Fragola, il frutto che sa di primavera. Viaggio fra gusto, tradizione e nuove tendenze

Fragola, il frutto che sa di primavera. Viaggio fra gusto, tradizione e nuove tendenze

C’è un profumo nell’aria che segna l’inizio della bella stagione: quello dolce e inconfondibile delle fragole, il frutto del periodo.
Rosse, succose e irresistibili, le fragole non sono solo un frutto: sono un vero e proprio simbolo di rinascita, di giornate più lunghe e di piccoli piaceri da gustare lentamente.
Nate nei campi, celebrate nei mercatini, protagoniste di sagre e feste di paese, le fragole sono oggi un must della primavera italiana.
Dalle varietà più classiche a quelle gourmet, ogni zona custodisce il suo tesoro: basta pensare alle famose fragole di Nemi nel Lazio, alle dolcissime fragole di Maletto in Sicilia o alle profumate coltivazioni della Basilicata.

Autore Syda_Productions. Depositphotos

Concentrato di freschezza e bontà

Il vivace rosso brillante che le caratterizza è indicativo della presenza di antociani, potenti antiossidanti naturali noti per fare bene alla salute.
Dal profumo dolce, intenso e fruttato e il sapore bilanciato tra dolcezza e una leggera nota acidula e la polpa tenera ma succosa contiene solo 30 kcal per 100 grammi.
Come accennato le fragole non sono solo buone, fanno anche benissimo alla salute.
Ricchissime di vitamina C: una porzione di fragole copre quasi il 100% del fabbisogno giornaliero, aiutano a rafforzare il sistema immunitario. Tanti anche gli antiossidanti che contrastano i radicali liberi e rallentano l’invecchiamento cellulare. Fonte di fibre favoriscono la digestione e aiutano a mantenere sotto controllo il colesterolo e di acido folico importante soprattutto in gravidanza.
Inoltre hanno proprietà antinfiammatoria e depurativa che le rende ottime per la salute della pelle e per la circolazione sanguigna. In breve le fragole sono una coccola di benessere naturale.

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Fragole nel mondo: un universo di sapori

Esistono oltre 600 varietà di fragole, ognuna con caratteristiche uniche di forma, colore e sapore.
Tra le più note a livello internazionale: la f
ragaria × ananassa che è la fragola comune che troviamo al mercato, nata da un incrocio in Francia nel XVIII secolo. C’è poi la pineberry: la fragola bianca che profuma d’ananas, amatissima dagli chef gourmet; la fragola Mara des Bois (Francia) dolcissima, intensamente profumata che ricorda il sapore delle fragoline di bosco; la fragola Albion (USA) molto zuccherina, resistente e perfetta anche per i climi caldi; la fragola Royal Sovereign (UK) varietà storica dal sapore aromatico, considerata tra le più pregiate.
E in Italia? Nostre sono alcune delle fragole più buone e riconosciute: la fragola di Nemi (Lazio) piccola, profumatissima, protagonista della famosa sagra ai Castelli Romani; la fragola di Maletto (Sicilia) una delle più dolci d’Italia, coltivata alle pendici dell’Etna; la fragola Candonga (Basilicata): varietà pregiata dal gusto intenso e dalla polpa compatta, molto apprezzata anche all’estero; la fragola Sabrosa (Puglia) varietà molto diffusa nel Sud Italia, dolce, croccante e di grande resa produttiva; la fragola Favetta di Terracina (Lazio) una varietà antica, caratterizzata da frutti piccoli, succosi e profumatissimi e la fragola Pegaso (Emilia-Romagna) una varietà recente, dal sapore dolce e resistente al trasporto, ideale per le esportazioni.

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Dove andare per vivere la magia delle fragole

Detto delle località italiane più famose ecco quali vistare. Nemi (Lazio) , il borgo dei Castelli Romani celebra ogni anno la “Sagra delle Fragole”, una festa coloratissima tra mercatini, musica e degustazioni.
Maletto dove sulle pendici dell’Etna e grazie alla sua varietà unica di fragole dolcissime diventa protagonista di un’intera estate di eventi.
Da consigliare anche un viaggetto a Cesena (Emilia-Romagna), una delle capitali italiane della fragolicoltura, dove è possibile raccogliere direttamente nei campi e assaporare il frutto appena colto.

Autore AntonMatyukha, depositphotos

Lo sapevi che…? 

La fragola non è un vero e proprio frutto: botanicamente è un “falso frutto”. I veri frutti in realtà sono i piccoli semini gialli sulla superficie.
Esistono nel globo come accennato oltre 600 varietà di fragole nel mondo e tutte con sfumature di sapore e colore diverse.
Una leggenda vuole che regalare fragole fosse, nell’antichità, un gesto per dichiarare amore eterno.
La fragola bianca o “pineberry” ha un sapore sorprendente che ricorda l’ananas ed è una rarità gourmet sempre più amata.
Ma la fragola non è solo tradizione: oggi è anche creatività gastronomica. Dai dessert stellati alle insalate gourmet, fino ai cocktail freschissimi come il mojito alla fragola o i smoothie vitaminici, questo frutto si reinventa ogni giorno in cucina, portando colore e leggerezza in ogni piatto.
Chi ama il turismo lento e autentico, può seguire gli eventi dedicati: sagre, raccolte direttamente nei campi, tour enogastronomici a tema fragola che uniscono natura, sapori locali e convivialità.
Perché, in fondo, la fragola non è solo da mangiare: è da vivere. Meglio ancora, con il sole in faccia e un cestino pieno tra le mani.

