La Catalogna in 5 tappe: dal mare alla montagna

La Catalogna in 5 tappe: dal mare alla montagna

Mar i muntanya (mare e montagna) ma anche città, fiume e vulcani: un viaggio nei paesaggi della gastronomia catalana, tra le più ricche del mondo.
Prima in Europa a ricevere il prestigioso riconoscimento grazie all’incredibile qualità, sostenibilità, tradizione e innovazione in campo gastronomico, per tutto il 2025 la Catalogna sarà Regió Mundial de la Gastronomia (Regione Mondiale della Gastronomia).
Aspettando un anno ricco di eventi, spunti e curiosità, per i gourmand provenienti da ogni angolo del globo, ecco qui apparecchiato un giro della Catalunya in cinque tappe – dal mare alla montagna, dalla città al fiume fino alla terra vulcanica – per scoprire e assaggiare alcune delle eccellenze culinarie della più “foodie” delle regioni spagnole.

I Pirenei

1 – Mare e monti fra i Pirenei

La montagna mette fame Si sa. Soprattutto se passeggiando lungo il fiume Garonna a Les, in Val d’Aran, si scopre che ci sono realtà come Caviar Nacarii, un’attività (con un elegante shop di degustazione e vendita nel centro storico di Vielha) che alleva gli storioni per ricavare un ottimo caviale da abbinare a un calice di Cava, lo spumante spagnolo per antonomasia.
Ma i Pirenei sono soprattutto carne, l’ingrediente che spunta un po’ ovunque nelle ricette tipiche della montagna, come la botifarra amb mongetes, la salsiccia abbinata ai fagioli (meglio se delle Dop Santa Pau e Mongeta del Ganxet) o il fricandó, il piatto tradizionale a base di vitello, rigorosamente della razza Igp transfrontaliera chiamata Rosée des Pyrénées Catalanes, e di funghi primaverili selvatici conosciuti localmente come moixernons.
Che dire infine del trinxat? Quando in alta quota il meteo della Catalunya comincia a raffreddarsi, questa delizia, fatta di cavolo, patate, pancetta affumicata e aglio, è un toccasana per corpo e spirito.

La Garroxta

2 – Invito a cena sul vulcano

Un patto tra la terra di La Garroxta, l’area vulcanica più grande e meglio conservata della penisola iberica, i suoi prodotti autoctoni, chi li coltiva e chi li cucina. Questo è il gruppo Cuina Volcànica, nato nel 1994 per valorizzare gli ingredienti che provengono dal fertile suolo della regione catalana.
Sono 8 i ristoratori, sparsi tra le cittadine di Olot, Sant Esteve d’en Bas e Sant Feliu de Pallerols, che hanno accettato la sfida di reinterpretare in modo creativo le ricette tradizionali a base di agnello, manzo, pomodoro di Montserrat, ricotta di capra, piumoc (salsiccia secca di maiale), patate della Vall d’en Bas, ravanelli neri, formaggio di pecora, farro, funghi selvatici, fagioli di Santa Pau e degli altri “tesori” gastronomici locali.
Se i circa coni 40 vulcanici del Parc Natural de la Zona Volcànica de la Garrotxa sono inattivi da secoli non si può certo dire lo stesso dei fornelli del Restaurant La Deu di Olot: oggi la famiglia Reixach è arrivata alla quinta generazione!

Il mercato del pesce

3 – Nel mare del gusto

Uhm, i gamberi di Palamós! Questo paese della Costa Brava è il principale porto di gamberi rossi di tutto il Mediterraneo.
Ogni giorno dalle 16.30 alle 19.30 al mercato ittico Llotja si acquistano freschi, pescati nel tratto di mare che va dal capo Begur alla foce del fiume Ridaura, dai pescatori della Confraria de Pescadors de Palamós oppure si gustano nei ristoranti locali, semplicemente a crudo o scottati due minuti alla griglia con un filo d’Oli de l’Empordà Dop.
Mare sì ma anche con un “pizzico” di montagna.
La cucina catalana, infatti, si distingue per il suo tipico mix (amato anche dagli chef stellati) “mar i muntanya”: così è per la classica paella, qui preparata sia con la carne sia con il pesce, e per alcune varianti del suquet de peix, la densa zuppa di pesce di scoglio tipica della tradizione marinara catalana che può contemplare l’aggiunta, ad esempio, di salsiccia o di lumache. Il suquet più mediterraneo?
Quello di Tossa de Mar, con cipolle e salsa allioli (aglio e olio).

