tenutasi a Milano, il Perù ha confermato la propria leadership culinaria con la presenza di nove chef tra i 783 partecipanti provenienti da 69 Paesi. Quattro chef hanno ricevuto il massimo riconoscimento dei tre coltelli, assegnato a chi raggiunge almeno l’80% del punteggio massimo: Juan Luis Martínez (Mérito), Mitsuharu Tsumura (Maido), Pía León (Kjolle) e Virgilio Martínez (Central). Nella categoria dei due coltelli, sono stati premiati Jaime Pesaque (Mayta), Luis Valderrama Silva e Virgilio Martínez per il ristorante Mil, situato a Moray, Cusco. Infine, con un coltello, sono stati premiati Anthony Vásquez (La Mar) e Rafael Osterling (Rafael), completando una rappresentanza di altissimo livello.
La gastronomia peruviana si conferma tra le più apprezzate al mondo, grazie alla sua capacità di coniugare tradizione, innovazione e una profonda identità culturale. Ogni piatto racconta una storia di territorio, memoria e creatività, rendendo il Perù una destinazione imperdibile per gli appassionati di cucina.

Malecón de Miraflores, Lima, Foto Shakedown team

Per Lonely Planet  il Perù è the best in travel 2026

A rafforzare ulteriormente il posizionamento internazionale del Paese, arriva il riconoscimento della guida Lonely Planet – Best in Travel 2026, che inserisce il Perù tra le destinazioni top da visitare nel prossimo anno. La guida evidenzia il patrimonio culturale, la varietà paesaggistica e l’eccellenza gastronomica come elementi distintivi dell’offerta turistica peruviana.
Tra siti archeologici sorprendenti e città moderne, tradizioni profonde e avanguardie gastronomiche – il Perù corre verso il futuro ritagliandosi lo spazio per onorare un passato illustre.
Dalle città dinamiche come 
Lima e Arequipa, il Perù offre un perfetto equilibrio tra autenticità e modernità. Sempre più visitatori scelgono attrazioni turistiche meno battute come Choquequirao o tratti del Qhapaq Ñan, il sistema stradale andino in pietra che univa Cusco all’immenso impero. I nuovi sviluppi infrastrutturali, tra cui l’apertura di aeroporti a Lima e Áncash, contribuiranno a rendere il Paese ancora più accessibile e attrattivo.
Con esperienze immersive tra le Ande e l’Amazzonia peruviana, incontri con comunità locali e una cucina celebrata a livello globale, il Perù si conferma una destinazione strategica per il turismo culturale, naturale, di avventura e gastronomico, capace di offrire esperienze autentiche, sostenibili e memorabili.

Alta Badia e Stelvio DOP: i formaggi che raccontano l’Alto Adige

Alta Badia e Stelvio DOP: i formaggi che raccontano l’Alto Adige

Ci sono formaggi che si limitano a piacere e altri che raccontano una terra.
In Alto Adige, tra le Dolomiti ladine e le valli verdi del Passirio, la cultura del latte è una lingua antica, parlata ogni giorno nei masi, nelle malghe e nelle latterie sociali.
Qui, dove le mucche pascolano libere a oltre 1.500 metri e l’aria profuma di fieno e resina, nascono due autentiche eccellenze alpine: il Formaggio Alta Badia e lo Stelvio DOP (Stilfser).
Due anime diverse dello stesso territorio: una gentile, armoniosa, l’altra intensa e speziata.
L’Alta badia si conferma quindi destinazione d’eccellenza inverno e in estate ma anche per il gusto, non a caso porta il suo nome anche il formaggio.

Alta Badia, il gusto gentile delle Dolomiti

Prodotto nel cuore della Val Badia, l’Alta Badia nasce da latte vaccino intero pastorizzato, lavorato entro 24 ore dalla mungitura.
Le forme, di circa 8-10 kg, vengono stagionate dai tre ai sei mesi in cantine fresche dove i casari le girano ogni giorno, con una cura quasi rituale.
La pasta è semidura, color paglierino, e sprigiona profumi di latte cotto e burro di montagna. In bocca è equilibrato, morbido, con delicate note di nocciola.
È il formaggio ideale per chi ama sapori autentici ma non invadenti: perfetto con pane di segale, miele di rododendro e un calice di Müller-Thurgau dell’Alto Adige.
Per chi usa immergersi nelle tradizioni autentiche ricordiamp che durante l’estate, nelle malghe della Val Badia, si può gustare la “Merenda ladina”: speck, pane nero e Alta Badia appena affettato, accompagnato da un bicchiere di vino o di succo di mela artigianale.