Autore AntonMatyukha, depositphotos

Ricetta veloce: Insalata di fragole, feta e rucola

Una ricetta facile, fresca e super trendy, perfetta per l’estate!

Ingredienti (per 2 persone):
150 g di fragole mature

100 g di feta greca
1 manciata di rucola

qualche fogliolina di menta fresca
1 cucchiaio di aceto balsamico (o glassa)
2 cucchiai di olio extravergine d’oliva

Sale e pepe q.b.
Preparazione:
Lava delicatamente le fragole e tagliale a metà.
In una ciotola, unisci le fragole, la rucola e la feta sbriciolata grossolanamente.
Aggiungi qualche fogliolina di menta per un tocco di freschezza.
Condisci con olio, sale, pepe e un filo di aceto balsamico.
Mescola delicatamente e servi subito.

 

Nel piatto del vicino: Ungheria

Nel piatto del vicino: Ungheria

E’ uno dei paesi più antichi dell’Europa, visto che il suo regno apostolico risale all’anno 1000 anche se è grande solo come tutto il Nord Italia.
Siamo nel cuore dell’Europa e, se vogliamo essere ancora più puntigliosi, il vero Cuore dell’Europa è proprio nel territorio magiaro, esattamente nella montagna Bűkk.

Budapest. Image by Zsolt Tóth from Pixabay

Ungheria, un paese di natura e colori

Il verde delle sue montagne (mai altissime dato che il Monte Matra punta del paese sfiora solo i 1014 metri) e di colline dove sono ben 27 i territori vinicoli: dal vino dei re, al re dei vini bianchi di Tokaj e dell’eccellente Tokaji Aszu fino al rosso corposo di Egri Bikaver e ai vini di Villany, Etyek, Sopron e tanti altri e dov’è nel bel mezzo del Parco nazionale di Hortobágy la più grande prateria rimasta in Europa centrale grande 800 km. quadrati.
Di blu come il fiume mito della Mitteleuropa, quel Danubio che ha ispirato poeti e musicisti e fatto battere il cuore a tanti innamorati e il Lago Balaton, il più grande del centro Europa chiamato anche “mare magiaro”; di giallo come le distese di spighe di grano e girasoli e come il rosso infine dei fiori del papavero, ingrediente di tanti dolci eccellenti.
L’Ungheria è anche la terra dei bagni termali: solo a Budapest si contano 125 sorgenti termali (da non perdere i bagni Termali Szechenyi,i più grandi d’Europa) e fuori dalla capitale sono altre 400 le sorgenti che fanno dell’Ungheria un vero paradiso del wellness e dove troverete ad Heviz il secondo lago di acqua naturale calda più grande del mondo.

Quella strana lingua di origini finniche

Qui si parla una lingua strana che non assomiglia ne alle latine ne alle angolfone dato che il magiaro è di misteriosa origine finnica, ma dove più che parlare si scrive molto grazie all’inventore della biro, cioè della penna a sfera tale László József Biró, da cui ha preso il nome. Nella località di Kocsi sono nate intorno al XIII – XIV secolo le carrozze e all’interno del Parlamento di Pest nel 1880 l’aria condizionata. Ma anche il famoso cubo che ha fatto impazzire più di una generazione è figlio di un ungherese: l’architetto Erno Rubik.
Se poi vi siete sempre domandati come mai tutte le campane delle chiese cristiane suonano ogni giorno a mezzogiorno sappiate che questa usanza celebra la grande vittoria degli ungheresi capitanati da Janos Hunyadi sul territorio dell’attuale Belgrado sui turchi nel 1456, anche se, ironia della storia a Budapest è anche la Sinagoga in funzione più grande d’Europa.

Szombathely. Foto r3dsnake per Depositphotos

Un paese di molti record

Paese antico l’Ungheria è stata fondata dai Romani nel 43 d.C a Szombathely città nota ai tempi col nome di Colonia Claudia Savariensum che si trova a 10 km dal confine austriaco ed è stata fiorente fino al V secolo quando arrivò Attila con i suoi Unni.
E’ a proposito di cose antiche la metropolitana di Budapest è la più antica dell’Europa continentale ed ha la seconda linea più vecchia del mondo: la linea gialla (MI), 4,4 km di storia al punto che una delle sue carrozze originali è conservata in un museo dei trasporti nel Maine, negli Stati Uniti.
Anche il Giardino Zoologico
della capitale detiene lo stesso record, anzi, pare sia addirittura uno dei più antichi del mondo. Bellissimo nei suoi caratteristici edifici Liberty costruiti tra il 1909 e il 1912.
Ma i mezzi su rotaia sono nelle corde degli ungheresi dato che anche il parco Ferroviario Füsti è unico nel suo genere perché non è un museo statico ma un luogo dove i visitatori possono guidare le locomotive esposte e dove sono ospitati anche i vagoni originali dell’Orient Express.


