Mar 17, 2025 | Enogastronomia
In occasione della Giornata Mondiale delle Torte vogliamo il rapporto degli italiani con la pasticceria.
Secondo una ricerca commissionata a YouGov, quasi 9 italiani su 10 (89%) hanno un dessert preferito quando mangiano fuori casa, e solo il 3% circa dichiara di non ordinarne mai uno.
Il tiramisù si conferma il dolce più amato per chi mangia fuori casa, soprattutto tra i giovani di 25-34 anni, seguito da cheesecake e dessert a base di cioccolato.
Quale dessert al ristorante?
Il consumo di dolci al ristorante è una vera e propria abitudine per molti: il 96% degli intervistati per una ricerca di una nota app di prenotazione di ristoranti dichiara di ordinarne almeno occasionalmente.
Tuttavia, solo il 15% afferma di concedersi sempre un dessert a fine pasto, mentre un altro 15% lo sceglie raramente, con una maggiore incidenza nella fascia d’età 45-54 anni.
Ma cosa spinge gli italiani a ordinare un dessert?
Per oltre il 40%, si tratta di un gesto di gratificazione personale, un piccolo lusso da concedersi per coccolarsi. Allo stesso tempo, il dessert rappresenta un rito irrinunciabile di fine pasto, mentre l’idea di scegliere un dolce per motivi salutari è condivisa da meno del 10% degli intervistati.
Questi dati evidenziano come la pasticceria al ristorante giochi un ruolo fondamentale nell’esperienza culinaria degli italiani, offrendo ai ristoratori un’importante leva per soddisfare i desideri della propria clientela.

Tiramisù il più amato dagli italiani. Foto brebca per Depositphoto
La classifica dei più amati dagli italiani
1 – Tiramisù
Si conferma il re dei dolci italiani, cremoso e irresistibile, con savoiardi, mascarpone e caffè.
Il tiramisù nato nelle aree del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, con il nome che deriva dall’effetto elettrizzante del caffè in esso presente è perfetto da gustarsi con un buon bicchiere di Marsala dolce o un bel passito di Pantelleria per esaltare il gusto del mascarpone. E’ così popolare che nella città che ne rivendica i natali, Treviso, ogni anno si organizza un concorso partecipatissimo a lui dedicato. (articolo qui)

Foto: marmo81 per Depositphoto
2 – Cannoli siciliani
Croccanti e ripieni di ricotta dolce, spesso con gocce di cioccolato o canditi sono una leccornia simbolo stesso della Sicilia.
Anticamente preparati dalle suore nei conventi oggi sono una delle specialità più esportate all’estero.
Abbinamento perfetto per il cannole è indubbiamente Il moscato di Pantelleria che si sposa con la dolcezza della ricotta e la croccantezza della scorza.

Foto: Carlo Fornitano per Depositphoto
3 – Pastiera napoletana
Un capolavoro della pasticceria partenopea, con grano, ricotta e aroma di fiori d’arancio.
Il dolce di Pasqua per eccellenza che contende il titolo di più amato in occasione di questa festività con la colomba nasce secondo la leggenda narra dalle mani delle sirene del Golfo di Napoli per incantare i marinai con il suo profumo.
L’abbinamento perfetto e territoriale è con un bicchiere di buon Limoncello o con un passito di Fiano per esaltare le note agrumate.

Foto: Simona171 per depositphoto
4 – Sfogliatella
Un altra eccellenza di Napoli, anzi il suo dolce simbolo con pasta sfoglia croccante fuori e morbida dento nel ripieno di ricotta e semola conquista il quarto posto.
Esistono due versioni della sfogliatella: la riccia, con pasta sfoglia croccante e la frolla, con pasta più morbida.
Per un abbinamento perfetto si consiglia il Ratafià di Amarene, un liquore abruzzese che ne esalta il ripieno.

sicilian cassata on wooden table
5 – Cassata siciliana
Torta ricca e colorata con ricotta, pan di Spagna, pasta di mandorle e glassa è un simbolo della pasticceria barocca. Nata durante la dominazione araba in Sicilia, il suo nome deriva dall’arabo “qas’at”, che significa “bacinella”, per la forma del dolce.
Abbinamento perfetto con il Moscato di Noto o uno Zibibbo per accompagnarne perfettamente la dolcezza.

