Dic 2, 2023 | Enogastronomia
Una bevanda sinonimo di tradizione e cultura, convivialità e relax, gusto e leggerezza, ma non solo: la birra è considerata una “bevanda inclusiva” da 9 italiani su 10 perché adatta a tutti, senza alcuna distinzione di genere, età, provenienza o stili di vita.
Una concezione che si inserisce in un contesto, come quello attuale, nel quale la “Diversity & Inclusion” rappresenta un tema di crescente importanza per i consumatori, amanti della birra compresi.

Identikit birra
Sono queste le principali evidenze emerse dalla più recente indagine condotta da Bva Doxa per il Centro Informazione Birra di AssoBirra, la fotografia periodica sul mondo birrario italiano attraverso lo sguardo dei consumatori, dei principali player della filiera birraria e della stessa AssoBirra.
Un’edizione che accende i riflettori sulle tematiche DEI (Diversity, Equity and Inclusion) analizzando il ruolo della birra e l’impegno della stessa filiera per una sempre maggiore inclusività, coinvolgendo Mathieu Schneider, Project Director dei Brewers of Europe, l’organizzazione che rappresenta gli interessi di oltre 10.000 birrifici europei.

Diversità e inclusione: consumatori sempre più attenti
Dal CIB di AssoBirra emerge come il tema “Diversity & Inclusion” sia conosciuto da quasi tutti i partecipanti all’indagine (87%) e associato prevalentemente all’accettazione e alla valorizzazione delle differenze (39%), all’inclusione sociale (35%) e al riconoscimento dell’unicità individuale (19%).
Tra i target, la Generazione Z è la più informata (93%), seguita dai Millennials. Il 36% del campione dichiara di essere personalmente toccato dalle tematiche DEI e, scendendo più nel dettaglio, la Gen Z lo è in misura maggiore rispetto agli altri (50%).

La birra una bevanda inclusiva
L’89% degli intervistati da Bva Doxa per AssoBirra considera la birra una bevanda inclusiva, un’opinione trasversale a tutte le fasce di età in quanto condivisa dalla Generazione Z, dai Millennials e dalla Gen X. Tra le motivazioni, in primis la sua ampia reperibilità in tutti i Paesi del mondo (87%), seguita dalla capacità di creare un ambiente di socializzazione rilassato e aperto (86%). Non è un caso che per il 36% dei rappresentanti della Gen Z e dei Millennials la birra sia infatti la bevanda della condivisione per eccellenza. Apprezzati particolarmente anche la bassa gradazione alcolica (82%) e il rapporto qualità-prezzo tra i più convenienti in assoluto (81%), che rendono la birra una bevanda perfettamente adattabile a ogni contesto e stile di vita. Per circa il 60% dei consumatori la birra si distingue, inoltre, come un elemento che rispecchia le tradizioni locali e il cui consumo di ampie varietà diventa veicolo per sperimentare anche le diversità culturali.
“La terza edizione del nostro CIB evidenzia tra gli altri un aspetto particolarmente innovativo intrinseco alla birra, una bevanda radicata nella tradizione e nel nostro patrimonio culturale, che si rivela essere anche una risorsa preziosa per affrontare le sfide emergenti nella società contemporanea, tra cui quelle legate a diversità e inclusione. La birra, in quanto elemento in grado di unire passato e futuro, diventa uno strumento per promuovere lo sviluppo sociale e l’integrazione” commenta Andrea Bagnolini, Direttore Generale di AssoBirra. “I dati di questa ricerca confermano come per i consumatori, la birra rappresenti socializzazione e promozione della diversità, in grado di unire generazioni diverse e influenzare positivamente una varietà di pensieri naturalmente differenti: una qualità rara, su cui continuare ad investire per il progresso collettivo”.

Pregiudizi residui e gap da colmare
Le evidenze emerse dal Cib di AssoBirra sono tuttavia un punto di partenza e non di arrivo. Emergono infatti, ancora alcuni pregiudizi, ad esempio nell’identificare il target a cui la birra sembra più adatta: il 57% degli intervistati la ritiene una bevanda che si addice maggiormente agli uomini e solo il 43% pensa che sia più adatta alle donne. Un “gender gap” che si rafforza nella percezione da parte della Gen X (58% vs 39%) ma che coinvolge anche Gen Z (55% vs 41%) e Millennials (59% vs 42%). Alcune differenze emergono anche per quanto concerne le fasce di età: per la Gen Z la birra è infatti più adatta agli individui dai 25 ai 44 anni, per Millenials e Gen X il target si allarga invece ai soggetti fino ai 54 anni.