Una tradizione culinaria di origini ottomane

La tradizione culinaria ha subito influenze ottomane a causa del lungo dominio turco e dei paesi vicini e si caratterizza per i suoi sapori intensi figli dell’abbondante uso di spezie: pepe e paprika sopratutto.
ll piatto più famoso in assoluto è senza dubbio il gulasch (in ungherese gulyás, o più precisamente Gulyás-leves, ovvero zuppa del mandriano) ma l’Ungheria a tavola è anche particolari e deliziosi dolci con accostamenti di ingredienti mai banali.
Da non perdere il Székelygulyás gustoso spezzatino di maiale con panna acida, paprika, accompagnato da cipolla e crauti e la mitica Torta Dobos inventata nel 1884 dall’omonimo pasticcere che consiste in sei strati di pan di spagna con in mezzo a ognuno di questi una crema di cioccolato e burro, mentre sulla parte superiore viene versato un sottile strato di caramello.
Sapori speciali poi per la frutta da mangiare con la polvere di paprika e non solo…

Szeged. depositphotos

Il racconto di Erzsebet

E’ Elisabetta per gli amici perché in realtà si dovrebbe dire Erzsebet a farci scoprire il mondo magiaro così amato dall’imperatrice Sissi.
Molto difficile da pronunciare il suo nome, anche solo da leggersi dato che la lingua ungherese è celebre per l’uso di tante consonanti.
Noi non siamo abituati a leggerla come non siamo abituati a perderci nell’incredibile sfumatura verde-azzurra dei suoi occhi.
Un colore che ricorda le infinite pianure e la linea di confine del lago Balaton, ma che insieme al bianco della pelle ce la fa sembrare quasi una meravigliosa matrioska di ceramica: sempre elegante, discreta, posata e delicata.
Difficile – racconta . per me oggi parlare della mia Ungheria. Appartengo a una generazione che ha vissuto due Ungherie: quella prima e quella dopo la caduta della Cortina di Ferro.
Sono nata e vissuta a Szeged, città grande più o meno come Firenze, vicina al confine jugoslavo e romeno.
Ero una privilegiata a vivere lì vicino al confine con due paesi. Anche se erano anche loro sotto la sfera d’influenza sovietica avevo l’opportunità essendo residente vicino ai due confini di andare a visitarli.
Possedevo uno speciale mini passaporto, grigio lo ricordo ancora, con cui potevo andare prendendo il bus nella più vicina città rumena che distava 60 chilometri o jugoslava a soli 30 chilometri.
Ne approfittavo ogni sabato pomeriggio. Con le mie amiche andavamo alla stazione degli autobus e saltavamo felici su quel bus destinazione Jugoslavia.
Era incredibile poter andare lì, al mercato di quella città dove, con un po’ di fortuna potevamo trovare anche qualche bel paio di jeans e qualche disco a 33 giri o musicassetta occidentale!
In Italia sono arrivata nel 1982, quando nel mio paese c’era ancora il regime e ci sono arrivata per amore seguendo il mio fresco sposo conosciuto e sposato l’anno precedente.
Del resto se non mi sposavo e soprattutto se non lo facevo in Ungheria in maniera laica non avrei mai potuto seguire mio marito in Italia ma non solo…
Avrei messo in difficoltà la mia famiglia come succedeva purtroppo a tutti coloro che si erano “ribellati” ed erano andati in Occidente a sposarsi e poi a vivere là.
Ho conosciuto mio marito quando lui, con un gruppo di amici cacciatori era venuto in Ungheria per un viaggio di caccia.
Io ero una giovane studentessa universitaria che per tirare su un po’ di soldini faceva da interprete e guida a questi gruppi.
Studiavo le lingue russa e italiana e così, come ogni volta che c’era in arrivo un gruppo di turisti italiani toccava a me.
Ogni volta dovevo andare a Budapest a prendere il programma dettagliato del viaggio; la lista dei loro nomi e dove gli avrei dovuto condurre giorno per giorno e ora per ora.
Quando lo vidi fu amore a prima vista.
Lui dopo quel soggiorno ungherese volle portarmi subito in Italia con un visto turistico perché voleva dimostrarmi che non era ricco dato che per fra gli occidentali era diffusa la credenza che le ragazze dell’est si fidanzassero con gli occidentali e si facessero sposare per scappare dal comunismo reale; ma a me non interessava la sua ricchezza interessava lui e peraltro non ero fra quelle ragazze convinte che l’Italia potesse essere il paese del mulino della pubblicità.
Mio padre la prese male quella mia decisione di sposare un italiano e partire con lui: “chissà cosa diranno i vicini” mi ripeteva.
Lui, uomo tutto d’un pezzo, tessera del partito in tasca, ruolo di rilievo nelle ferrovie e orgoglioso di quelle medaglie con la stella rossa che ogni anno il governo gli riconosceva per la sua fedeltà era stravolto dalla mia decisione.
A dire il vero aveva ragione a temere la curiosità dei vicini dato che un bel giorno, in quell’anno di fidanzamento in cui il mio futuro marito veniva ogni mese a trovarmi in auto, mi ritrovai denunciata e con una convocazione in commissariato.
Il capo della polizia locale peraltro conosceva bene mio padre e tutta la nostra famiglia e quasi scusandosi mi fece presente che ero stata denunciata da un vicino per quella presenza sospetta di un auto italiana che spesso era parcheggiata fuori casa mia: “So che è del tuo fidanzato, ma mi raccomando dimmi solo se ti sta convincendo a diventare una spia?” mi disse…
Quella era l’Ungheria di qualche decennio fa. Quella dove sono nata e cresciuta e che poi, dopo il matrimonio civile (non ero battezzata perché non era possibile esserlo) lasciai per venire a vivere con mio marito in Italia.
Ero spaesata i primi tempi.
Ero molto giovane piena di speranze e una certezze sopratutto. La certezza di trovare presto un lavoro: conoscevo il russo, il tedesco e l’ungherese e doveva essere inevitabile.
Ma facevo bene a non pensare che l’Italia fosse il paese dei mulini.
Il lavoro lo trovai, precario, dopo oltre due anni di ricerca e migliaia di curriculum.
Pazzesco a pensarlo per me. Al di là della cortina mancava la libertà ma il lavoro lo trovavi entro tre mesi al massimo al punto che, dopo quella data, se eri sempre a spasso lo stato ti chiamava e ti domandava perché eri sempre a spasso.
Altro che bamboccioni…
La vostra cucina però non mi deluse, anzi mi piacque subito.
Molto buona, pulita, senza troppi fronzoli, da cucinare velocemente e ricca di verdure.
Un impatto così entusiasmante che sono subito ingrassata!
Poi ho capito perché. Voi abitualmente vi mettete ogni sera a tavola insieme e così si mangia di più…
La cucina ungherese è molto più complessa e lunga nelle preparazioni è anche più grassa.
Mangiamo molto maiale sia d’estate che d’inverno e anzi, seguiamo alla lettera la vecchia storia che del maiale non si butta via nulla dato che ne congeliamo anche il grasso da usare poi come condimento insieme anche al grasso d’oca.
L’olio extra vergine d’oliva da noi non esisteva, è arrivato un po’ adesso, ma ancora deve entrare del tutto nelle cucine ungheresi. Come olio usiamo quello di girasole, di semi e per le insalate l’aceto e la panna acida che chiamiamo fiordilatte.
Uno degli ingredienti che non può mancare nella cucina ungherese è però il cavolo verza con cui facciamo un sacco di piatti, anche dolci.
Lo mettiamo a macerare in contenitori di legno con i semi del cumino almeno per una notte prima dell’utilizzo.
Il famoso gulash poi va detto che lo facciamo in due modi che voi confondete.
Il gulash vero è proprio è molto liquido, quasi una minestra che usavano i mandriani, mentre nell’altra versione lo cuciniamo con la carne e le patate ed è un piatto completo, ma come carni usiamo anche molto agnello e fegato d’oca.
Fra i dolci oltre al celebre rotolo vorrei segnalare le strepitose minestre di frutta fatte con frutta e il loro succo, zucchero, farina e panna acida. Anzi a pensarci bene è questo l’unico sapore che davvero mi manca della mia terra.
Se invece devo scegliere fra i piatti della cucina italiana avrei delle difficoltà.
Non saprei cosa scegliere. Forse la pizza, ma mi pare banale.
Opto decisamente le lasagne. Le amo in tutte le varianti: classiche, di pesce e vegetariane.
Quanto alle usanze del convivio e della tavola fra i nostri paesi ci sono molte differenze.
Innanzitutto come accennavo da noi non esiste proprio l’abitudine di mettersi a sera a cena a tavola tutti insieme.
Ognuno si arrangia per conto suo e quando ha finito le sue attività torna a casa e mangia quello che vuole.
Insieme ci ritroviamo solo la domenica con i piatti più ricchi e il sottofondo della radio nazionale che trasmette un programma molto popolare dove le famiglie si fanno gli auguri della domenica via etere.
In linea più generale pranziamo e ceniamo molto prima di voi. Il pranzo, molto frugale, lo consumiamo anche nelle mense (ce ne sono tantissime oggi e si spende davvero poco per mangiare bene più portate: 2 o 3 euro per un pranzo completo).
Usciamo dal lavoro alle 16,30 / 17.00 e la cena è alle 18.30 / 19.00 al massimo.
Poi se è estate e c’è bel tempo usciamo insieme tutti insieme.
Ah, una curiosità: anche la mattina le attività iniziano molto presto, alle 6.00 si va dall’estetista e dal parrucchiere e così siamo perfetti per tutto il giorno!
Quanto alle bevande beviamo i nostri ottimi vini anche se nel quotidiano si beve molto più birra. Il problema è che si beve troppo, grappa soprattutto.
L’alcolismo è una piaga molto diffusa anche se devo dire che i giovani hanno più cultura del bere consapevole che in Italia dato che è normale che quando escono in gruppo uno a turno decide di non bere per portare a casa sani gli altri.