Stelvio DOP, la forza della montagna

Più intenso, più complesso e più deciso: lo Stelvio DOP (in tedesco Stilfser) è l’unico formaggio dell’Alto Adige a Denominazione d’Origine Protetta, riconosciuto nel 2007.
La sua storia nasce nei monasteri benedettini dell’Alta Venosta, dove già nel Medioevo i monaci affinavano forme lavate in salamoia per aumentarne la conservazione.
Il latte — solo altoatesino, da stalle certificate — viene lavorato intero, cagliato e poi stagionato per almeno 60 giorni.
Durante la maturazione, le forme vengono regolarmente spazzolate e lavate con salamoia, un gesto che regala loro la tipica crosta arancio-ocra e l’aroma intenso che lo distingue.
Il gusto è deciso, con sfumature di erbe di montagna e un finale leggermente piccante.
È il formaggio ideale per i palati forti, da abbinare a un Lagrein o a una birra ambrata di montagna.
Il disciplinare DOP impone che ogni fase — mungitura, trasformazione, stagionatura — avvenga interamente in provincia di Bolzano.
Oggi è prodotto principalmente dalla Latteria di Vipiteno (Sterzing) e da alcune cooperative venostane.

Mila

La ricetta: canederli ripieni di zucca e formaggio Stelvio Dop

Tempo di preparazione: 35 minuti
Difficoltà: media
Ingredienti per 4 persone.

Per l’impasto
100 g farina di frumento
100 g semola rimacinata di grano duro
2 uova
1 cucchiaino olio d’oliva
sale
1 cucchiaio porcini secchi, macinati

inoltre
200 ml panna
150 g formaggio “Alta Badia”
sale
pepe
granella di nocciole tostate
prezzemolo

Preparazione:
Unire alla farina la semola rimacinata, i porcini secchi macinati e mescolare. Aggiungere 2 uova e impastare bene. Lasciare riposare per 20 minuti nella pellicola. Stendere la pasta e ricavarne delle tagliatelle. Grattugiare il formaggio “Alta Badia”, inserirlo in un pentolino antiaderente insieme alla panna, il pepe e una noce di burro. Scaldare sul fuoco dolcemente fino a quando sarà il formaggio sarà completamente sciolto.
Cuocere le tagliatelle in abbondante acqua salata per alcuni minuti. Scolarle e servirle nel piatto su un letto di fonduta. Spolverare infine le tagliatelle con della granella di nocciole e del prezzemolo tritato.


Viaggio tra malghe e sapori

Scoprire questi formaggi significa attraversare un paesaggio che è anche cultura.
Le malghe sono piccole cattedrali del gusto: in estate si aprono ai viaggiatori per mostrare la mungitura, la lavorazione del latte e la lenta stagionatura delle forme.
A Campo Tures, ogni settembre, il Südtirol Cheese Festival celebra i formaggi d’alta quota, mentre a Stelvio, a luglio, la Festa del Formaggio Stilfser porta in piazza produttori e visitatori con degustazioni, laboratori e musica tirolese.
Chi ama i percorsi slow può seguire la Via dei Formaggi dell’Alto Adige, un itinerario che collega le valli Venosta, Isarco e Pusteria, tra pascoli, masi e caseifici visitabili.

 

Viaggio nell’appennino emiliano. L’ Alta Valtaro e Valceno sono le valli delle donne

Viaggio nell’appennino emiliano. L’ Alta Valtaro e Valceno sono le valli delle donne

Storie di imprenditrici motore di innovazione e ripopolamento dell’Appennino Emiliano in provincia di Parma.
Da Milano, Varese, Genova, hanno lasciato la città per creare nuove vite
tra natura, agricoltura biologica e ospitalità sostenibile.
Laura è scappata dal centro di Milano per dedicare la sua nuova vita alla cucina e all’agricoltura biologica in Alta Valtaro e Valceno, a Borgotaro, centro dell’Appennino Tosco-Ligure-Emiliano. Simona ha creato un angolo di Mongolia in una zona remota dell’Oasi WWF dei Ghirardi.
Chiara, da Varese, si è innamorata di un casolare di campagna e ha deciso di trasferirsi e ideare una nuova attività.
Clara, architetto, cercava una dimensione più sostenibile e più a contatto con la natura. Sono alcune delle 
donne che stanno ripopolando e trasformando l’Appennino Parmense – nel territorio di Visit Emilia, che comprende le province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia, www.visitemilia.com -, imprenditrici agricole e dell’ospitalità turistica che dimostrano una straordinaria capacità di innovare, diversificando le loro attività in una zona spesso soggetta a spopolamento.
Hanno scelto questo piccolo paradiso naturale per cambiare vita, lontano dal traffico e dalle corse delle grandi città, vicino ad una dimensione più vera e salutare, dove la qualità della vita si misura nella purezza dell’aria, nel silenzio dei boschi, ma anche nella creazione di nuove opportunità imprenditoriali.