Parc Natural del Delta de l’Ebre

4 – Acquolina in bocca lungo il fiume

Bastano poche parole: Dop Arròs del Delta de l’Ebre. Il riso abbonda nel Parc Natural del Delta de l’Ebre dove da sempre viene coltivato e raccolto con metodi artigianali e sostenibili, ad esempio, da Molí de Rafelet, storici arrossers fin dal 1910, per poi essere cucinato asciutto o in brodo.
L’altra protagonista indiscussa della cucina tipica della più grande zona umida della Catalunya è senz’altro l’anatra.
Dal 1996, alla Granja Luisiana si allevano i polli e le anatre del Delta dell’Ebro all’aperto e senza trattamenti antibiotici producendo una carne di primissima qualità che impreziosisce molti piatti locali.
Ancora le alici, le anguille, le cozze e le ostriche nate dall’incontro tra fiume e mare, i gamberi, le vongole, le canocchie, i cannolicchi e persino il prezioso tonno rosso: il Delta de l’Ebre dà ovunque i suoi “frutti”. E anche qualche verdura, come i cavolfiori e gli squisiti carciofi che accompagnano la famosa baldana d’arròs, il calorico sanguinaccio di riso tradizionale.

Casa Alfonso, cuore della tradizione catalana

5 – Due pasti in città

Meta gourmand, attuale sede della coppa velica più importante del mondo di richiamo internazionale con un numero record di ben 28 ristoranti stellati Michelin di cui 4 tre stelle, 3 due stelle e 21 una stella, contemporaneamente Barcellona continua a mantenere vivace la tradizione delle sue vecchie taverne.
Ci vuole fiuto per scovarle ma una volta provate non le si lascia più!
Due pasti in città? Per rivivere l’atmosfera del tipico quartiere marinaro di Barcellona, la Barceloneta, non c’è niente di meglio degli abbinamenti tapas e cava (lo spumante spagnolo) di Can Paixano, fondato nel 1969.
Se invece si è in cerca di un indirizzo famigliare per eccellenza, la quarta e la quinta generazione di Casa Alfonso, il locale che ha aperto le sue porte in zona Plaça de Catalunya nel 1934 (prima come salumeria e drogheria per la vendita di prodotti iberici e poi come ristorante), è pronto ad assecondare ogni sfizio, dalle svariate tipologie di croquetas (crocchette fritte), flautas e bocadillos (panini farciti), sopitas (zuppe), tapas e tante insalate.
Info www.canpaixano.com | www.casaalfonso.com

Non c’è due senza tre: Giovanni Manetti confermato alla guida del Consorzio Vino Chianti Classico

Non c’è due senza tre: Giovanni Manetti confermato alla guida del Consorzio Vino Chianti Classico

Nell’anno del Centenario del Consorzio vitivinicolo più antico d’Italia, Giovanni Manetti viene acclamato Presidente per la terza volta. Nel segno della continuità anche la scelta dei vice-presidenti: rieletti Francesco Colpizzi e Sergio Zingarelli.

Il tris di Giovanni Manetti

Il 9 settembre del 2021 Giovanni Manetti, classe ’63, chiantigiano Doc, era stato confermato Presidente del Consorzio Vino Chianti Classico per il secondo mandato (triennale).
Nello stesso giorno del 2024 Manetti viene nuovamente acclamato, per la terza volta, per un altro triennio, alla guida del Consorzio, in un anno molto particolare per l’ente, quello del suo Centenario.
La nomina è avvenuta ieri da parte del neo-eletto Consiglio di Amministrazione che ha deciso, all’unanimità, di affidare nuovamente al proprietario della nota azienda chiantigiana Fontodi di Panzano, il delicato compito di condurre il Consorzio, e dare così continuità ad una visione strategica, che, negli ultimi anni, ha portato la denominazione Chianti Classico a crescere in notorietà, prestigio e valore.
La passione per il mondo del vino di Giovanni Manetti, che ama ancor oggi definirsi viticoltore-artigiano, Cavaliere del Lavoro dal 2021, lo ha portato a viverne molteplici aspetti, da tecnico, da imprenditore e da partecipante attivo alla vita della denominazione, come membro del Consiglio di Amministrazione del Consorzio dal 1992, in veste di Vice Presidente dal 2012 ed infine di Presidente dal 2018.
Questa esperienza varia e matura ha accolto il pieno consenso delle differenti categorie, rappresentate nel Consiglio di Amministrazione del Consorzio (viticoltori, vinificatori, imbottigliatori), le quali hanno ribadito la loro fiducia nell’approccio strategico promosso da Manetti, basato sulla ulteriore valorizzazione della denominazione del Gallo Nero, attraverso una continua ricerca della qualità del prodotto, fatta di autenticità e territorialità, migliorandone il posizionamento e l’immagine sui mercati nazionale e internazionale.