Hungarian goulash

La ricetta: gulyas

ingredienti
500 g di carne di vitellone o di manzo
1 peperone verde
2 patate
2 cipolle bianche
1 pomodoro
1 carota
100 ml passata di pomodoro
1 cucchiaino di semi di cumino

Preparazione:
Tagliare le cipolle a fettine a farle appassire in una pentola alta, grande e antiaderente nel burro per una ventina di minuti facendo in modo che non si brucino. Aggiungere alle cipolle l’aglio schiacciato, la carota a dadini e il cumino.
Dopo averla tagliata a cubi versare nella pentola anche la carne di vitello e lasciar rosolare mescolando di continuo in modo tale che la carne rilasci il suo liquido permettendo alle cipolle di non bruciarsi.
Aggiungere la paprika, il sale a piacere e una volta mescolato coprire con un coperchio e lasciar cuocere a fuoco basso, mescolando ogni tanto, per almeno 1 ora aggiungendo solo e soltanto se necessario 1 cucchiaio di brodo nel caso in cui la carne si stia bruciando.
Sbucciare e tagliare le patate a cubetti, tagliare anche il pomodoro a cubi dopo aver tolto i semi e allo stesso modo tagliare anche i peperoni, sempre senza semi. Trascorsa l’ora di cottura aggiungere pomodoro e peperoni alla carne e coprire con il brodo lasciando cuocere per un’ora quindi aggiungere anche le patate e il restante brodo lasciando cuocere per altri 45 minuti.
Assaggiare, salare se necessario e servire caldissimo facendo in modo che sia denso e cremoso.