Simona Terenzio – Agriturismo Ca’ Cigolara

Simona, pioniera del campeggio con tende yurta

Tende yurta, proprio come quelle che si trovano in Mongolia, decorano il grande terreno circondano dalle cime appenniniche di una frazione di Borgotaro.
Sono gli alloggi, originali, dell’Agriturismo Ca’ Cigolara, idea preziosa di Simona Terenzio, che 15 anni fa con il suo socio Diego sono stati tra i pionieri della creazione di un campeggio con tende yurta.
«Facevo la segretaria e frequentavo Albareto perché alcuni amici avevano aperto un agriturismo. Mi è piaciuta molto la zona e dopo aver aperto un piccolo b&b e con la voglia di dedicarci anche all’agricoltura abbiamo avuto l’idea delle tende yurta.
Essendo nell’Oasi WWF dei Ghirardi cercavamo qualcosa di compatibile all’ambiente e al clima, sempre molto ventilato e in inverno con neve. Abbiamo trovato un artigiano che le produceva in Mongolia».
Dopo un anno, le tende sono arrivate e Simona ha così inventato un nuovo lavoro. Oggi l’agriturismo ha 9 tende per 40 posti letto, un ristorante, orti ed ospita spesso appassionati di yoga e di discipline olistiche.
«Non tornerei mai indietro. La città dà tante cose, ma lo stile di vita e i rapporti con le persone qui sono diversi, sono più semplici», sottolinea Simona.

Laura, da grafica editoriale milanese all’agriturismo biologico in montagna

In località Cappella di San Martino a Borgotaro Laura Bevilacqua ha trovato con suo marito Fabrizio, 19 anni fa, il posto del cuore, trasformandolo nell’Agriturismo Bio Terra Antica.
A Milano Laura lavorava come grafica per l’editoria, da sempre molto appassionata di cucina e arredamento.
Da qui la scelta di lasciare la sua amata casa in città, per investire tutto in una nuova vita, immersa nel verde, dove coltivare biologico, offrire ospitalità, relax e ristorazione.
Tra boschi, faggete, cascate e sentieri di montagna, dove crescono i funghi porcini IGP di Borgotaro, Laura e Fabrizio coltivano orti di verdure, hanno un grande meleto, molte ciliegie, noci, e producono succo di mela, miele, zafferano e confetture, tutto bio.
Qui, lungo l’antica Via degli Abati, a 550 metri di altitudine, dove l’ampio panorama si apre sulla verde Alta Valtaro, accolgono gli ospiti in un ambiente rustico, molto curato, preparando ricette della tradizione con ingredienti a km zero.
Pane, focacce, biscotti e torte sono il punto forte della cucina, sempre in evoluzione. «La vita è cambiata in tutto – dice Laura – ma è stato un grande salto di qualità per me e la mia famiglia. Per ottenere buoni risultati, serve tanto impegno, fatica e costanza, ma raccoglierne i frutti e conoscere persone provenienti da tutto il mondo, è la più bella soddisfazione.
Abbiamo incrementato moltissimo il turismo della Valle. Vent’anni fa in questa terra non c’era nulla».
Oltre alle camere che hanno nomi di frutta e verdura, è stata realizzata la piscina panoramica esterna, una vera sauna finlandese, riscaldata con la legna dei nostri boschi e uno spazio dedicato a trattamenti benessere.