L’impegno della filiera
Rendere la filiera sempre più inclusiva è un percorso inevitabilmente subordinato all’impegno dei player del comparto. In questa direzione, sono diverse le iniziative che secondo gli intervistati le aziende e i produttori di birra potrebbero intraprendere.
Tra queste, la più importante è garantire un’informazione trasparente sui processi di produzione e sulla provenienza degli ingredienti, dimostrando un impegno per la qualità e la responsabilità (50%). O ancora, offrire una sempre più vasta gamma di birre (senza glutine, a bassa gradazione alcolica, a basso contenuto di zuccheri) per rispondere a esigenze nutrizionali specifiche (48%), così come porre impegno nella sostenibilità ambientale e sociale (44%), proporre programmi educativi sulla birra e sul processo di produzione per sensibilizzare i consumatori sulla varietà di birre e sulle tradizioni birrarie di tutto il mondo (39%), organizzare eventi e serate tematiche dedicate al tema della diversità (38%).
La parola all’esperto
La sensibilità crescente degli amanti della birra verso le tematiche Dei permea sempre più l’intera industria a livello europeo, grazie anche e soprattutto all’impegno concreto e decennale messo in campo in questa direzione dai Brewers of Europe, l’organizzazione più rappresentativa dell’industria birraria in Europa, portavoce degli interessi comuni di oltre 10.000 birrifici e il cui scopo è quello di promuovere il ruolo positivo della birra e del settore birrario in Europa.
A fare il punto sui principali traguardi e obiettivi futuri della filiera birraria europea in materia di “Diversity & Inclusion” è Mathieu Schneider, Project Director dei Brewers of Europe: “La diversità è uno dei punti di forza della birra, che si riflette nella vasta gamma di ingredienti e processi di produzione. Nessun’altra bevanda alcolica offre una tale varietà di scelte: riflettere questa peculiarità attraverso politiche DEI rispettose favorisce l’inclusione e l’apprezzamento della birra da parte di un pubblico più ampio, promuovendo di conseguenza socializzazione e benessere.
Per l’industria birraria, la DEI diventa un acceleratore di crescita e di benessere per la birra, i birrifici e le persone”. E, approfondendo progetti e iniziative nel concreto, racconta: “Un esempio è l’iniziativa ‘Proud to be Clear’, un impegno lanciato nel 2015 e che in meno di tre anni ha portato a risultati notevoli: nell’ottobre 2022, infatti, circa il 95% delle birre vendute in lattina e in bottiglia riportavano gli ingredienti nelle etichette e l’88% di queste anche indicazioni sull’energia utilizzata, in conformità con la normativa europea. I Brewers of Europe hanno inoltre mobilitato tutto il settore con iniziative che hanno coinvolto esperti in seminari e conferenze, oltre ad aver sviluppato una piattaforma web pensata come hub per raccogliere le pratiche più significative adottate dai produttori di birra europei e dai partner della filiera. Le tematiche DEI continueranno ad essere una priorità e saranno infatti un punto centrale dei nostri prossimi eventi di punta, come il Congresso EBC e il Brewers Forum 2024”.
A conclusione, Andrea Bagnolini commenta: “AssoBirra è fortemente impegnata a promuovere la diversità e l’inclusione nella filiera birraria italiana, seguendo la strada tracciata dai Brewers of Europe. Crediamo, infatti, nell’importanza di un settore sempre più inclusivo, in cui la diversità sia un valore accolto e condiviso. Le aziende associate hanno da anni fatto proprio questo impegno, operando a livello sistematico a 360 gradi, mentre come Associazione abbiamo creato nell’ultimo anno un gruppo di lavoro dedicato a queste tematiche, con l’obiettivo di ragionare insieme su azioni concrete da mettere in campo per promuovere un settore sempre più aperto, equo ed inclusivo”.
Dic 1, 2023 | Enogastronomia
Da oggi partono le prenotazioni per regalare e regalarsi un vino davvero “Unico”.
Un nuovo Conegliano Valdobbiadene Docg Prosecco Superiore Extra Dry perfetto per le feste de Le Manzane il cui ricavato delle vendite sarà in parte devoluto alla onlus Unico1 dell’ex calciatore Diego Murari.