 

 

Chianciano Terme e la “ciaccia” di Pasqua

Chianciano Terme e la “ciaccia” di Pasqua

Ogni zona d’Italia ha le se tradizioni pasquali a tavola. Neanche la Toscana sfugge a questa regola. Tante tradizioni, una per ogni zona, tante tipicità. Andiamo alla scoperta della colazione di Pasqua.
Torna la mattina di Pasqua come da tradizione, nei bar di Chianciano Terme la tradizionale colazione pasquale con la “Ciaccia”.


Cos’è la ciaccia

Tutti i bar della famosa cittadina termale della Toscana meridionale aderenti a Confesercenti, allestiranno per residenti e turisti la tradizionale colazione di Pasqua offrendo, a partire dalle prime ore della mattina a residenti e turisti la “ciaccia”.
La “ciaccia” è un tipico impasto fatto con formaggio pecorino, servito insieme al capocollo ed al classico uovo sodo.
Una colazione pasquale per eccellenza da queste parti, forse magari un po’ pesante per i nostri palati avvezzi ad altro, ma un’occasione unica che segna anche in modo originale anche un buon auspicio per la stagione turistica, che abitualmente entra nel vivo in questa occasione

Ponte del 25 Aprile 2025: le 10 mete migliori in Italia ed Europa per una fuga di primavera

Ponte del 25 Aprile 2025: le 10 mete migliori in Italia ed Europa per una fuga di primavera

Il ponte del 25 aprile, anche se quest’anno arriva subito dopo la Pasqua è il momento ideale per staccare la spina e concedersi qualche giorno di relax tra arte, natura e buon cibo.
Le giornate finalmente si allungano, i paesaggi si colorano e l’aria di primavera invita a partire.
Cheabbiate voglia di rimanere in Italia o fare un salto in Europa, ecco le destinazioni perfette per un weekend memorabile che vi suggeriamo.

In Italia: borghi, panorami e sapori da scoprire

Costiera amalfitana. EvrenKalinbacak per depositphotos

1 – Costiera Amalfitana, romantica e scenografica

Fascino senza tempo di un simbolo italiano nel mondo. Perfetta per una fuga romantica a due, con i suoi scorci indimenticabili, sempre diversi curva dopo curva della celebre strada la costiera amalfitana si svela Positano, Ravello e Amalfi.
Regalatevi passeggiate panoramiche assaporando i profumi dei limoncelli vista mare.

Da provare le delizie al limone e la sfogliatella riccia in una pasticceria di Minori.

Assisi. Ph. pandionhiatus3 per depositphotos

2 – Umbria, verde cuore d’Italia

L’unica regione italiana senza sbocco sul mare è un gioiello di natura, storia e arte da vivere a passo lento viaggiando nel verde tra Assisi, Spello e la Cascata delle Marmore.
Una fuga perfetta fra spiritualità, natura e silenzio.

Da assaggiare assolutamente per i più golosi i salumi di Norcia e l’olio extravergine locale, uno dei migliori d’Italia.

Ph. Ladiras depositphotos

3 – Lago di Como, charme e natura

Ville nobiliari, giardini in fiore e acque azzurre.
Il Lario, altro nome con cui è conosciuto il lago di Como con le deliziose cittadine come Varenna che ornano il suo periplo non a caso da anni ammalia anche i vips di ogni parte del mondo ed è una meta raffinata ma accogliente anche per una fuga di qualche giorno.

Consiglio foodie: prenota un pranzo vista lago a Varenna e ordina il risotto con pesce persico.

CinqueTerre tourist

4 – Cinque Terre, trekking e meraviglie

Sentieri mozzafiato e borghi incastonati nella roccia. Il fascino delle Cinque Terre è senza tempo e anche se spesso la zona è fin troppo affollata vale un viaggetto. Da Vernazza a Monterosso dove la natura incontra la tradizione, il sole lo scoglio e la bellezza sfiora le onde.
Per i buongustai da non perderti le acciughe di Monterosso e una farinata calda.

In Europa: city break tra fascino e novità

Lisbona, ph- epavone depositphotos

1 – Lisbona, tra salite, fado e pastel de nata

La vivace capitale portoghese è perfetta anche per pochi giorni e per passeggiare tra quartieri storici e miradouros panoramici.
Il fascino dei caratteristici tram che viaggiano fra le vie in sali e scendi, del fado malinconico suonato per la strada ammalia sempre più viaggiatori.

Consiglio foodie: ordina un bacalhau à brás e finisci con un pastel de nata caldo alla Manteigaria.

Lubiana, ph. rudi1976 depostphotos

2 – Lubiana, piccola perla verde

La piccola Slovenia sorprende sempre per le sue grotte, la sua cultura, le sue montagne ma anche per la sua capitale vivace, raccolta, eco-friendly, elegante e piena di fascino.
Per i buongustai provare la jota, una zuppa tradizionale, o la potica, dolce tipico locale.