Chiara Palumbo – Country Chic B&B Il Pozzo e la Macina


Chiara, dal mulino dell’800 all’home-restaurant

Galeotto fu il film “Noi e la Giulia”, con la sua frase ormai celebre: “A vent’anni era il chiringuito sulla spiaggia, a quaranta, quasi sempre, è un agriturismo in Toscana”.
Da lì, per Chiara Palumbo, storica dell’arte e guida turistica tra Varese e i laghi del Nord, è nata la scintilla di un sogno: insieme a suo marito Stefano iniziò a cercare casali online, finché scoprì la Corte del Mugnaio, un vecchio mulino dell’Ottocento immerso nella campagna di Bardi, poi diventato nel 2016 il Country Chic B&B Il Pozzo e la Macina.
Un luogo che oggi racconta la sua tenacia e la sua creatività. Con le proprie mani ha creato un’azienda agricola biologica, trasformando orti rialzati, erbe e verdure in conserve e infusi genuini.
Ha dato nuova vita all’ex stalla, oggi una risto-bottega sede del suo home-restaurant, dove serve pasta fresca, torte salate e dolci, rigorosamente fatte in casa. «Oggi, tra una colazione servita sotto le volte in pietra e cene di gala allestite nella serra in vetro, accogliamo chi cerca autenticità e silenzio».
Il suo sogno, nato quasi per caso, è diventato una realtà che ha rivitalizzato l’Alta Valtaro e Valceno e l’Appennino parmense.

Simona Gambarini – Azienda Agricola Costalta

Simona e l’allevamento di bovini biologico

A Strela di Compiano, paesino di circa 100 abitanti, nel raggio di pochi chilometri, tre giovani donne stanno facendo la differenza, creando una positiva sinergia tra le loro nuove attività.
Simona Gambarini ha 31 anni, è nata e cresciuta a Santa Margherita Ligure, e 11 anni fa ha deciso di tornare a Strela di Compiano, nella casa che un tempo era dei nonni e degli zii.
Qui ha incontrato il marito Mattia, e due anni fa hanno avviato insieme un allevamento di bovini da carne di razza piemontese con metodo biologico, creando l’Azienda Agricola Costalta.
«Mio marito lavorava già in un’azienda agricola. Io ho sempre amato gli animali, i miei nonni avevano i cavalli bardigiani, le galline. Ma mi sono reinventata: ho un diploma alberghiero e prima non avevo mai lavorato a contatto con gli animali.
Volevo fare un’attività per stare all’aria aperta. E siamo contenti, nonostante le difficoltà. È migliorata la qualità della vita. Invito altre persone a trasferirsi». 

Clara Ghinassi – Verde Strela

Clara, un vivaio coraggioso tra le montagne dell’Appennino

Sempre due anni fa, Clara Ghinassi ha recuperato un terreno abbandonato per trasformarlo in Verde Strela, un vivaio in cui coltiva in modo sostenibile piante ornamentali, tra cui principalmente perenni erbacee e rose antiche e inglesi e fiori da taglio come tulipani, narcisi, dalie e tanti altri.
Architetto, 42 anni, nella sua vita precedente ha lavorato come project manager, prima in uno studio di architettura in Olanda e poi in Italia in una grande casa di moda.
Definisce il suo regno floreale un “vivaio coraggioso di montagna”, partecipa ai mercati contadini locali e a Parma e organizza laboratori, per adulti, bambini e scuole, legati al mondo delle piante e dei fiori.
«Abitavo a Parma, in città, e viaggiavo molto per lavoro. Desideravo vivere in modo per me più sostenibile, con un migliore utilizzo delle risorse e ritmi dettati dalla natura, non dal profitto» – racconta Clara -.
«Non ho alcun legame con l’Alta Valtaro e Valceno, ma volevo rimanere nei dintorni di Parma, ecco perché in Appennino. È stata una scelta radicale ed è molto dura per una donna da sola occuparsi di tutto, ma qui ho trovato tanta solidarietà: mi aiutano ad usare il trattore o la motozappa, per esempio. E poi, partecipando al mercato di Parma, porto un pezzettino di montagna in città».

Sara Tambini – Il Cielo di Strela

Sara, lo zafferano e la sinergia tra le attività della Valle

Nel 2023 Sara Tambini ha rilevato con la sua famiglia l’agriturismo Il Cielo di Strela nel quale aveva lavorato dapprima come cameriera e poi come aiuto cucina.
Originaria della zona, a 31 anni si occupa di tutta la gestione, in collaborazione con i genitori e i fratelli.
L’attività, che comprende sia la ristorazione che l’ospitalità turistica e le coltivazioni, propone cucina tradizionale emiliana, dove tutto è fatto in casa e gli ingredienti arrivano dall’orto stagionale, dove crescono patate biologiche, grano tenero, la cui farina viene impiegata nelle preparazioni in tavola, orzo e coltivazioni per mangimi.
E poi c’è lo zafferano, orgoglio per Sara, coltivato e venduto ed anche utilizzato nel ristorante. «Sono nata a Strela, la mia famiglia ha sempre avuto un’azienda agricola. Ma qui da tempo non c’erano attività produttive destinate ai consumatori. Adesso si è creato un circolo virtuoso e cerchiamo di collaborare tra noi e con le altre attività della Valle. Si sta aprendo una nuova visione».