Via alle prenotazioni di un vino esclusivo
Sono aperte le prenotazioni del Prosecco Solidale 2023 prodotto con l’uva raccolta lo scorso 10 settembre dai 500 aspiranti vignaioli che hanno partecipato alla 12ª edizione della Vendemmia Solidale.
L’evento si è svolto tra i filari di Glera della tenuta Le Manzane (Treviso) che ogni anno organizza la manifestazione.
Si tratta dell’unica vera “Vendemmia Solidale” in Italia con tanto di marchio registrato all’Ufficio Brevetti.
Le bottiglie del nuovo Conegliano Valdobbiadene Docg Prosecco Superiore Extra Dry saranno in vendita dal oggi 1° dicembre e parte del ricavato sarà devoluto alla onlus Unico1, fondata dall’ex calciatore Diego Murari per aiutare i bambini malati a ritrovare la voglia di sognare.

Il prosecco dell’unica vendemmia solidale
Il frutto dell’unica vendemmia solidale italiana
Le bollicine non possono proprio mancare durante le festività natalizie e il Prosecco Solidale è un’idea-regalo sempre apprezzata, che riscalda il cuore e sostiene una buona causa, anche da mettere sotto l’albero o da stappare con parenti e amici.
Le bottiglie, impreziosite da un bindello dedicato a Unico1 e da un’etichetta in Braille, si possono già prenotare telefonando allo 0438 486606 o scrivendo a info@lemanzane.it.
Il Prosecco Solidale si potrà acquistare nelle enoteche, nei negozi specializzati, nel punto vendita della cantina Le Manzane e nello shop online (https://www.lemanzane.com/shop) con la possibilità, per tutti coloro che si iscrivono alla newsletter, di usufruire di un codice sconto del 10%.
Per le spedizioni vengono utilizzati solo cartoni eco-friendly.
Nov 29, 2023 | Enogastronomia, Territori
La cucina slovena torna a far parlare di sé, in occasione della cena di beneficenza tenutasi lo scorso venerdì 17 novembre presso la Sala Mengoni del Ristorante Cracco di Milano.
Accanto al vicentino padrone di casa (1 stella Michelin), hanno infatti contribuito al ricco menù della serata, promossa dalla Fondazione Cotarella a sostegno delle attività della Dimora Verdeluce contro i disturbi del comportamento alimentare, il pluristellato chef altoatesino Norbert Niederkofler (3 stelle Michelin) e Ana Roš, chef portabandiera della cucina slovena e ottava chef donna al mondo ad aver ricevuto le tre stelle Michelin.

Ana nella sua cucina. Foto Feel Slovenia
Ana Roš terza (e unica donna) miglior chef al mondo
Ana Roš ha dimostrato ancora una volta di essere una delle migliori chef del mondo, lo ha fatto sempre a novembre classificandosi al terzo posto nella classifica Best Chef Awards.
Con questo risultato, è diventata ancora una volta orgogliosa dell’unica chef donna ad essere classificata nella top ten mondiale e ha confermato il suo posto indiscusso nell’élite culinaria mondiale.
Ana Roš, che gestisce il rinomato Hiša Franko, quest’anno ha avuto un anno di eccezionale successo.
Hiša Franko si è classificata al 32° posto nella prestigiosa classifica The 50 Best Awards 2023, confermando la sua eccezionale influenza nel mondo della gastronomia.
Hiša Franko è stato anche premiato con la sua terza stella Michelin, diventando l’unico ristorante in Slovenia ad aver ottenuto tre stelle Michelin.
L’eccezionale posizione di Ana Roš ai Best Chef Awards è una testimonianza del suo talento, del suo approccio innovativo e del suo incrollabile impegno per la creatività culinaria.