Giovanni Manetti

Le Uga, la Gran Selezione e il traguardo Unesco

Sotto la Presidenza Manetti sono stati raggiunti importanti traguardi per la  valorizzazione della denominazione, vedi per esempio la recente introduzione delle UGA (Unità Geografiche Aggiuntive) nel disciplinare di produzione e l’aumento della quota minima di uve Sangiovese per la tipologia Gran Selezione (dall’80 al 90%), con il divieto di utilizzare, per questo vino, i vitigni internazionali.
Altri progetti sono stati avviati e/o sono in divenire, dal percorso verso il riconoscimento Unesco, al lavoro su un protocollo di sostenibilità per il futuro della denominazione: progetti frutto di quella lungimiranza che ha da sempre contraddistinto lo spirito di chi ha amministrato il Consorzio, a partire da quel lontano 1924, quando i 33 padri fondatori ebbero la geniale idea di associare un simbolo visivo al prodotto che volevano tutelare e promuovere, scegliendo il Gallo Nero come emblema del vino Chianti Classico.
“Sono stato chiamato a rinnovare la disponibilità a guidare questo prestigioso Consorzio e sono molto contento della fiducia che tutta la compagine sociale nuovamente mi accorda.” – ha commentato Giovanni Manetti – “Accetto quindi volentieri questo impegno e, con rinnovato entusiasmo, spero di poter guidare il Consorzio e le nostre aziende socie per un altro triennio.
Molte sono le sfide che ci attendono nei prossimi anni, per cui mi auguro di poter continuare con successo la strada intrapresa, contribuendo al consolidamento e alla valorizzazione ulteriore di una delle eccellenze del mondo vitivinicolo italiano e internazionale.
Vorrei infine ringraziare i consiglieri che mi hanno affiancato fino ad oggi, coloro che sono stati riconfermati ma anche i nuovi eletti che sicuramente porteranno nuova linfa vitale e nuove idee in seno al nostro CdA.
Un ringraziamento particolare lo rivolgo poi a tutti i viticoltori chiantigiani: è grazie a loro, infatti, se la nostra denominazione continua ad affermarsi e a crescere a livello mondiale. Ringrazio tutti, infine, per continuare a credere nella “casa comune”, che è il nostro Consorzio. La coesione  è infatti, come più volte ho sottolineato, uno dei punti di forza della nostra denominazione: uniti si vince.”

Sergio Zingarelli, foto Canio Romaniello

I vicepresidenti e il consiglio d’amministrazione

Il Consorzio negli ultimi anni ha sempre più acquisito consapevolezza del legame indissolubile che esiste fra un prodotto d’eccellenza e il suo territorio di produzione.
Nel programma del prossimo triennio avranno infatti un ruolo prioritario l’avanzamento dell’iter per la candidatura Unesco del Chianti Classico come paesaggio culturale; il proseguimento delle attività del Distretto Rurale del Chianti, d’intesa con i Comuni del territorio; la ricerca agronomica sul territorio, anche per poter meglio fronteggiare, nel corso del tempo, i cambiamenti climatici; la promozione del progetto Unità Geografiche Aggiuntive, come strumento di amplificazione del binomio vino-territorio; e infine lo studio e lo sviluppo di un protocollo di sostenibilità che possa aiutare a preservare il nostro patrimonio – il vino Chianti Classico e il suo territorio di produzione – per le generazioni future.
Insieme a Giovanni Manetti, alla guida del Consorzio, sono stati confermati come Vice Presidenti Francesco Colpizzi e Sergio Zingarelli.
Il Consiglio di Amministrazione, eletto il 27 giugno, è composto da Laura Bianchi (Castello di Monsanto), Luigi Giovanni Cappellini (Castello di Verrazzano), Sebastiano Capponi (Conti Capponi – Villa Calcinaia), Alessandra Casini Bindi Sergardi (Bindi Sergardi), Andrea Cecchi (Cecchi), Francesco Colpizzi (Fattoria Toscanella), Duccio Corsini (Principe Corsini – Villa Le Corti), Renzo Cotarella (Antinori), Simone François (Castello di Querceto), Angela Fronti (Istine), Giovanni Manetti (Fontodi), Tommaso Marrocchesi Marzi (Tenuta di Bibbiano), Alessandro Marzotto (Lamole di Lamole), Nicolò Mascheroni Stianti (Castello di Volpaia), Filippo Mazzei (Marchesi Mazzei), Giovanni Poggiali (Fèlsina), Enrico Pozzesi (Rodano), Francesco Ricasoli (Ricasoli), Francesco Rossi Ferrini (La Sala del Torriano), Sandro Sartor (Ruffino), Sergio Zingarelli (Rocca delle Macìe).

Le Colline del Barbaresco: le terre di Fenoglio

Le Colline del Barbaresco: le terre di Fenoglio

Tra le 6 aree appartenenti al sito Unesco dei Paesaggi Vitivinicoli del Piemonte, quella delle Colline del Barbaresco si distingue per un forte carattere, evidente nella conformazione del territorio e nella radicata cultura legata alla produzione di uno dei più grandi vini italiani  riconosciuti a livello internazionale: il Barbaresco. 