Il progetto “Promozione turistica – Valli parmensi”, in complementarità e continuità con Appennino Emilia, è realizzato grazie ai Fondi europei della Regione Emilia-Romagna, attraverso l’Unione dei Comuni Valli Taro e Ceno.

Dall’acciuga al gioiello: 10 donne e un itinerario fra i luoghi nascosti di Genova

Dall’acciuga al gioiello: 10 donne e un itinerario fra i luoghi nascosti di Genova

Genova è città di mare e di vento, di pietre antiche e vicoli che sanno di sale e mistero.
Ogni strada racconta una storia, ma solo a chi si ferma ad ascoltare.
È in questo intreccio di passato e futuro, di scambi e incontri, che Unexpected Italy presenta “Genova al femminile”, un itinerario dedicato a dieci donne genovesi che con il loro talento, la loro creatività e la loro visione tengono viva l’anima più autentica della città.

Le tele, Luisa Mongiardino 

Un approccio innovativo al turismo

Il progetto, firmato dalla startup travel tech fondata da Elisabetta Faggiana (vicentina) e Savio Losito (barlettano), premiata anche alle Nazioni Unite e di cui ha parlato anche il The Guardian per il suo approccio etico e innovativo al turismo, invita viaggiatori e cittadini a scoprire Genova attraverso i mestieri e le storie di chi, ogni giorno, la abita con passione.
Dieci donne, dieci visioni, dieci mani che intrecciano sapori, forme, profumi e tessuti: dalle botteghe storiche alle cucine creative, dagli atelier d’arte alle dimore che accolgono, ognuna rappresenta una sfumatura della Genova di oggi – una città viva, femminile, capace di sorprendere chi la attraversa con curiosità.
Non è un caso che Genova, nei secoli, sia stata descritta come città al femminile.
Petrarca la chiamava “Signora del Mare”, Enea Silvio Piccolomini la immaginava come la nuova dimora di Venere, e nel 1519 Fadrique Enriquez de Ribera scriveva: “Le genovesi sono le più libere d’Italia, stanno sempre per la strada parlando con chi vogliono, senza preoccuparsi dell’opinione del marito”.
Quella libertà di spirito, dell’indipendenza, si ritrovano oggi nelle protagoniste di questo viaggio firmato Unexpected Italy, che restituisce alla città il suo volto più vero.
In un’epoca in cui il turismo rischia di omologare e svuotare i luoghi della loro identità, la scelta di questi luoghi e il progetto sul Manifesto dell’Ospitalità Etica nasce come antidoto alla banalizzazione: un invito a scoprire l’Italia, e in questo caso Genova, con occhi nuovi, attraverso chi la vive e la trasforma ogni giorno.

hotel Palazzo Grillo, Laura Salis

Un manifesto firmato da 500 host

Il Manifesto, oggi firmato da quasi 500 host in tutta Italia, unisce ristoratori, albergatori, artigiani e produttori che scelgono l’etica alla scorciatoia, la qualità al compromesso, la responsabilità alle mode passeggere. Sono i “Ribelli con le Radici”, custodi della vera autenticità italiana.
“Sottoscrivere il Manifesto dell’Ospitalità Etica,” spiega Elisabetta Faggiana, “è il primo passo per abbracciare un impegno condiviso e autentico. Alle parole devono seguire azioni concrete e responsabili, supportate da verifiche e raccomandazioni locali, per assicurare che ogni realtà mantenga un approccio etico e di valore.
Chi accoglie con professionalità ed etica c’è, e va valorizzato. Genova, ancora una volta, si conferma “Signora del Mare”. Ma anche signora del coraggio e della creatività, sospesa tra tradizione e innovazione, con lo sguardo fiero e libero delle sue donne.
Con questo nuovo itinerario dedicato al mondo femminile, rinnoviamo la nostra missione: raccontare un’Italia diversa, fatta di persone, storie e territori che non cedono al turismo di massa ma continuano a coltivare bellezza, rispetto e identità”.