Ana Ros col suo staff. Foto Hisa Franko
Ana Roš e Hiša Franko: da Caporetto all’Olimpo
Di Ana e del suo ristorante a Caporetto vi abbiamo già parlato per spiegare che la cucina slovena non è solo luoghi comuni (leggi qui) e soprattutto di come una località quasi isperduta e isolata fra le Alpi viva di splendore grazie a una sola ambasciatrice nel mondo. (leggi qui)
Eppure a leggere rapidamente la storia personale di Ana e la sua formazione, si resta ancora più sbalorditi dai traguardi raggiunti nella sua carriera da chef: sciatrice prodigio fin da giovanissima, gli studi di Scienze Politiche all’Università di Trieste e il talento per le lingue straniere che l’hanno portata, ad oggi, a parlare 7 lingue; l’incontro con Valter Kramar, sommelier al ristorante di famiglia Hiša Franko di Caporetto, dove Ana inizia a lavorare prima da cameriera e poi da chef.
Ore e ore di studio da autodidatta sui libri di cucina, l’estro espresso nella rielaborazione di ricette del territorio della Valle d’Isonzo in chiave contemporanea.
Così arrivano i primi riconoscimenti a partire dal 2010.
Di questi, ricordiamo il premio di miglior chef donna al mondo 2017, assegnatole dal The World’s 50best, le 2 stelle nella prima edizione della Guida Michelin Slovenia nel 2020, diventate 3 quest’anno.
In poco più di un decennio Hiša Franko è diventato uno dei 32 ristoranti nel mondo a poter vantare questo riconoscimento (di questi, Ana è l’ottava chef donna).

Estro, creatività e legame con il territorio
“Cucinare è un po’ come dipingere – racconta Ana – se mi porti via i colori, non mi resta nulla con cui dipingere”.
I colori, nell’arte di Ana, sono gli ingredienti locali e un legame indissolubile con il territorio.
Alla base del menu di Hiša Franko, variabile in base alla disponibilità di prodotti secondo la stagionalità, c’è un consolidato network di coltivatori, allevatori, apicoltori; c’è una persona che raccoglie i funghi nei boschi circostanti e una famiglia di pescatori che procura al ristorante le trote, uno degli specialà della proposta del ristorante.
Posto sulle sponde del proverbialmente smeraldino fiume Isonzo, Caporetto (che da queste parti chiamano Kobarid) è quindi parte integrante di quello che rende Hiša Franko a pieno titolo uno dei ristoranti migliori al mondo.
“In un simile contesto, le persone mangiano da sempre carne, pesce e latticini. Se mi togliessero tutto ciò, sarebbe come togliermi la voce“, spiega Ana.

Foto Hisa Franko
L’anima green della Slovenia, anche a tavola
La filosofia alla base del successo di una realtà come Hiša Franko è quella di un intero paese: sono molti, in giro per la Slovenia, i ristoratori che coltivano il proprio orto, da cui vengono portate direttamente in tavola le specialità del territorio.
E per quanto non si riesca a produrre in autonomia, ci si rifornisce direttamente da produttori locali, privilegiando il più possibile la filiera corta.
Oltre a portare sulle tavole di turisti e viaggiatori piatti genuini e a basso impatto ambientale, questa ha ricadute importanti sulle comunità locali, valorizzandone il lavoro e la dedizione.
Per questo che, oltre alle 3 stelle, Hiša Franko può vantare, insieme ad altri sei ristoranti sloveni, anche la Stella Verde Michelin, conferita a quelle realtà impegnate nel proporre una cucina dall’approccio più sostenibile.
Con queste sette Stelle Verdi, la Slovenia è diventata quindi il paese del mondo in cui sono state assegnate più stelle Verdi Michelin per numero di abitanti.
Nov 27, 2023 | Enogastronomia, Territori
Una oliva da tavola, con una polpa così morbida da riuscire a separarla dal nòcciolo con due dita, dal colore che, al momento della raccolta a piena maturazione, oscilla tra il rosa e il nero brillante: così si presenta l’oliva aitana dei Colli Tifatini, nel Casertano, appena entrata a far parte dei Presìdi Slow Food.
«È uno dei tanti esempi di biodiversità della nostra zona, ha un grande valore storico-ambientale» sottolinea Alessandro Manna, che del neonato Presidio è il referente Slow Food. Ma soprattutto «è buona, un piacere da mangiare e facile da usare in cucina».