Le colline dove nasce un grande vino

“Le colline del Barbaresco”, tra le 6 aree appartenenti al sito Unesco dei Paesaggi Vitivinicoli del Piemonte, sono il luogo dove nasce il vino rosso a lungo invecchiamento denominato, appunto, Barbaresco: una produzione di altissimo livello qualitativo che rientra a pieno titolo nel palinsesto dei grandi vini italiani riconosciuti a livello internazionale.
L’area di cui parliamo comprende solo due comuni, Barbaresco e Neive, le cui colline presentano una naturale predisposizione alla coltivazione del vitigno Nebbiolo, col quale si produce il Barbaresco, originario principalmente di quest’area, la cui ridotta produzione, in termini di bottiglie, è inversamente proporzionale alla sua inimitabile qualità.
Un vino dal colore rosso granato brillante che con l’invecchiamento assume sfumature aranciate che ricordano il mattone, dal profumo ampio che, a seconda della produzione, può ricordare la viola, la rosa, la frutta o la liquirizia, ma anche il pepe verde, la noce moscata, il fieno e il legno, o la nocciola tostata e con un sapore che ricorda l’immagine stessa di questi territori: intenso, pieno, robusto, austero ma allo stesso tempo vellutato ed armonico.

L’importanza dell’uomo a plasmare la terra

Il paesaggio di queste colline, adagiate sulla destra del fiume Tanaro, è fortemente caratterizzato dalla presenza di terreni esposti in pieno sole, dove si trovano i vigneti, che si alternano a più ombrose zone lasciate a bosco dove è facile scorgere robineti, storicamente utilizzati per ricavarne sostegni per la viticoltura.
Qui tutto parla di un sapiente uso del territorio da parte dell’uomo che, nel rispetto della natura, ha saputo ricavarne prodotti preziosi ed unici e per questo possiamo affermare che il Barbaresco è depositario di un patrimonio culturale locale che si presenta originale, unico ed autentico.
Il secolare lavoro dell’uomo ha plasmato straordinariamente le dorsali collinari restituendo un paesaggio dalla tessitura regolare, disegnato da appezzamenti di piccole dimensioni, che si appoggiano sull’orografia del terreno seguendone la conformazione.
Anche la fase della vinificazione contribuisce ulteriormente a testimoniare lo storico legame del vino Barbaresco con la sua terre d’origine, dal momento che tale tecnica, messa a punto da Domizio Cavazza nel castello di Barbaresco, alla fine dell’Ottocento, è tuttora la base, continuamente affinata in termini di innovazione tecnologica, per la produzione di uno dei vini più pregiati a livello internazionale, la cui produzione si basa oggi su un rigido disciplinare, che stabilisce che il Barbaresco sia prodotto esclusivamente con uve di vitigno Nebbiolo in purezza.

Barbaresco: a spasso nel borgo

Dell’abitato di Barbaresco, desta subito attenzione la torre medievale che, posta a strapiombo sul Tanaro, è uno degli edifici più riconoscibili del territorio di Langhe-Roero e Monferrato.
Tutto il borgo è caratterizzato dal tipico impianto urbano di età medievale con una via maestra su cui si affacciano le numerose attività legate alla storica vocazione vitivinicola di questi luoghi; in particolare alcune di queste si sono sviluppate all’interno di edifici di eccezionale valore architettonico, come l’Enoteca Regionale del Barbaresco, allestita negli spazi della chiesa barocca dedicata a San Donato (1833) poi ceduta negli anni Settanta del Novecento al Comune.
Questo luogo rappresenta una preziosa testimonianza della tradizione culturale vinicola di Barbaresco, il settecentesco edificio nobiliare voluto dai conti Galleani, in passato dotato di bellissimi giardini e di ampi saloni, conserva le originarie cantine sotterranee di grande valore pur essendo oggi proprietà di una tra le famiglie di viticoltori più conosciuti al mondo.
Nel 1894 il castello veniva scelto dal Professor Domizio Cavazza” – il padre del vino Barbaresco” e direttore della Reale Scuola Enologica di Alba, seconda in Italia – quale sede della prima Cantina Sociale di Barbaresco, chiusa in epoca fascista, poi riaperta nel 1958 con la denominazione Cantina Produttori del Barbaresco, ancora oggi punto di riferimento per 56 viticoltori locali. Anche Don Fiorino Marengo fu una figura chiave per i produttori locali. Arrivato a Barbaresco nell’immediato dopoguerra, comprese fin da subito il grande potenziale dell’esperienza associativa di Domizio Cavazza. Decise dunque di ripeterla al fine di promuovere l’emancipazione dei contadini dalla povertà estrema e da un individualismo ben radicato.
Nel 1958 riunisce quindi 19 agricoltori e fonda la Produttori del Barbaresco “per la qualifica e garanzia del Barbaresco”. La prima vendemmia venne vinificata nel cortile della casa del parroco e le vendite registrarono un ottimo margine rispetto a quanto si sarebbe guadagnato vendendo l’uva come si era fatto fino a quel momento.
Risale invece al 1999 la grande meridiana, collocata nella piazza centrale del paese, creata per celebrare la coltivazione della vite e della produzione vinicola attraverso dodici illustrazioni tratte dal “Ruralia Commoda” di Pietro de’ Crescenzi, un antico trattato di agricoltura.
Per dare massima diffusione alla cultura del vino, il borgo ospita molteplici manifestazioni nell’arco dell’anno; tra queste si ricordano in particolare “Il Barbaresco a tavola”  per presentare la nuova annata del rinomato vino, e la kermesse “Piacere Barbaresco” che si svolge nelle strade del paese con degustazioni,  convegni e incontri destinati agli addetti ai lavori.