Barcellona, ph. IgorVetushko depositphotos

3 –  Barcellona, sole, arte e tapas

Una fuga catalana è per ogni stagione e anche a primavera fatevi ammaliare da Barcellona, dalle forme di Gaudí, le spiagge già vive come quella di Barcelloneta e i mercati colorati e profumati.
Imperdibili le tapas e vermut al Mercato di Sant Antoni, oppure una paella al tramonto di Barceloneta.

Praga. ph. William Zhang su Unsplash

4 –  Praga, fascino gotico senza tempo

Romantica e misteriosa, ideale per chi ama l’atmosfera fiabesca la capitale ceca è una meta sempre perfetta in ogni stagione.
La nazione della birra per eccellenza… vi consigliamo di accompagnarla a un gulash con una birra artigianale ceca in una birreria tradizionale.

Atene. ph Neirfys, deposotphotos

5 –  Atene, sole, storia e street food

Ancora non troppo calda come d’estate la capitale greca ha un fascino senza tempo grazie ai suoi templi antichi, la storia millenaria e le piazze vivaci. Perfetta per una full immersion tra passato e presente.
Per il cibo da provare il souvlaki nei chioschi di Monastiraki e lo yogurt greco con miele.

Cagli (Pesaro-Urbino): 5 esperienze imperdibili per scoprire la cultura e i sapori della norcineria

Cagli (Pesaro-Urbino): 5 esperienze imperdibili per scoprire la cultura e i sapori della norcineria

A Cagli la norcineria che è un’arte antica torna protagonista il 26 e 27 aprile con “Distinti salumi”.. In questo borgo che sorge tra le dolci colline marchigiane e le cime del Monte Catria attraversato dalla via Flaminia è una piccola perla nascosta in provincia di Pesaro-Urbino la norcinera è una tradizione col suo prosciutto di Cagli, il ciauscolo, le lonze speziate e i formaggi locali.

Foto Visualhunt

Il cuore autentico delle Marche

Un borgo dove il tempo sembra rallentare, la natura abbraccia il centro storico e la tradizione incontra il gusto più autentico. Se cercate un’esperienza lontana dal turismo di massa, siente nel posto giusto, specie per “distinti salumi”. Bello perdersi per  
i vicoli silenziosi, gli archi antichi e i palazzi in pietra. Salendo al torrione Martiniano, una fortificazione del  Quattroocento, potrete passeggiare lungo l’antico camminamento coperto e godere di una vista incredibile sulla valle del fiume Bosso.
Nel centro storico da visitare il t
eatro Comunale di Cagli, n piccolo gioiello architettonico, considerato tra i teatri storici più eleganti delle Marche, la Chiesa di San Francesco, mix di arte gotica e rinascimentale con opere d’arte che raccontano secoli di storia religiosa e artistica e il romano Ponte Mallio perfettamente conservato, ancora oggi attraversabile: uno di quei luoghi che ti fanno sentire piccolo davanti alla storia.

Mortadella classica, Presidio Slow Food dei salumi rosa tradizionali bolognesi – Emilia Romagna. ph. Valerie Ganio Vecchiolino

1 – Fare un giro al mercato per conoscere allevatori, produttrici e norcini

Allevatori estensivi e di piccola scala, custodi delle razze locali italiane e grandi interpreti dell’artigianato norcino nazionale: sono oltre 40 gli espositori selezionati per il Mercato di Distinti Salumi provenienti da 14 regioni italiane.
Sabato 26 dalle 10 alle 19 e domenica 27 aprile dalle 10 alle 18, animano le vie e le piazze di Cagli, pronti a condividere la storia e i valori delle proprie aziende attraverso l’assaggio dei loro prodotti.

Salsiccia e soppressata della Val di Fiano, Presidio Slow Food – Campania. ph. Giuseppe Cucco

2 – Scoprire salumi naturali e Presìdi Slow Food da tutta Italia  

Dal violino di capra della Valchiavenna in Lombardia al prosciutto del Casentino in Toscana, senza dimenticare la ventricina del Vastese in Abruzzo e il capocollo di Martina Franca in Puglia: sono tantissimi i Presìdi Slow Food da scoprire nel Mercato e nelle degustazioni di Distinti Salumi.
Oltre ai salumi naturali, si possono scoprire le proposte che valorizzano la biodiversità marchigiana: le fave di Fratte Rosa, l’anice verde di Castignano, la cicerchia di Serra de’ Conti e il lonzino di fico. 

Ventricina del Vastese, Presidio Slow Food – Abruzzo. ph. Luigi Di Lello

3 – Partecipare ai Laboratori del Gusto

Un Laboratorio del Gusto è un’esperienza concreta e consapevole: un’opportunità di conoscenza delle tecniche e del contesto culturale in cui nascono un prodotto alimentare, un vino o un piatto. In compagnia di esperti di Slow Food e produttori,  nel Palazzo del Comune di Cagli cinque esperienze guidano i partecipanti nella scoperta dell’incredibile varietà dell’universo norcino: i salumi più rari e antichi della Marca, come ciarimbolo, morsetto e casserotto, ma anche quelli provenienti da allevamenti di montagna, razze locali e particolari tecniche di lavorazione.