Foto:happy lark per depositphoto
6 – Zuppa inglese
Dessert al cucchiaio con crema pasticcera e Alchermes, è considerato il parente nobile del tiramisù. Nonostante il nome, è un dolce tutto italiano, nato nelle corti rinascimentali come rivisitazione del trifle inglese.
Abbinamento perfetto con un bicchiere di Vin Santo Toscano per completarne l’esperienza.

Foto: jogyabraham per depositphoto
7 – Torta caprese
Specialità campana senza farina, a base di cioccolato e mandorle nata per errore. Si dice che un pasticcere di Capri dimenticò di aggiungere la farina all’impasto, dando così vita a questa squisita torta al cioccolato e mandorle.
L’abbinamento perfetto è con un rhum invecchiato o un amaro alle erbe, ideali per contrastarne la dolcezza.

Foto: Oleg Doroshenko per depositphoto
8 – Strudel di mele
Il tesoro del Trentino-Alto Adige, con pasta sottile e ripieno di mele, cannella e uvetta derivato dalla tradizione austroungarica conquista la top ten dopo essere diventato un’icona delle Dolomiti.
Abbinamento perfetto con un Gewürztraminer passito esaltare cannella e uvetta.

Foto: Olga Bombologna per depositphoto
9 – Babà al rhum
Il babà dolce napoletano dal cuore transalpino nacque in Francia, ma fu adottato da Napoli, dove divenne in breve un simbolo della pasticceria locale. Un classico della pasticceria napoletana, soffice e imbevuto di rum che trova il suo abbinamento perfetto in un bicchiere di rum agricolo o di limoncello per amplificare il sapore. Un classico della pasticceria napoletana, soffice e imbevuto di rum.

Foto: marmo81 per depositphoto
10 – Bignè di San Giuseppe
Chiudono la top ten i dolcetti della festa del papà. Dette anche frittelle in alcune regioni sono dei dolcetti fritti o fatti al forno, ripieni di crema pasticcera, tipici appunto della Festa del Papà.
Secondo la tradizione, San Giuseppe, padre putativo di Gesù, era anche un venditore di frittelle, da qui nasce la tradizione di questo dolce fritto.
Abbinamento perfetto con un Recioto della Valpolicella perfetto per accompagnare la crema pasticcera.
Mar 16, 2025 | Enogastronomia
Il turismo enogastronomico è una voce fondamentale del settore, tanto che il valore economico in Italia supera i 40 miliardi di euro. Il numero delle persone che vanno in vacanza per cibo, vino, olio e altri prodotti tipici è in continua crescita: l’anno scorso si è registrato un +12% sul 2023. Si stimano in 14,5 milioni i potenziali turisti italiani del gusto, interessati per il 64% a mete vicine.
Sono alcuni dei dati che emergono dall’ultimo Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano a cura di Roberta Garibaldi, presidente di Aite Associazione Italiana Turismo Enogastronomico e docente presso l’Università degli studi di Bergamo.Interessante scoprire la top 5 dei prodotti più rappresentativi dell’Italia in ambito agroalimentare: il vino al primo posto con il 38,1% delle preferenze, l’olio extravergine di oliva (24%), la pizza (22%), la pasta (15%) e i formaggi (11%).
Dal Rapporto emergono anche 5 “tribù enogastronomiche”, gruppi di persone che scelgono il viaggio enogastronomico per motivi diversi: i ricercatori (42,1%) per vivere nuove esperienze in tema, i festaioli (23%) per divertirsi e socializzare, gli intellettuali (19%) per arricchire il proprio bagaglio culturale, i figli dei fiori (11,5%) per il proprio benessere psico-fisico, gli edonisti (4,3%) per concedersi un lusso.
Mar 14, 2025 | Enogastronomia
Le Alpi, in Valle d’Aosta, delineano contro il cielo un profilo in cui è facile riconoscere i “Giganti delle Alpi”: il Monte Bianco (4.810 m), montagna scolpita nel granito e seconda in Europa solo all’Elbrus, del Caucaso; il Monte Cervino (4.478 m), dalla caratteristica forma piramidale; il Monte Rosa (4.634 m), seconda montagna delle Alpi per altezza; e il Gran Paradiso (4.061 m), unico “4.000” interamente compreso in territorio italiano.
I panorami della Valle d’Aosta hanno come sfondo le montagne più imponenti delle Alpi, vette ben note agli alpinisti, ma di questi paesaggi grandiosi — fatti di ghiacciai, laghi alpini, aree protette, boschi, pascoli e villaggi tradizionali — potrete godere sia praticando tante attività sportive diverse, sempre ai massimi livelli, sia rilassandovi in alcune delle più belle località di vacanza delle Alpi.