Neive: dov’è nata la ricetta dell’enologia piemontese

Neive è stata riconosciuta nel 2001 tra “I borghi più belli d’Italia”. Per la sua posizione strategica lungo la via Aemilia Scauri, l’insediamento ricopriva un ruolo strategico già in età romana.
Oggi Neive è ancora un borgo arroccato alla sommità di un colle, le cui tortuose stradine acciottolate salgono secondo anelli concentrici fino alla sommità dell’altura denominata Pian del Castello dove un tempo sorgeva il castrum medievale oggi purtroppo scomparso.
Si conservano, invece, le numerose testimonianze dell’antico ricetto (receptum), tra cui emerge la duecentesca cassaforte dei Conti Cotti di Ceres.
Nelle sale di questo imponente edificio, Francesco Cotti scrisse alla fine del XVII secolo un importante trattato sulla viticoltura piemontese. Nelle immediate adiacenze si innalza la Torre dell’Orologio risalente al XIII secolo. Alla mole severa della torre medievale si contrappongono invece le linee sinuose del vicino insieme architettonico barocco – composto da cupola e campanile – dell’Arciconfraternita di San Michele, un piccolo capolavoro di metà Settecento progettato dall’architetto Antonio Borgese.

Poco più a valle, Piazza Italia rappresenta il cuore del paese su cui si affacciano pregevoli palazzi che raccontano della fase di espansione settecentesca del borgo: in particolare, la prima sede del Municipio con la sua facciata rococò e Palazzo Borgese attuale edificio comunale dalla composizione semplice e severa.
Nelle cantine del Municipio è ospitata la Bottega dei Quattro vini di Neive fondata nel 1983 da un piccolo gruppo di vignaioli locali per rappresentare Neive e i suoi vini nel Mondo; dopo oltre quarant’anni di attività è ancora oggi il punto di ritrovo, per acquistare e degustare i vini prodotti nell’area. Anche il Palazzo dei Conti del Castelborgo rappresenta una significativa testimonianza del legame tra l’aristocrazia piemontese e la tradizione vitivinicola locale; infatti, il nobile edificio settecentesco conserva le originarie cantine, oggi come un tempo, sede di rinomate produzioni vinicole. Il gusto barocco delle architetture raggiunge alti livelli anche nell’architettura del palazzo dei Conti Bongioanni Cocito, scenograficamente inquadrato dalla Porta di San Rocco, cioè l’originario ingresso verso sud del borgo medievale.


Serafino Levi, l’uomo degli alambicchi

Neive diede i natali a Serafino Levi che nel 1925 fondò una distilleria con alambicco a fuoco diretto, conosciuta come “Distilleria Levi“.
Dopo la precoce scomparsa di Serafino e della moglie, l’attività passò poi ai figli Romano e Lidia. Per oltre sessant’anni, i fratelli Levi continuarono la tradizione dei loro antenati producendo una grappa unica, conosciuta come “La Grappa della Donna Selvatica“. Quest’ultima non è un semplice distillato di vinacce, ma è anche il frutto dell’arte di Lidia nella composizione delle erbe immerse nella bottiglia e di Romano nella graficazione delle etichette, disegnate a mano.
Nei primi anni Sessanta Romano volle infatti differenziare la sua produzione da quelle dei concorrenti personalizzando le bottiglie una ad una con etichette disegnate o dedicate con poesie da egli stesso. Questa operazione ha permesso nel tempo di annoverare Romano tra i produttori di grappa più famosi al mondo e le sue bottiglie ancora oggi sono oggetto di collezionismo a livello internazionale.

Inoltre, da oltre settant’anni, ogni anno la distilleria rinnova il rito dell’accensione del fiammifero: momento in cui Romano Levi dava inizio alla distillazione con il suo alambicco a fuoco diretto. Oggi la casa-distilleria dei Levi è un Museo vivo e produttivo della Grappa, un’isola del tempo in cui il Genius Loci di Romano Levi aleggia ovunque.
La bellezza di questi luoghi è testimoniata anche nella letteratura del Novecento che ne ha celebrato alcuni scorci. Nei romanzi di Beppe Fenoglio, questi luoghi fanno da sfondo alle vicende delle brigate partigiane che qui si rifugiarono; furono soprattutto le caratteristiche rocche a picco sul fiume Tanaro a catturare l’attenzione dello scrittore: “Montavano la guardia sugli aerei, di per se stessi avventurosi, strapiombi sul fiume di Barbaresco. Là il fiume, ricordava Johnny, era stretto e profondissimo, lento come una colata di piombo, ed al gusto e alla vitalità della guardia concorreva il mistero immanente nelle fittissime pioppete sull’altra sponda vicinissima.” (Beppe Fenoglio, “Il partigiano Johnny).
Lo stesso romanzo ospita anche una descrizione del borgo di Neive: “La ragazza abitava a Neive, il grosso paese in fondo alla valle sovrastata da Mango, diviso in due borghi, il soprano dominante i truci scoscendimenti sul fiume Tanaro, il sottano dilagante dalla collina alle rotaie della ferrovia, deserte ed inattive dal giorno dell’armistizio.”
Da segnalare infine due itinerari che comprendono i borghi di Neive e Barbaresco, per accompagnare il turista nell’esplorazione del territorio.