Salsiccia di fegato aquilana, Presidio Slow Food – Abruzzo. ph. Federica Bolla

4 – Passeggiare tra i Cortili del Sale, tra un plateau di salumi e un calice di vino

Sabato 26 dalle 11 alle 19 e domenica 27 aprile dalle 10 alle 18 i cortili delle storiche dimore di Cagli ospitano un ricco programma di assaggi.
Tra Palazzo dell’Episcopio, Palazzo Berardi Monchi Zamperoli e Galleria Brunetti si sviluppa un percorso di degustazione che prevede diversi plateau di salumi accompagnati dai calici dei vini di Food Brand Marche e delle chiocciole di Slow Wine, insieme al pane dei PAU (Panificatori Agricoli Urbani).

Capocollo di Martina Franca, Presidio Slow Food – Puglia. ph. Archivio Slow Food

5 – Assaporare i piatti preparati dai cuochi dell’Osteria dell’Alleanza

In occasione di Distinti Salumi, Piazza San Francesco si trasforma nell’Osteria dell’Alleanza, dove i cuochi della rete Slow Food propongono piatti della tradizione marchigiana o elaborazioni più creative che mettono al centro la qualità e la sostenibilità della materia prima.
Sabato 26 e domenica 27 aprile, sia a pranzo che a cena, si alternano ai fornelli insieme ai ragazzi dell’Istituto Alberghiero di Piobbico, per un menù che spazia dall’antipasto al dolce. Qualche esempio?
Il carciofo in umido di Lorenzo Zappi, cuoco freelance, gli gnocchi al cinghiale di Davide Moioli, della Cantina Sociale di Cantiano, l’intramontabile coniglio di Moreno Gabrielli, cuoco de La Graticola, e il funghetto offidano di Daniele Citeroni dell’Osteria Ophis di Offida. Senza dimenticare le specialità trentine dello Slow Truck del cuoco dell’Alleanza Paolo Betti.

 

Pasqua a tutto dolce. Oltre la colomba

Pasqua a tutto dolce. Oltre la colomba

Resta, gubana, fugassa, corona, salame del Papa, ciaramicola, pastiera, cuzzupa e tante altre ancora. C’è un mondo poco noto oltre la colomba fra i dolci pasquali tipici.
In tutta la penisola non si rinuncia ad accendere forni e fornelli per preparare infinite e prelibate specialità regionali.E allora da Nord a Sud, partiamo per un viaggio tra ricette popolarissime e delizie di nicchia per le feste di Pasqua.


Corona dolce – Trentino Alto Adige

Soffice e gustosa, la corona dolce trentina è il dolce pasquale per eccellenza di tutto il territorio del Trentino-Alto Adige.
Facile e semplice da realizzare perché per la sua ricetta bastano pochi ingredienti: farina, latte, lievito di birra, burro, tuorli, zucchero e limone.
Generalmente ha l’aspetto di una corona intrecciata (ma si trovano anche delle varianti) e viene decorata con uova sode colorate.
Grazie alla sua forma circolare e alla vivacità della copertura, la corona dolce trentina è perfetta anche come centrotavola per pranzi e cene pasquali.


Gubana – Friuli Venezia Giulia

E’ una ricetta antichissima le cui prime testimonianze risalgono al 1409 quella della gubana dolce pasquale immancabile sulle tavole dei friuliani.
Originaria della valle del Natisone, questa ciambella a base di pasta lievitata e cotta al forno è ripiena di burro, zucchero, uova e un tripudio di noci, uvetta, pinoli, mandorle, scorze di cedro e arancia canditi, cioccolato e grappa.


Fugassa – Veneto

Detta anche fugassin, la fugassa è uno dei dolci pasquali più consumati in Veneto.
A inventarla sembra sia stato un fornaio trevigiano che, in occasione della Pasqua, arricchì l’impasto del pane con altri prodotti golosi, dal burro allo zucchero, ottenendo così un pane dolce, alto e soffice.
Si tratta di un lievitato simile alla colomba, ma dalla forma più tondeggiante, morbido e aromatico, solitamente insaporito con marsala, cedro e vaniglia.
Anticamente era considerato un prodotto “povero”, diffuso fra le famiglie meno abbienti per la semplicità della ricetta e degli ingredienti impiegati, quelli tipici delle campagne (impasto del pane, uova, burro, zucchero).
La fugassa veneta oggi viene preparata con 4 lievitazioni differenti e aromatizzata in vario modo a seconda della zona.


Salame del papa – Piemonte

Dolce preferito dai più piccoli, per molti uno dei primi esperimenti di pasticceria casalinga, il famoso salame di cioccolata si chiama in realtà salame del papa e nasce in Piemonte, ad Alessandria, per la precisione, anche se ormai è preparato e consumato in tutte le regioni.
Come si intuisce dal nome, si tratta di un dolcetto che ricorda nella forma e nell’aspetto il salame corallina tipico della Pasqua.
Si prepara con biscotti secchi tritati (che rappresenteranno il grasso dell’insaccato), cacao amaro o cioccolato fondente, nocciole e burro, anche se le versioni in questo caso sono moltissime: basta unire tutto insieme per ottenere un salsiccione da spolverare con zucchero a velo e, volendo, legare insieme con uno spago, per una somiglianza maggiore. Si fa rassodare in frigorifero, dove si può conservare per più giorni.