foto Sébastien Montaz
Il Monte Bianco, ottava meraviglia del mondo
Per molti il Monte Bianco con i suoi 4807 metri di altezza è semplicemente la montagna più alta delle Alpi.
Ma in realtà il Monte Bianco rappresenta anche un luogo di sfide e di attrattive naturali e una delle mete turistiche più note della Valle d’Aosta.
La vetta del Monte Bianco fu conquistata già nel 1786 da Jacques Balmat e da Michel Gabriel Paccard, ma ancora oggi le sue pareti costituiscono una meta ambita dagli alpinisti di tutto il mondo.
Con attrezzatura e preparazione adeguata ed un accompagnatore esperto è possibile scalare il Monte Bianco, sentire la neve sotto i ramponi ed ammirare il panorama dal tetto d’Europa.
Affidatevi alle Guide Alpine per vivere al meglio questa esperienza.
Ugualmente suggestive le emozioni che si provano salendo con l’avveniristica funivia Skyway Monte Bianco fino ai 3.466 metri della terrazza panoramica a Punta Helbronner con la possibilità di fermarsi anche alla stazione intermedia del Pavillon du Mont Fréty, altrettanto ricca di interesse e di luoghi da visitare.
Cervino, la montagna perfetta
Per rappresentare una montagna, molti disegnano una piramide con la cima slanciata verso il cielo.
Il Cervino è proprio così: una montagna perfetta che si staglia, isolato dal resto della catena montuosa, su una incantevole valle, la Valtournenche.
Il Cervino (4.478 metri) fu conquistato per la prima volta dal lato svizzero, il 14 luglio 1865, da Edward Whymper e da altri compagni di cordata, quattro dei quali perirono tragicamente durante la discesa.
Pochissimi giorni dopo, una cordata interamente italiana, guidata da Jean-Antoine Carrel, lo scalò dal lato italiano.
Ancora oggi alpinisti esperti da tutto il mondo si cimentano nella scalata del Cervino.
Affidatevi alle guide alpine per vivere al meglio questa emozionante esperienza.
Se siete a Breuil-Cervinia e volete ammirare il Cervino da vicino allora salite con gli impianti fino a Plateau Rosa, paradiso dello sci, invernale ed estivo.
La funivia permette di raggiungere il comprensorio per sciare, ma è una esperienza da non perdere anche per chi non scia e desidera godersi il panorama, il cielo terso e l’aria frizzante.