La Strada Romantica, costituita da 11 tappe, 130 km di strade panoramiche, 300 spunti letterari e il trekking intitolato Da Barbaresco a Neive per una camminata panoramica tra i filari che segue parte del celebre e spettacolare percorso ciclo escursionistico “Bar to Bar”.

Viaggio alla scoperta delle mele dell’Alto Adige

Viaggio alla scoperta delle mele dell’Alto Adige

La regione di Lana in Alto Adige è nota per la sua offerta diversificata che unisce ogni tipo di esigenza o interesse: montagna e valle, natura e cultura, fascino rurale e urbano, tradizione e modernità.
C’è però un elemento che accomuna tutta questa zona, caratterizzandola profondamente: la mela.

La terra delle mele

Questo frutto, infatti, gioca un ruolo fondamentale dal punto di vista paesaggistico e culturale, dalla fioritura dei meli in primavera fino alla raccolta in autunno.
Nella comunità europea un decimo della produzione di mele proviene dall’Alto Adige; di questo, l’1% proviene proprio dal territorio di Lana.
L’Associazione turistica di Lana e dintorni, inoltre, ormai da anni utilizza gli scarti della mela per realizzare brochure in cartamela e gadget da distribuire ai turisti.
Il frutto della mela racchiude in sé un vero e proprio mondo da scoprire: le varietà, gli utilizzi, la coltivazione, la storia e Lana in Alto Adige è una località in cui esistono molte possibilità per approfondirne la conoscenza.
Tra settembre e ottobre, ad esempio, sono in programma alcune esperienze per imparare tante curiosità sulla mela.


Cogli la prima mela, ecco quando

Mercoledì 11 e lunedì 23 settembre, dalle 14 alle 16, max 15 partecipanti è possibile vivere l’esperienza di cogliere il frutto direttamente, dall’albero. Un momento unico soprattutto chi vive in città.
Insieme a Petra Niederstätter, ambasciatrice delle mele della regione di Lana,è possibile provare l’esperienza di essere contadino per un giorno.

Nel corso di una semplice passeggiata nei meleti del maso Vettererhof di Lana, Petra racconterà tante curiosità sulla coltivazione della mela in Alto Adige e soprattutto insegnerà il modo corretto di staccare la mela dall’albero senza rovinarne il picciolo.
Ogni partecipante avrà a disposizione una cassetta di legno da riempire con le mele raccolte, che, alla fine dell’esperienza, potrà portare a casa.

Il costo di 25,00 € a persona comprende la cassetta per le mele, la visita guidata e una degustazione di vari tipi di mela e di succo di mela.

A spasso nei frutteti con degustazione

Mercoledì 2 e 16 e giovedì 31 ottobre, dalle 14 alle 15.30, per max 18 partecipanti. L’Alto Adige è la maggiore area frutticola contigua in Europa ed è un motore importante per l’economia locale.
In questa visita guidata da Petra Niederstätter si scoprirà il mondo della frutticoltura, tutte le varietà di mele ed i marchi della mela altoatesina e il lavoro che si nasconde dietro ad una mela, tra tradizioni, antichi strumenti e moderne tecnologie.
Alla fine della visita guidata, è prevista una golosa degustazione.

Nelle giornate del 2 e del 31 ottobre la visita si terrà al maso Rebgut di Lana, mentre il 16 ottobre al theiner’s garten di Gargazzone.
La visita guidata è gratuita.

Alla scoperta del museo sudtirolese della frutticoltura

L’importanza della mela per questa zona è testimoniata anche dalla presenza del Museo sudtirolese della frutticoltura, che, su circa 1000 metri di area espositiva nell’edificio medievale Larchgut a Lana, offre un incontro informativo e divertente con un interessante capitolo sulla cultura altoatesina. Il museo ospita un’ampia documentazione sulla storia e sulla situazione attuale della frutticoltura in Alto Adige.
Prenotando è possibile anche chiedere una visita guidata. Per info e orari: obstbaumuseum.it