Torta pasquale – Lombardia

Tipica della città di Como, la resta rappresenta la torta pasquale per eccellenza. Sostanziosa pagnotta iper-lievitata viene cucinata in occasione della domenica delle Palme e al suo interno custodisce un bastoncino di ulivo.
Preparato con farina, uova, burro e zucchero, questo dolce pasquale è farcito con uva sultanina, cedro e scorze d’arancia.


Ciaramicola – Umbria

Tra i dolci pasquali tipici della provincia di Perugia, la più caratteristica è la ciaramicola, una torta a forma di ciambella, con la pasta al centro a mo’ di croce.
Pochi e semplici gli ingredienti che la compongono: zucchero, farina, uova, latte e alchermes, che conferisce alla ciaramicola il tipico colore rosso brillante.
A impreziosire il tutto vi è poi una dolce copertura fatta di croccante 
meringa e confettini colorati.
In origine la ciaramicola, il cui nome deriva da “ciaramella” per via della forma circolare del dolce, era preparata dalle promesse spose ai fidanzati e regalata in occasione della Pasqua.
I colori sono quelli tipici dello stemma araldico del capoluogo umbro e i confettini hanno un valore augurale.


Pizza dolce – Lazio

È dolce, ha la forma di un panettone e nel viterbese è una tappa obbligata della Pasqua: è la pizza dolce, un vero must della colazione pasquale.
Si mangia da sola inzuppata nella cioccolata calda o nel latte, ma a Roma viene accompagnata anche con salame o uova sode.
La crosta esterna si presenta dura e lucente grazie alla cottura nel forno a legna e l’aspetto interno è tanto più giallo quante sono le uova impiegate.
L’impasto base è realizzato con farina, uova, zucchero, latte, burro e lievito, a cui vengono aggiunti scorze di agrumi, cioccolato, uvetta sultanina, rhum e alchermes.
Molto comune nel viterbese, la pizza dolce di Pasqua si trova anche nelle vicine province dell’Umbria e Marche. 


Pastiera – Campania

Tra i dolci pasquali più famosi al mondo, una protagonista assoluta è la pastiera napoletana.
Nota fin dal 1600, questa torta viene comunemente servita alla fine del pranzo pasquale in tutta la Campania, dopo un pranzo che inizia con il classico casatiello napoletano.
Dorata e croccante esternamente, morbida e profumata all’interno, la pastiera è una torta di pasta frolla con un ripieno ricco e sostanzioso a base di ricotta fresca, zucchero, uova, frutta candita e grano bollito nel latte.
La tradizione napoletana prevede l’utilizzo di 
acqua millefiori, vaniglia, canditi e scorza d’arancia, ma esistono anche varianti alla crema pasticcera e cioccolato bianco.
In origine, la pastiera era preparata nel periodo compreso tra Epifania e Pasqua: questo intervallo di tempo, secondo la tradizione locale, era considerato il migliore sia per la ricotta, sia per il grano. Oggi che il grano si trova in commercio conservato e venduto già cotto nei vasetti, questo dolce è proposta durante tutto l’anno.


Cuzzupe – Calabria 

Dolce tipico della Calabria, anche se a seconda dei luoghi varia il nome (angute, sgute, cudduraci…), la cuzzupa è irrinunciabile nelle festività pasquali.
Di derivazione contadina, le cuzzupe sono solitamente preparate in anticipo e si conservano per il giorno di Pasqua. La forma più classica è quella della ciambella, ma sono molto diffuse le varianti più fantasiose: bambole, cuori, uccellino, farfalle o cuculi, dei filoncini alla cui estremità è messo un uovo.
Farina, strutto, lievito di birra, limone, uova e anice gli ingredienti usati per questo dolce che ha origini orientali e simboleggia la fine del digiuno quaresimale.
Nella tradizione calabrese il numero delle uova impiegate per la cuzzupa ha un significato ben preciso: se la suocera usa 
sette uova nel dolce regalato al genero vuol dire che è in arrivo il matrimonio, se invece ne usa nove è rinnovata la promessa di fidanzamento. Semplici e colorate, le cuzzupe vengono decorate con confettini e codette.


Agnello di pasta reale – Sicilia

Oltre ai classici cannoli, alla cassata e alla popolare cuddhura (dolce pasquale di forma circolare e decorato con un numero variabile di uova), in Sicilia, a Pasqua, un posto d’eccezione spetta all’agnello di pasta reale.
Nato con molta probabilità agli inizi del ‘900, questo dolce, in origine preparato dalle suore del convento di Favara, è un alimento piuttosto corposo e saporito.
L’interno è costituito da 
pasta reale – ricavata dalla lavorazione di mandorle tritate, acqua e zucchero – e da un ripieno di pasta di pistacchio, realizzato invece con acqua, zucchero e pistacchi tritati. A completare l’agnello di pasta reale c’è una decorazione con zucchero fondente.

Pardulas – Sardegna 

I dolci pasquali tipici in tutta la Sardegna sono le pardulas, piccole tortine dalla forma a stella di sei punte che a seconda della città cambiano nome e si arricchiscono di nuovi ingredienti.
Cotti tradizionalmente nel forno a legna, questi dolci pasquali vengono farciti con un delizioso ripieno a base di formaggio fresco, ricotta, uvetta, scorza di limone grattugiata e profumati di norma con vaniglia o zafferano.
Il tutto è poi cosparso di miele e confettini colorati.
In alcune zone della Sardegna le pardulas si possono trovare anche in una versione all’aroma di arancia o di limone, o più raramente in una variante con l’uvetta.