foto Marco del Comune per Slow Food
Un nome che non deve trarre in inganno
L’aggettivo aitana significa di Gaeta, ma quella dei monti Tifatini, i colli subappenninici che abbracciano a nord Caserta spingendosi fino a Capua, non è un clone dell’oliva itrana.
«La ragione del nome è semplice – spiega Manna –. Un tempo, molte olive da mensa particolarmente buone venivano chiamate così».
Non vi è però dubbio sull’unicità genetica della cultivar dei monti Tifatini, accertata negli ultimi anni anche dalle analisi di laboratorio condotte dall’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr di Perugia e dal Dipartimento di scienze e tecnologie ambientali, biologiche e farmaceutiche dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Caserta.
«Quando le olive erano un alimento e non uno sfizio, tutta la fascia collinare era impiantata a oliveti – prosegue Manna – e lo dimostra il fatto che vi sono piante di questa cultivar, peraltro facilmente riconoscibili per via della forma “a merletto” che assumono quando invecchiano, a una decina di chilometri dal comune di San Prisco, che è il centro della produzione di queste olive».
Poi, con il tempo, l’aitana si è in parte persa: «Un po’ per la fuga dalle campagne, un po’ per la speculazione edilizia, un po’ per gli incendi, un po’ perché si è privilegiato l’innesto di olivi adatti alla molitura – continua il referente –, fatto sta che questa varietà ha sì resistito, ma su una scala più piccola».

foto Marco del Comune per Slow Food
Acqua, sale e aceto rosso
Dopo essere salita sull’Arca del Gusto, al termine di un percorso durato un paio di anni l’oliva aitana è finalmente diventata Presidio Slow Food.
I produttori che aderiscono al disciplinare sono una decina e Giuseppe Santoro è il loro referente: «Potrei dire di essere cresciuto sotto un albero di olivo – racconta –. Qui da noi ci sono tante varietà, alcune solo da olio, altre da mensa, altre ancora con duplice attitudine. L’aitana era l’oliva da tavola per antonomasia, quella dei giorni di festa. Non esagero se parlo di una sorta di sacralità, intesa come forma di rispetto di un alimento fortemente caratterizzante».
L’aitana dei Colli Tifatini si raccoglie tra novembre e gennaio, quando la superficie del frutto si ricopre di una velatura pruinosa. Poi viene deamarizzata in una soluzione di acqua, sale e aceto rosso, un metodo tradizionale adottato ancora oggi.
Se in tavola «è spettacolare, magari in un sugo alla puttanesca oppure sulla pizza, come già viene utilizzata in diversi locali della zona – prosegue Santoro –, come olio, invece, è neutro, per via della scarsa quantità di polifenoli, è ha una resa bassissima.
«A San Prisco, circa 200 ettari dei quasi 8 chilometri quadrati di superficie sono oliveti – continua il referente dei produttori –, ma non tutte le piante sono aitane. Complessivamente parliamo di una piccola produzione. Quest’anno, anche a causa della crisi climatica, purtroppo non è una buona stagione: complessivamente, tra tutti noi produttori, il raccolto sarà tra gli 80 e i 100 quintali».

foto Marco del Comune per Slow Food
Questione di (zero) chimica
«Per mettere a punto il disciplinare – ammette Santoro – sono andato a chiedere qualche consiglio a mia mamma, che in famiglia si è sempre occupata della cernita delle olive. Mi ha aiutato a ricordare alcuni passaggi della preparazione della salamoia… ed è stata anche l’occasione per trascorrere un po’ più di tempo insieme!». In campo, invece, le idee sono chiare da tempo: «Rispetto della natura, del consumatore e dell’operatore, perché se si usa la chimica si danneggia anche chi lavora e inala certe sostanze. Si parla tanto di sostenibilità sociale in agricoltura, ma è una cosa seria e non la si può promuovere soltanto a parole».
Oggi, accanto a un paio di produttori esperti, c’è un gruppo di giovani impegnati a recuperare gli oliveti dei nonni. «Confido che il riconoscimento come Presidio Slow Food – conclude Manna – possa essere un volano anche per la tutela dei Colli Tifatini: se l’olivicoltura diventa un valore economico competitivo, allora potrà essere anche un sostegno al progetto del parco delle colline Tifatine, che promuoviamo da tempo».
Nov 25, 2023 | Enogastronomia
L’Estonia, durante il periodo invernale, grazie alle luci che illuminano le strade e all’atmosfera festosa che si respira nelle città, è un periodo magico e portatore di buon umore.
Il periodo natalizio, nonostante sia il più buio dell’anno, viene considerato uno dei momenti più importanti in Estonia e risale alle antiche celebrazioni pagane che si svolgevano intorno al solstizio d’inverno. Durante questo periodo, in cui i fiocchi di neve scendono sui tetti delle città e sulle strade acciottolate, è possibile vivere tutta la magia del paesaggio innevato, facendo tante esperienze uniche.