Conosciamo meglio Lana e dintorni

Lana, insieme ai paesi limitrofi di Cermes, Pavicolo, Postal, Monte San Vigilio, Foiana e Gargazzone, si trova in una zona soleggiata dell’Alto Adige in cui la flora mediterranea si unisce e confonde con quella alpina, grazie al clima favorevole creato dalla barriera naturale del Gruppo di Tessa, che impedisce al gelo del nord di penetrare.
Meli, ciliegi, orchidee e palme convivono così con castagni, larici e faggi, in armonioso concerto anche con la storia, la cultura ben radicata e le peculiarità dei vivaci centri abitati. Perché Lana unisce, rendendo ospiti e residenti un tutt’uno in un luogo dove ogni giorno è vacanza.
Qui trovi pieno relax e massimo piacere in strutture eccellenti, ma scopri anche il fascino della vita rurale sul maso di montagna; qui provi sinestesie di sapori di cucine gourmet e nello stesso tempo gusti la cucina tradizionale dell’Alto Adige, spesso rivisitata in chiave moderna, ma sempre con ingredienti locali freschi e genuini; qui puoi cimentarti in difficili escursioni o passeggiare piacevolmente lungo percorsi in piano fra i meleti.
Infine, un programma di attività estive per bambini ricco e vario e i numerosi eventi culturali, artistici, musicali e gastronomici, rendono Regione Lana la meta ideale in cui vivere o soggiornare da single, in coppia o con tutta la famiglia.

Lussemburgo e Germania, suggestioni di fine estate

Lussemburgo e Germania, suggestioni di fine estate

A bordo di una nave da crociera per scoprire una suggestione di fine estate, i paesaggi e le città straordinarie di Lussemburgo e Germania occidentale, dove le rive di tre fiumi, Mosella, Reno e Meno, hanno visto scorrere secoli di storia. Dal 18 al 26 settembre, invece, potrete imbarcarvi a bordo della Avalon Tranquillity per una crociera imperdibile lungo i corsi di questa leggendaria area geografica.


Mosella, il fiume che ha ispirato i poeti

Scorre piano, mormorando, la Mosella. È un fiume che porta vita a terre fertili e generose, che si affacciano a vederlo passare attraverso i fitti filari dei vigneti.
È un fiume vissuto e popolato da sempre, come testimoniato, oltre che dalle evidenze archeologiche, anche nel IV secolo dal poeta Ausonio. La conosceva bene la Mosella, lui che, nato nella attuale Bordeaux, visse e insegnò a lungo nella città di Treviri, e che proprio ispirato da un viaggio fluviale da Bingen sul Reno all’attuale Trier tedesca realizzò quella che è ritenuta da molti il suo capolavoro: Mosella, per l’appunto, poema ancora oggi di una sorprendente freschezza:
Tetti di ville che si ergono sulle rive dei declivi, / colli verdeggianti di vigneti / e a valle fra di essi il dolce fluire della Mosella
con il suo sommesso mormorio.
Nave Avalon ripercorre con una partenza speciale di settembre i passi del grande poeta tardo-antico, e lo fa con lo stesso spirito con cui si accosta una cartolina d’epoca all’aspetto attuale di una piazza. Con un filo di nostalgia, forse, ma anche con curiosità e passione, alla ricerca di quello che è cambiato e di quello che è rimasto uguale.
Il titolo di questa crociera è Alla scoperta della Mosella.
Si parte, infatti, proprio sulla Mosella e più precisamente a Remich, una ventina di chilometri a sudest di Lussemburgo. Ma questo viaggio, in
partenza il 18 settembrenon abbraccia soltanto il fiume cantato da Ausonio, anzi: superato il Deutsches Eck (l’angolo tedesco) di Coblenza, ovvero la confluenza della Mosella nel Reno, la nave risale la gola del fiume fino ad andare a imboccare il Meno per fermarsi, l’ultimo giorno, a Francoforte.
Tre fiumi, dunque, per un’avventura unica in una terra plasmata dall’acqua, confine culturale ma anche nutrimento per i vigneti che ne tratteggiano il territorio e, una volta di più, strada maestra per il trasporto di persone, merci, idee. Oggi, come 1600 anni fa.


La Germania romanizzata: tra Treviri e Coblenza

Tutti abbiamo sentito parlare, negli ultimi trent’anni, di Schengen. Questa cittadina lussemburghese, oggi nel cuore dell’Europa, la conosciamo per il famoso accordo che ha sancito l’abolizione dei controlli alle frontiere interne europee.
Molto prima dell’Unione Europea, però, da qui vicino passava il confine di un illustre antenato: l’Impero Romano, che molto ha lasciato in quest’area in termini sia archeologici che toponomastici.
Particolarmente rilevante, all’epoca della tetrarchia, fu la più antica città della Germania, Augusta Treverorum, oggi Treviri o Trier, in tedesco, che fu dall’inizio del IV secolo la capitale del Cesare d’Occidente. Fu proprio in questa fase, specie sotto Costantino, che la città crebbe fino a diventare una Roma del Nord: terme, ippodromo, anfiteatro, la basilica palatina e la Porta Nigra sono testimonianze preziose che vanno a fondersi con il gotico e con il barocco tedesco, conferendo alla città un aspetto molto particolare.
Romana, di fondazione, è anche Coblenza. Il nome latino della città ci dice in realtà molto della geografia di questo luogo: Confluentes, confluenza, perché è qui che la Mosella e il Reno si abbracciano nel cosiddetto Deutsches Eck (l’angolo tedesco). Meno evidenti, qui, i resti dell’antichità, ma ciò non rende la città meno affascinante.