foto Enrico Romanzi
Monte Rosa da record
Il gruppo del Monte Rosa è il massiccio montuoso con l’altezza media più elevata delle Alpi. La sua cima più alta, la Punta Dufour (metri 4.634) è la seconda vetta di tutta la catena Alpina.
Ben trenta cime con altezza superiore ai 4.000 metri si innalzano dal massiccio.
Le principali, dal Colle del Teodulo andando verso est, sono: il gruppo del Breithorn, che culmina nei 4.165 metri del Breithorn occidentale, i gemelli Polluce (m 4.092) e Castore (m 4.228), il Lyskamm (m 4.527), celebre cresta nevosa, la più elevata del Rosa in territorio valdostano, il Colle del Lys (m 4.153), spettacolare passo alpinistico, la Punta Gnifetti (m 4.554), sulla quale si trova la Capanna Regina Margherita, il rifugio più alto d’Europa, la Zumstein (m 4.563), la Dufour (m 4.634) e la Nordend (m 4.612).
Da Breuil-Cervinia, nella Valtournenche, si può scalare la vetta del Breithorn, classica meta di avvicinamento all’alpinismo.
Da Saint-Jacques, in Val d’Ayas, si può affrontare il Polluce, mentre da Gressoney-La-Trinité, è possibile raggiungere la Punta Gnifetti ed il Castore.
Affidatevi alle Guide Alpine per vivere al meglio queste emozionanti esperienze.

foto Roberto Vallet
ll Gran Paradiso, un 4000 made in Italy
Mai nome fu così azzeccato: il Gran Paradiso, montagna custode dell’omonimo parco Nazionale, è davvero uno spettacolo della natura ed è l’unico “4.000” completamente in territorio italiano.
Uno dei punti di partenza classici per arrivare in vetta al Gran Paradiso (4061 metri) è il Rifugio Vittorio Emanuele II, raggiungibile percorrendo un pratico sentiero dalla località Pont, in Valsavarenche.
Meta ideale per l’avviamento all’alpinismo, la cima, raggiungibile con un passaggio facile ma esposto, riserva un finale vertiginoso.
Affidatevi alle guide alpine per vivere al meglio questa emozionante esperienza.
I territori dai quali ammirare da vicino il massiccio del Gran Paradiso sono la Valsavarenche e la Valnontey (Cogne), ma appartiene all’area protetta, famosa per la sua fauna alpina, anche un versante della valle di Rhêmes.
Un tempo riserva di caccia di Casa Savoia, il Parco nazionale del Gran Paradiso fu il primo parco ad essere istituito in Italia, nel 1922, per scongiurare l’estinzione dello stambecco. In ogni stagione, è un privilegio camminare lungo i sentieri del Parco e contemplarne la straordinaria natura.
In questo territorio, noto anche per i suoi incantevoli laghi e cascate, spiccano anche altre montagne particolarmente suggestive come la Grivola, decantata dal Carducci, il Ciarforon, la Grande Sassière e la Granta Parey.
Mar 13, 2025 | Enogastronomia
Pordenone, situata nel Friuli Venezia Giulia occidentale nei giorni scorsi è stata proclamata da parte del Ministro della Cultura Alessandro Giuli Capitale Italiana della Cultura per il 2027, un riconoscimento che premia la sua storia, la vivacità culturale e le sue bellezze architettoniche e paesaggistiche.
Questa nomina rappresenta un’opportunità per mettere in luce le eccellenze locali e attrarre visitatori da tutto il mondo per questa città situata fra Venezia e Udine che rispecchia un perfetto equilibrio fra la cultura conservatrice veneta e il soffio innovatore del mondo mitteleuropeo.
Pordenone è tante cose in una. i magredi, i borghi medievali, le maestose Dolomiti Patrimonio dell’Umanità, le eccellenze culinarie e vinicole, i profumi di una terra spontanea e accogliente.
Le motivazioni della nomina
La valutazione delle candidature è stata affidata a una Giuria composta da sette esperti indipendenti. Dopo aver assistito alla presentazione delle dieci città finaliste in audizione pubblica il 25 e 26 febbraio scorso, la Giuria ha individuato in Pordenone il Comune più idoneo a tale riconoscimento.
Questa la motivazione che ha portato all’assegnazione del titolo:
“Il dossier propone un modello di valorizzazione culturale innovativo e inclusivo, capace di coniugare tradizione e contemporaneità. L’approccio strategico mira a rafforzare l’identità del territorio attraverso progetti che intrecciano patrimonio storico, arti visive, cinema e partecipazione attiva della comunità. Particolarmente apprezzata la capacità di attivare un processo di coinvolgimento diffuso che reinterpreta il legame tra memoria, territorio e creatività. Il progetto si distingue per la volontà di rendere la cultura un motore di sviluppo sostenibile con un programma articolato lungo l’intero anno, capace di attrarre un pubblico ampio e diversificato. La strategia di investimento è solida e coerente con gli obiettivi, con un impatto atteso significativo sul tessuto socio-economico. Apprezzata inoltre l’integrazione tra istituzioni culturali, sistema museale, universitario e realtà associative, che garantisce una rete solida e partecipativa. La particolare attenzione rivolta ai giovani, non soltanto come fruitori ma come protagonisti del processo creativo, conferma la visione dinamica e inclusiva del progetto. Il dossier soddisfa gli indicatori del bando ponendosi come un modello di progettazione culturale innovativa e condivisa. Il giudizio è eccellente. Pertanto la Giuria all’unanimità, raccomanda come Capitale italiana della Cultura 2027 Pordenone.”
Pordenone beneficerà di un finanziamento di un milione di euro per realizzare le iniziative previste nel dossier di candidatura.
L’iniziativa, promossa dal Ministero della Cultura, mira a valorizzare il patrimonio culturale italiano e a incentivare la progettualità delle città nel segno della cultura come motore di sviluppo e innovazione.
Le altre città finaliste
Alla corsa per il titolo di Capitale italiana della Cultura 2027 hanno partecipato: Alberobello (Puglia), Aliano (Basilicata), Brindisi (Puglia), Gallipoli (Puglia), La Spezia (Liguria), Pompei (Campania), Reggio Calabria (Calabria), Sant’Andrea di Conza (Campania), Savona (Liguria).