Una tradizione senza tempo: i mercatini di Natale
I mercatini di Natale di Tallinn, che si tengono nella piazza del Municipio nel centro storico della città dal 1991, sono famosi in tutto il mondo e vengono considerati tra le attrazioni principali del Paese, durante il periodo natalizio.
Sono stati nominati, nel 2019, come i migliori mercatini di Natale e considerati tra gli imperdibili anche nel 2022.
I mercatini di Tallinn, che quest’anno resteranno aperti a partire dal 1° dicembre 2023 fino all’7 gennaio 2024, sono, non solo un punto di riferimento storico e di incontro per gli abitanti del paese, ma anche il primo luogo in cui è stato allestito il primo albero di Natale d’Europa.
I visitatori possono passeggiare tra le bancarelle di legno ricche di prodotti artigianali e assaporare vin brûlé, biscotti di pan di zenzero e molti altri cibi tradizionali estoni. Inoltre, vi è la possibilità di trascorrere momenti magici pattinando sul ghiaccio nel centro storico di Tallinn.
Ogni visitatore potrà vivere pienamente la magia del Natale anche a Tartu. La piazza del Municipio della città, a partire dal 3 dicembre 2023 fino al 7 gennaio 2024, si trasformerà in un piccolo villaggio natalizio, dotato di una pista di pattinaggio sul ghiaccio e offrirà la possibilità di gustare prelibatezze tipiche delle festività natalizie ed assistere a spettacoli di folklore.

Tallin. Foto Karl Markus Antson
Il benessere e le saune rigeneranti durante il periodo natalizio
Durante l’inverno, l’Estonia è il posto perfetto per rilassarsi e godere di trattamenti di benessere in una delle sue tante saune, sperimentando esperienze diverse. Il 2023 è stato riconosciuto come l’anno della sauna per celebrare l’importanza di questo unico e antico rituale. Una tradizione che è parte integrante della vita estone da centinaia di anni ed è stato inserito nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco.
La tradizionale smoke sauna presso la Mooska Farm offre l’opportunità di godere di una sauna con aroma di legno bruciato, rami di betulla e miele. Poiché si trova vicino ad un laghetto, durante l’inverno è anche possibile immergersi velocemente nelle vicine acque ghiacciate.
Tra le proposte più particolari, che ogni anno attraggono molti turisti, è presente l’ Igloo saunas a Kõrvemaa, perfetta per rigenerarsi dopo una lunga giornata passata a sciare. Questa tipologia di sauna viene solitamente realizzata 100% a mano e ricoperta con trucioli di abete rosso all’esterno e trucioli di pioppo tremulo all’interno.
Infine, vicino alla città di Tallinn, si trova l’Iglupark che combina tre aspetti importanti della vita come il lavoro, il tempo libero e la salute, offrendo l’opportunità di prendersi del tempo per sé stessi e rigenerarsi a soli pochi passi dal centro della città.