Germania di birra o Germania di vino? Entrambe, con un pizzico di… senape

Riesling è una parola che fa drizzare le orecchie a chiunque ami concedersi un calice di un bianco semi-secco.
Quella della Mosella, nella zona del confine con Lussemburgo e Francia, è forse la produzione vitivinicola tedesca maggiormente decorata e riconosciuta al mondo, e il Riesling ne fa senza dubbio da portabandiera.
Ma è pur sempre vero che siamo in Germania: senza il timore di cadere in facili stereotipi, che Germania sarebbe senza un boccale di lager? Questa crociera esplora la cultura tedesca della birra poco a sud di Coblenza, nella graziosa Lahnstein, con una brewery in cui si segue ancora la ricetta tradizionale.
Nel mezzo, Cochem: qui verranno svelati i segreti di una produzione di senape che va avanti da 200 anni all’interno di un mulino (ancora una volta, la forza dell’acqua!).

La confluenza con il Reno a Coblenza. Foto Wikipedia

Dalla Gola del Reno a Francoforte sul Meno

Il cuore di questa crociera, così come dell’opera di Ausonio, è la Mosella.
Ciò non toglie, come anticipato, che gli ultimi tre giorni tocchino alcune località affacciate su altri due fiumi: il Reno, il Meno. Del resto, lo stesso poeta per raggiungere Treviri era partito proprio da Bingen sul Reno, località famosa per la leggenda della torre dei topi (ma questa è un’altra storia).
Proprio di fronte, attraversando il Reno, c’è la deliziosa Rüdesheim, sede di un museo tutto particolare: quello della Musica Meccanica, che raccoglie più di 300 tra organetti, carillon, grammofoni e molti altri pezzi d’epoca ancora in grado di riprodurre in maniera perfetta le melodie per le quali erano stati creati. Una vera Mecca per gli appassionati!

Parlando di melodie, non si può non citare il dolce canto di Lorelei che, come le sirene di Ulisse, faceva naufragare le imbarcazioni di chi attraversava la Gola del Reno, o l’anello del Nibelungo, nascosto con gli spartiti di Wagner in fondo al fiume. Superata, di notte, Magonza, ci si immette finalmente nel Meno, dove si incontra subito Francoforte, uno dei cuori dell’Europa di oggi, da scoprire in bicicletta o come meglio si preferisce.
Il segreto delle crociere è proprio l’armonia tra tutti questi elementibilanciati come i colori in una veduta impressionista: il comfort e il relax della vita di bordo, dove gli spazi ampi e il numero contenuto di passeggeri permettono di godersi un’esperienza intima e al contempo condivisa, quel tanto che basta; la buona cucina e la vasta scelta à la carte, l’atmosfera distesa di un barbecue sul ponte o di un picnic rigenerante nel corso di un’escursione; infine, un tocco di lentezza, il piacere di godersi le cose con il loro giusto tempo. Il piacere della navigazione lungo le sponde di un fiume come la Mosella, il Reno e il Meno, da assaporare metro per metro, senza fretta e senza pensieri.
Alla scoperta della Mosella, 8 giorni da Remich a Francoforte (18 settembre 2024)
Itinerario completo: Remich (Lussemburgo), Lussemburgo – Treviri, Bernkastel, Cochem, Coblenza, Rüdesheim, Francoforte (Germania).

 

 

I vini delle donne: Maria Angela Brosio

I vini delle donne: Maria Angela Brosio

Agli inizi del duemila la famiglia Boffa acquista Cascina Amalia situata a Monforte d’Alba uno degli undici comuni legati alla produzione di Barolo, assieme a tre ettari di terreni circostanti.
Presto vengono acquistati altri vigneti fra cui due cru importanti per la del Barolo. Le Coste di Monforte a Bussia, 
Nel 2007 Paolo Buffa inizia a dedicarsi a tempo pieno alla gestione delle cantine e alla produzione del vino. La produzione ora vanta sette ettari di vigneti a Monforte d’Alba.
Nel 2019 è iniziata la conversione verso il biologico certificato poi nel 2022. 
I vini prodotti sono quelli classici del territorio: Dolcetto, Barbera, Nebbiolo e Barolo più una piccola produzione di un vitigno bianco raro: il Rossese Bianco.
Il Barolo Bussia Vigna Fantini è un Barolo da singolo vigneto di Amalia Cascina in Langa, una versione prodotta da una selezione di uve del prestigioso vigneto Fantini.
Questo vigneto grazie ad un’altitudine superiore rispetto agli altri appartenenti allo stesso cru e su terreni costituiti da arenaria di Diano del periodo Tortoniano ad elevata percentuale sabbiosa
Rosso granato intenso è un vino di grande struttura e complessità, con un bouquet intenso e seducente che ricorda sentori di frutta rossa matura, spezie, erbe aromatiche e note balsamiche.
Al palato si presenta intenso e vellutato, con tannini ben strutturati e una lunga persistenza.
Vino longevo, destinato ad invecchiare bene, sviluppando ulteriori sfumature e complessità nel corso degli anni.