“Il turismo non dovrebbe consumare, bensì custodire, tutelare e rispettare i luoghi e le persone” dice Savio Losito. “Le donne di Genova che abbiamo incontrato sono un esempio concreto di tutela e rispetto per il territorio. Lo fanno ogni giorno, con gesti concreti e scelte responsabili. Sono il volto più sincero di un’Italia che resiste alla scorciatoia.
Ognuna di loro porta con sé un gesto creativo che diventa atto civile: cucinare, accogliere, creare profumi, forgiare la materia. È così che Genova continua a essere una città viva, libera ed in continua evoluzione. Proprio come le sue protagoniste. Vogliamo costruire un modo nuovo di viaggiare: più lento, più consapevole, più rispettoso. Genova è una città che si nasconde e si svela solo agli occhi di chi la sa apprezzare e queste donne ci hanno aiutati a scoprire i lati più veri e “unexpected” della città e ce ne siamo innamorati”.

Musei di strada nuova, Raffaella Besta

Le storie di 10 donne di Genova

Il viaggio inizia tra i vicoli di via Prè, una delle strade più complesse della città, dove Giorgia Losi all’età di 27 anni ha voluto scommettere lasciando un lavoro sicuro a Milano per tornare nella sua amata Genova.
Senza esperienza nel settore, ma con dedizione e determinazione, trasforma un locale abbandonato in un’icona della cucina genovese: la Trattoria dell’Acciughetta.
Vulcanica e solare, Giorgia si circonda di un team affiatato, a partire dai soci Matteo e Simone, seleziona accuratamente i fornitori locali, le cantine con cui collabora, gli artisti e artigiani con cui ha arredato lo spazio.
La cucina unisce creatività e tradizione, diventando presto uno dei locali più in voga della città. Tanto che, a furia di dire no ai clienti che volevano prenotare, nasce un secondo locale, Quelli dell’Acciughetta, unendo accoglienza, sperimentazione e legame con il territorio.

Studio Bra, Emanuela Biraghi

Poco distante, in Piazza delle Vigne, Laura Sailis apre le porte dell’Hotel Palazzo Grillo e del Residence Le Nuvole, trasformando l’ospitalità in un racconto. In una città sempre più dominata da affittacamere e case vacanze, Laura porta avanti un’ospitalità sincera e professionale, all’interno di due palazzi storici e affrescati.
Ogni soggiorno, che sia a Residenza Le Nuvole o a Palazzo Grillo, che gestisce con il marito Matteo Paini, diventa esperienza: le stanze raccontano la storia di Genova.
Come presidente di Federalberghi Genova, Laura promuove la città come destinazione d’eccellenza, valorizzando il centro storico e costruendo relazioni autentiche.


La strega del castello, Caterina Roncati

Genova è una città che sa unire prodotti d’eccellenza a una forte sensibilità sociale, come dimostra Martina Francesconi con il suo Gelatina in via Garibaldi 20.
Qui il gelato diventa arte, cultura e memoria del territorio. Il laboratorio unisce gelateria artigianale, caffetteria e libreria gastronomica, con attenzione alla sostenibilità e all’inserimento di giovani diversamente abili.
Ogni gusto racconta storie e ricordi, trasformando materie prima di altissima qualità, che seguono rigorosamente le stagioni, in un atto di cura e memoria collettiva.

Dal gelato alle fragranze, a Genova si respira anche una forte corrente alchemica, incarnata dall’atelier La Strega del Castello di Caterina Roncati.
Alchimista contemporanea, Caterina crea profumi “fatti a naso” che evocano emozioni e ricordi, trasformando ogni fragranza in un racconto sensoriale. Il progetto, interamente femminile, unisce intuizione, ricerca e capacità imprenditoriale, restituendo alla figura della “strega” il suo significato originario: donna libera, sapiente e profondamente connessa alla natura.
La Strega del Castello nasce dalla storica Farmacia del Castello, il cuore di una storia tutta al femminile guidata dalle tre sorelle Giovanna, Emanuela e Caterina, che hanno trasformato l’eredità paterna in un microcosmo di creatività e ricerca sensoriale.