Safari sul ghiaccio. Foto Ahto Sorau
Altre imperdibili esperienze invernali
Durante la visita ai mercatini di Natale di Tallinn, i visitatori avranno anche l’opportunità di assistere a un festival jazz di Natale e ammirare mostre interamente dedicate alle esposizioni fatte di pan di zenzero.
A pochi minuti dal centro di Tallinn è possibile visitare il Museo all’aria aperta dell’Estonia, che offre l’opportunità, sia ai bambini che agli adulti, di svolgere laboratori e realizzare decorazioni natalizie, fare gite in carrozza sulla neve e di conoscere, tramite diverse attività, le tradizioni natalizie tipiche del paese.
Per immergersi completamente nell’atmosfera natalizia, a Tallinn, presso Port Noblessner, si trova il negozio Shishi, un marchio di decorazioni per la casa estone-norvegese: questo store, durante il periodo natalizio, si riempie di alberi colorati che pendono nell’aria, vasi, fiori, candele e tanti altri prodotti natalizi.
Per i più piccoli è imperdibile una visita al Gadgetville, che nel periodo natalizio, si trasforma in un paese delle meraviglie. Gli abitanti del villaggio decorano le loro case, i giardini e i sentieri nel bosco, e i visitatori sono invitati a godersi deliziose rappresentazioni natalizie piene di sorprese.
Tra le esperienze più soft e per coloro che sono appassionati della natura incontaminata, è anche possibile fare un’escursione con i cani da slitta, disponibile in diverse zone del paese. Questa attività molto suggestiva offre l’occasione unica di ammirare laghi ghiacciati ed infinite e innevate strade forestali, permettendo, in questo modo, di scoprire le diverse sfumature del paese e assaporare il pittoresco inverno dell’Estonia.
Le esperienze invernali in Estonia sono davvero tantissime. Tra queste ci sono anche esperienze più adrenaliniche come il safari sul ghiaccio del lago Peipus con un karakat, veicoli personalizzati e costruiti dai pescatori locali, adatti per una navigazione sicura nel lago d’inverno.
Un’altra delle esperienze uniche è praticare la navigazione su ghiaccio, a Haapsalu e a Pärnu, su una barca a vela la cui velocità può superare facilmente i 100 km all’ora; quest’attività è diventata ufficialmente uno sport in Estonia dal 1888.
Infine, simbolo per eccellenza dell’inverno estone è la Ice Road; durante gli inverni più rigidi 80 km di strade ghiacciate vengono aperte al traffico. Nonostante l’obiettivo principale della creazione di queste strade non sia quello di fornire un’attrazione turistica ma di rendere più facile la vita della gente del posto, le strade di ghiaccio sono ben presto diventate un tragitto percorso da turisti, che offre esperienze di viaggio uniche ed indimenticabili.
Nov 19, 2023 | Enogastronomia, Territori
Esistono luoghi in cui i Presìdi Slow Food hanno una ragion d’essere ancora più potente: le aree interne. Paesi e terre alte in cui la salvaguardia va ben oltre il prodotto in sé, rigenerando economie rurali minate dallo spopolamento e dalla conseguente perdita di biodiversità.
Qui, recuperare le colture significa ripristinare terreni abbandonati ma anche restituire al futuro memorie contadine a rischio di totale dimenticanza.
È quanto successo con la pastinaca di Capitignano e la cipolla di Bagno, i due nuovi Presìdi istituiti nella fascia interna dell’Aquilano: un tubero e un bulbo mai del tutto scomparsi dagli orti dei contadini che oggi puntano a rigenerare l’agricoltura locale.

foto Marco Del Comune, Slow Food
La pastinaca di Capitignano, radice della memoria
Il legame degli abitanti di Capitignano con la loro terra ha radici ben profonde e un nome preciso: pastinaca.
Sulle origini di questo tubero c’è chi parla di archeologia orticola, sarebbe stato diffuso infatti in tutta Europa dai Romani, importandolo dalla Germania.
A Capitignano, la pastinaca ha sviluppato nei secoli un ecotipo a sé, diverso dagli altri presenti sul mercato per il sapore dolce, il colore più tendente al giallo e la presenza di ramificazioni laterali.
Nel borgo montano di circa 600 abitanti ricompreso nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, la pastinaca non è mai mancata dagli orti domestici.
La sua coltivazione si è progressivamente ridotta, a causa dell’introduzione della patata in zona a partire dal ‘500, ma anche della gestione delicata della pastinaca: il terreno deve essere morbido e drenato, le piantine vanno prima diradate e poi, una volta raccolte, pulite con cura. Ma, come una madeleine proustiana, dalla memoria dei locali non era mai scomparsa del tutto.
«L’abbiamo fatta riassaggiare ai nostri compaesani perché tanti non ricordavano nemmeno che sapore avesse», racconta Noemi Commentucci, giovane produttrice. «Ma la memoria gustativa ha fatto la sua parte: molti di loro sono tornati bambini, richiamando gesti e sapori di famiglia». Come il cenone della vigilia di Natale, che secondo la tradizione a Capitignano prevede sette portate vegetali, pastinaca inclusa.
La famiglia Commentucci è stata fra i primi promotori del percorso di recupero del tubero, continuando a coltivarlo e proporlo agli ospiti del loro agriturismo. Oggi il Presidio riunisce alcune decine di produttori: «speriamo che sia l’occasione per rilanciare la coltivazione anche in paese», conclude Noemi.