La storia del titolo Capitale Italiana della Cultura
Il riconoscimento di Capitale italiana della cultura, istituto nel 2014, è stato detenuto nel 2015 dalle città di Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna e Siena, che hanno condiviso l’esperienza nell’edizione d’esordio che ha attribuito il titolo alle finaliste del titolo di Capitale europea della Cultura vinto da Matera per il 2019. Successivamente è stato attribuito a Mantova (2016), Pistoia (2017), Palermo (2018), Parma per il 2020, poi esteso anche al 2021 a causa dell’emergenza sanitaria, e Procida (2022).
Per il 2023 Bergamo e Brescia hanno condiviso il titolo di Capitale italiana della Cultura, una scelta del Parlamento a favore dei territori duramente colpiti dalla prima fase emergenziale della pandemia da Covid-19. Nel 2024 la Capitale italiana della Cultura è stata Pesaro, la città designata per il 2025 è Agrigento e per il 2026 sarà L’Aquila.
L’antico porto romano
Pordenone è una città dalle origini antiche che risalgono all’epoca romana quando venne fondata come porto fluviale sul fiume Noncello da cui deriva il suo nome originario di Portus Naonis.
Nel Medioevo, grazie alla sua posizione strategica, divenne un importante centro commerciale.
Nel XV secolo passò sotto il dominio della Repubblica di Venezia, che ne influenzò l’architettura e lo sviluppo economico. Successivamente entrò a far parte del Regno d’Italia nel XIX secolo e oggi è un vivace centro industriale e culturale.

Corso Vittorio Emanuele.. Depositphoto
Cosa vedere
Pordenone città vivace di chiara influenza veneziana è tutta da scoprire.
Partiamo da Corso Vittorio Emanuele II la via principale della città, caratterizzata da portici in stile veneziano e palazzi storici con affreschi rinascimentali. È il cuore pulsante di Pordenone, ideale per una passeggiata tra boutique, negozi, caffè storici e ristoranti.
Il Duomo di San Marco è la cattedrale cittadina, che ospita opere d’arte di valore, tra cui dipinti di Giovanni Antonio de’ Sacchis, noto come “Il Pordenone”.
Palazzo Ricchieri, sede del Museo Civico d’Arte è un palazzo del XIII secolo espone una collezione che spazia dal medioevo al XX secolo.
La Galleria Harry Bertoia è uno spazio espositivo dedicato all’arte contemporanea, intitolato al celebre artista e designer originario di Pordenone.
Il Parco Galvani: un’oasi verde nel cuore della città, dove si trova anche la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Armando Pizzinato”.
Castello di Torre: antico maniero medievale oggi sede del Museo Archeologico.
Città vivace di eventi e di cultura
Pordenone è sede di importanti eventi culturali che attraggono visitatori da ogni dove:
Pordenonelegge: Festival del libro con gli autori, che si tiene ogni settembre, trasformando la città in un grande salotto letterario.
Le Giornate del Cinema Muto: Festival internazionale dedicato al cinema muto, considerato uno dei più importanti al mondo nel suo genere.
Dedica Festival: Manifestazione culturale che ogni anno rende omaggio a una personalità di spicco del panorama letterario internazionale.