Martina Geroni, ceramista

Questa forte vena femminile scorre anche tra i tanti laboratori artigiani disseminati in città, tra cui Unexpected Italy ha selezionato due ceramiste contemporanee. Emanuela Biraghi, nel suo Studio Bira, trasforma la ceramica in poesia e spiritualità.
Ceramista e artista ligure d’adozione, Emanuela fonde la passione per la ceramica con la sua esperienza nella pratica delle  arti marziali orientali, creando un linguaggio poetico dove ogni opera nasce dal dialogo tra istinto e forma, equilibrio e metamorfosi. All’interno dello studio, i visitatori possono ammirare opere originali, commissionare pezzi su misura e accedere gratuitamente alla suggestiva galleria sotterranea.
Architetta e ceramista, Martina Geroni riscopre la manualità dopo esperienze in Italia e in Messico, trovando nella materia naturale il suo centro creativo.
La sua ricerca nasce dall’antica tradizione rinascimentale dell’Impagliata, quando alla puerpera si regalava un set di ceramiche impilate per il primo pasto del neonato.
Da questa ispirazione prendono vita creazioni come il Tablino e la Brocca Airone, oggetti quotidiani che si trasformano in sculture modulabili e armoniche, portando l’arte direttamente nella vita di tutti i giorni.

Acciughetta, Giorgia Losi

Anche la cultura a Genova è donna, con molte figure femminili al timone dei musei, dai Musei del Mare al Museo di Arte Orientale, fino a Via del Campo 29. Tra queste, Raffaella Besta si distingue come una delle personalità più influenti del panorama culturale genovese, unendo competenza, passione e determinazione nella valorizzazione del patrimonio artistico della città.
Dal 2019 ricopre l’incarico di Responsabile del Polo Musei di Arte Antica, coordinando le strutture dei Musei di Strada Nuova, tre straordinari palazzi dei Rolli che custodiscono capolavori di Veronese, Van Dyck, Caravaggio, Rubens e Canova, fino al prezioso Violino di Paganini.

I Canovacci, sorelle Alessandra, Paola e Federica Alberico

A pochi passi dai Musei di Strada Nuova, in via dei Macelli 60, il ristorante I Canovacci racconta un legame profondo tra famiglia, territorio e autenticità. Le sorelle Federica e Alessandra, con il supporto della sorella più grande Paola, hanno scelto di ribaltare i ruoli tradizionali: l’uomo ai fornelli, le donne ad accogliere.
Ogni piatto è un omaggio a Genova e alle sue terre, realizzato con farine selezionate, pesce fresco, carni piemontesi e materie prime di qualità che arrivano direttamente dai contadini con cui collaborano, in un ambiente rilassato e familiare. Un luogo sincero, aperto solo a pranzo, per mantenere un equilibrio armonioso tra lavoro e vita personale.
Il nome I Canovacci nasce dal negozio di tessuti che un tempo occupava lo stesso locale, gestito da un’altra donna che oggi sta lasciando la sua impronta tra le case dei genovesi: Luisa Mongiardino.
Con il suo progetto Le Tele, Luisa dà nuova vita alla tradizione tessile genovese, realizzando tovaglie, tende e poltrone che intrecciano memoria, artigianato e sostenibilità. Ogni creazione diventa un’esperienza sensoriale e poetica, capace di raccontare la Genova delle botteghe storiche e il profondo legame tra materia e territorio.
Infine in via di Scurreria si trova il laboratorio di Elisabetta Comotto che porta avanti con eleganza la storica tradizione orafa genovese di Carlo Sforza. Cresciuta tra laboratori, pietre e ceselli, Elisabetta respira fin da bambina la magia del mestiere. Le sue creazioni uniscono linee essenziali, materiali selezionati e lavorazioni antiche, trasformandosi in gioielli che dialogano tra storia e contemporaneità: piccoli capolavori che raccontano identità e memoria.

Gelateria Gelatina, Martina Francesconi

Focus: conosciamo unespected Italy

È nata a Londra, ma ha il cuore in Italia la startup Unexpected Italy, progetto travel tech fondato da Elisabetta Faggiana e Savio Losito, lei di Vicenza e lui di Barletta, recentemente premiato anche alle Nazioni Unite per il suo approccio etico e innovativo al turismo.
Oggi l’app, descritta dal The Guardian come “una bussola per viaggiatori consapevoli”, è attiva in 13 territori italiani, tra cui Venezia, Roma, Torino, Padova, Vicenza e la Valle d’Itria, e si propone come un antidoto alle trappole del turismo di massa.