foto Marco Del Comune, Slow Food
Alla ricerca del tesoro (quasi) perduto: la cipolla di Bagno
Arriva da Bagno, frazione della città dell’Aquila, il nuovo Presidio dedicato alla cipolla, il secondo nella regione dopo la cugina bianca piatta di Fara Filiorum Petri, nel Chietino.
Leggermente schiacciata, dalla buccia dorata e la polpa compatta e bianca, quasi trasparente, la cipolla di Bagno ha un sapore dolcissimo tanto che un tempo veniva data ai bimbi come merenda, cotta sotto la brace, aperta e spolverata di zucchero.
«La cipolla è da sempre una specialità rinomata nella zona: gli anziani produttori erano gelosi dei semi, li custodivano come un tesoro e li scambiavano solo tra di loro» ricorda la produttrice Anna Ciccozzi.
Anna racconta che ancora oggi il legame con il bulbo è molto forte. I coltivatori continuano a irrorare la cipolla solo con l’acqua dei due laghi locali San Raniero e San Giovanni «perché è più pulita», e nessuno permette ad altre varietà di cipolla coltivate in zona di andare in fioritura, per scongiurare il rischio di ibridazione.
Da diverso tempo, è Anna a seminare la cipolla di Bagno sui suoi terreni per poi distribuire mazzetti di bulbilli ai quattro coltivatori aderenti al Presidio e a chi ne fa richiesta.
«Con il passare degli anni, insieme ai contadini più anziani stava scomparendo anche il prodotto. Oggi è importante tramandarlo con tutto il suo bagaglio di usi e memorie, perché sia ricchezza e opportunità per le nuove generazioni», conclude la coltivatrice.
Tra gli obiettivi dei due gruppi di produttori, c’è anche quello di valorizzare i trasformati.
Per la cipolla si pensa a creme che consentano di ovviare alla deperibilità del prodotto, più veloce rispetto ai bulbi convenzionali; per la pastinaca sono già stati sperimentati i patè ottenuti dai fittoni, per ridurre al minimo lo spreco.
A L’Aquila il lancio ufficiale con degustazione guidata
«Da sempre Slow Food pone la difesa della biodiversità al centro dei suoi progetti con l’obiettivo di tutelare la straordinaria ricchezza del nostro Pianeta, ma dal 1999 l’Associazione ha dato vita a uno degli strumenti più significativi: i Presìdi Slow Food», afferma Silvia De Paulis, referente dei Presìdi Slow Food dell’Aquilano.
«Abbiamo raccolto la voce di due Comunità, quella di Bagno e quella di Capitignano, che con tenacia, amore e tanto sacrificio, hanno conservato due diverse varietà orticole strettamente legate al loro territorio e alle loro tradizioni, la cipolla di Bagno e la pastinaca di Capitignano. Li abbiamo incontrati, ascoltati e abbiamo compreso che era la strada giusta da percorrere insieme, con il sostegno concreto del Gal Gran Sasso Velino, da sempre vicino a noi per progetti di valorizzazione e tutela delle produzioni di piccola scala. Saremo al loro fianco per difendere e tutelare i loro sforzi, anche nella speranza che nuove generazioni di agricoltori siano disposte a impegnarsi con loro per un’agricoltura più pulita e sostenibile, capace di generare un giusto reddito a chi voglia intraprendere questa strada».
Il debutto dei due nuovi Presìdi è in programma venerdì 17 novembre al palazzo dell’Emiciclo dell’Aquila, nell’ambito dell’apertura di Cibaq – Cibi della tradizione aquilana, la manifestazione dedicata a celebrare e promuovere la biodiversità dei Presìdi della provincia. Nella mattinata la presentazione ufficiale, nel pomeriggio un laboratorio di degustazione a cura di Slow Food Abruzzo in collaborazione con l’Istituto Alberghiero “L. da Vinci” dell’Aquila.