Cosa mangiare
La cucina pordenonese rispecchia lo spirito della città ovvero essere un connubio perfetto tra i sapori friulani e quelli veneti.
Tra le specialità da non perdere la pitina, salume affumicato realizzato con carne di selvaggina, tipico delle valli pordenonesi.
Il firico caratteristico di tutto il Friuli che è un piatto a base di formaggio Montasio e patate, croccante fuori e morbido dentro. Brovada e muset, un piatto a base di rape fermentate nelle vinacce servite con cotechino e come dessert ecco la tradizionale gubana, dolce a base di pasta lievitata ripiena di frutta secca e spezie e gli strucchi, dolcetti ripieni di noci, pinoli e uvetta.
Dintorni da esplorare
Non solo Pordenone, in provincia meritano d essere visitati Sacile: conosciuta come “Giardino della Serenissima”, per i suoi canali e l’architettura veneziana; Spilimbergo: famosa per la Scuola Mosaicisti del Friuli e il suggestivo borgo medievale; Valvasone: uno dei borghi più belli d’Italia, con il suo castello e un organo antico del Cinquecento; Piancavallo: località di montagna perfetta per sport invernali e trekking estivi.
La scelta di Pordenone come Capitale Italiana della Cultura 2027 è un’occasione unica per scoprire il fascino di questa città e il suo ricco patrimonio artistico, culturale ed enogastronomico.
Un viaggio a Pordenone significa immergersi in un’atmosfera in cui tradizione e modernità si fondono armoniosamente, regalando esperienze autentiche e indimenticabili.
Mar 13, 2025 | Enogastronomia
Mentre in passato la vacanza ideale era spesso associata a località balneari e relax sotto il sole, oggi questo concetto si sta sbiadendo per far posto al ‘coolcation’, ovvero alla ricerca di un viaggio in grado di garantire esperienze significative ed arricchenti, destinazioni uniche e autentiche, dove è possibile immergersi nella cultura locale, partecipare ad attività avventurose all’aria aperta o concentrarsi sul benessere personale in località lontane dall’afa e dalle temperature sempre più alte che si registrano in diverse città.
Una nuova forma del viaggio alimentato dalla crescente consapevolezza sociale e ambientale dei viaggiatori stessi, che desiderano che le loro vacanze abbiano un impatto positivo, sia su di loro che sulle comunità che visitano. Un invito a viaggiare non solo con gli occhi ma con il cuore, aderendo ad un turismo lento e più responsabile, rispettando l’ambiente e le popolazioni locali.
La Polonia è sicuramente una delle mete da prediligere se si è alla ricerca di una vacanza che incarni questo concetto, perché sono numerose le possibilità di scoprire la vera essenza di questo Paese attraverso passeggiate tranquille, percorsi ciclistici e visite, per assaporare momenti preziosi di evasione dalla routine.