L’idea alla base è semplice ma rivoluzionaria: mappare luoghi autentici, incontrare personalmente artigiani, osti, produttori e piccoli albergatori, ed entrare in contatto con quelle realtà che ancora oggi resistono all’omologazione. La loro app funziona come una “Lonely Planet 3.0”, geolocalizzata e targetizzata, in grado di suggerire itinerari costruiti su misura, con l’obiettivo di far sentire il viaggiatore parte della comunità locale, non un semplice consumatore di luoghi.
Premiata con il Roma Startup Award per l’originalità della proposta e la capacità di creare valore per il territorio, la piattaforma ha raccolto l’attenzione anche dei media internazionali: BBC e The Guardian hanno dedicato articoli approfonditi all’iniziativa, in particolare per l’analisi del territorio vicentino e torinese.
Il lavoro di mappatura, condotto in prima persona dai due founder, ha permesso di costruire una rete selettiva e dinamica di migliaia di esperienze autentiche, molte delle quali impossibili da trovare sui canali turistici convenzionali. In città come Roma e Venezia, dove secondo recenti studi oltre il 70% dei turisti finisce in trappole commerciali, Unexpected Italy propone alternative concrete: ristoranti veri, botteghe vive, quartieri ancora abitati. Unexpected Italy parte dal presupposto che il turismo, per essere sostenibile, debba tornare a essere relazione e trasformazione. Il loro “algoritmo relazionale” non si basa su tendenze, ma su passioni e affinità, con alcune destinazioni suggerite solo a chi dimostra attenzione e rispetto. “Non tutti i luoghi sono per tutti,” spiegano. “La nostra missione non è portare tutti negli stessi posti, ma far incontrare le persone giuste con i luoghi giusti.” Un’idea di viaggio che non consuma, ma cura. E che dell’Italia restituisce finalmente l’anima.

 

Nero d’Avola, il cuore rosso della viticultura siciliana

Nero d’Avola, il cuore rosso della viticultura siciliana

Con i colori caldi della vendemmia e il profumo d’autunno, il Nero d’Avola torna a riempire i calici, portando con sé il racconto autentico della Sicilia.
È un vino che parla di contrasti e armonie, come la sua terra; il Nero d’Avola unisce forza e finezza, calore e freschezza, in un equilibrio che affascina da secoli. 


Il simbolo della Sicilia enoica

“Il Nero d’Avola è il simbolo di una Sicilia che sa rinnovarsi restando fedele alle proprie radici, un vino che nasce da una terra unica e che riesce a interpretarla con passione e sincerità” afferma Camillo Pugliesi, direttore del Consorzio di Tutela Vini DOC Sicilia.
“È un vino che si adatta al tempo e al gusto, capace di unire la ricchezza del sole siciliano alla profondità della sua storia e alla forza della sua gente. Il nostro Consorzio ha un compito importante: tutelare l’identità dei vitigni autoctoni, valorizzando le varietà specifiche che fanno della Sicilia del vino un patrimonio unico, e promuoverle nei mercati nazionali e internazionali affinché diventino ambasciatori del nostro territorio nel mondo. Attraverso progetti di conservazione della biodiversità, partnership scientifiche, iniziative di comunicazione e partecipazione diretta agli eventi di settore, ci impegniamo a far conoscere non solo il vino, ma la sua storia, la sua autenticità, il legame con le terre da cui nasce.” 

Il vino passionale

Le origini del Nero d’Avola risalgono al XVII secolo, quando il vitigno, conosciuto come Calabrese nero, era già apprezzato per la qualità e l’intensità dei suoi vini.
Dal sud-est della Sicilia, più precisamente dalla zona di Pachino e Vittoria – culle della sua storia – si diffuse in tutta l’isola, trovando in ogni territorio un’espressione diversa.
I suoli calcarei del sud, le colline argillose del centro e le brezze marine della costa occidentale hanno plasmato biotipi distinti, capaci di esprimere sfumature che vanno dalla potenza alla grazia, dalla struttura alla finezza.
Nel calice, il Nero d’Avola si riconosce subito: il suo colore rosso profondo anticipa un bouquet ampio e avvolgente, dove spiccano profumi di ciliegia matura, prugna, fragola e spezie.
In bocca rivela equilibrio e densità, con tannini morbidi e una persistenza che ricorda il calore del sole e la mineralità della terra.
È un vino che sa essere passionale e al tempo stesso elegante, come la Sicilia stessa.
In autunno, quando i ritmi rallentano e i sapori si fanno più intensi, il Nero d’Avola trova la sua stagione ideale.
È un vino che invita alla convivialità, al piacere di un racconto che prosegue di generazione in generazione.
Degustare Nero d’Avola in autunno significa riscoprire la Sicilia più autentica: un’isola che vive di contrasti e di armonie, di luce e profondità. Un luogo dove il tempo scorre lento e intenso, come un sorso di vino che racconta storie di uomini, di vento e di sole.