Piazza del mercato, Breslavia
Tra castelli, paesaggi pittoreschi e sotterranei
Esplorando la Malopolska e la Bassa Slesia potete visitare castelli storici, ma anche immergervi nella natura e nella cultura della Polonia, unendo passato e avventura. Sono terre ricche di tesori sia da un punto di vista estetico che artistico e ogni tappa offre attività uniche per ogni tipo di viaggiatore.
Se siete amanti della bicicletta, percorrendo la Velo Dunajec (ndr. via ciclabile ad anello di 240 km lungo il fiume Dunajec che da Zakopane conduce fino al punto in cui sfocia nella Vistola) vale la pena fare una tappa al lago Czorsztyn, in Malopolska, nell’estremità meridionale della Polonia. Pur essendo un bacino artificiale creato dalla diga costruita nel 1997 sul fiume Dunajec, le sue acque cristalline, la vista delle montagne Pieniny e Gorce (Monti Tatra) e i rigogliosi boschi che lo circondano appagano la vista e contribuiscono ad un’esperienza sia naturalistica che storica. Sulle sue sponde, infatti, sorgono le rovine del palazzo di Czorsztyn e il castello di Niedzica; quest’ultimo, conservato in perfette condizioni, rappresenta un’importante finestra sul passato e al suo interno si trova un interessante museo che racconta storie affascinanti di battaglie, leggende e cultura locale. La combinazione di bellezze naturali, attività all’aperto e patrimonio culturale rende il Lago di Czorsztyn una meta ideale per una giornata all’insegna dell’avventura e di scorci panoramici perfetti per gli amanti della fotografia.
Non molto lontano da Cracovia, percorrendo a piedi o in bicicletta l’Itinerario dei Nidi d’Aquila sull’altopiano di Cracovia e Czestochowa, anche il Parco Nazionale di Ojcow – una delle aree protette più piccole del Paese – è rinomato per la sua bellezza naturale, il suo patrimonio storico e per le sue formazioni calcaree, grotte, canyon e una ricca biodiversità. Al suo interno, sorge il castello di Pieskowa Skala di epoca rinascimentale, uno dei più suggestivi della Polonia, da cui si ha una vista spettacolare delle pittoresche rocce calcaree dell’altopiano. Delle molte grotte presenti all’interno del parco, visitate la grotta di Lokietek che, oltre alle formazioni di stalattiti e stalagmiti, è anche considerata un importante sito archeologico, con scoperte che risalgono all’età della pietra.
Nella vicina regione della Bassa Slesia, con capoluogo Breslavia, sorge il Castello Ksiaz, la vera ‘perla della Slesia’, una fortezza medievale – tra le più grandi della Polonia – costruita nel XIII secolo sulla cima di una collina, con interni eleganti, giardini e panorami sulla zona circostante. E se la visita di questo castello principesco vi accompagnerà in atmosfera fiabesche, esplorare i sotterranei di Walbrzych e delle aree circostanti vi catapulterà indietro nel tempo. Dai numerosi tunnel e gallerie risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, che servivano da rifugi e per usi militari e industriali e forniscono interessanti dettagli storici, alla città sotterranea di Osowka che, sebbene non sia mai stata completata, offre uno sguardo interessante sulle attività di ingegneria e sui misteri del periodo bellico, alle miniere d’oro e di carbone, per un’immersione unica nella storia di questa regione, e non solo. Da non dimenticare la catena montuosa dei Sudeti, le montagne polacche più antiche situate nel sud della regione, dove si trova il Parco Nazionale dei Monti Tavola che, per la sua struttura arenaria, regala un panorama davvero unico, particolare anche per i labirinti che si sono creati tra i grandi massi e le formazioni rocciose che si sono spostati nel tempo a causa di fenomeni atmosferici e geologici, conosciute come “rocce erranti” (Bledne Skaly).

Una delle chiese di legno
Architettura in legno, una risorsa intrisa di storia
La Polonia è uno dei paesi europei che vanta alcune delle più belle foreste del Vecchio Continente, dislocate su oltre il 30% del territorio, che accolgono una vasta varietà di ecosistemi, da quelle di latifoglie alle conifere e ai faggi, oltre ad una ricca biodiversità. E proprio qui, dove le foreste danzano con il vento e raccontano storie di secoli passati, il legno non è soltanto un materiale, ma è anche un narratore silenzioso di culture, tradizioni e leggende che affondano le radici in un passato ricco e variegato, custode di segreti che si tramandano di generazioni in generazioni.
Cominciate dall’“Itinerario dell’Architettura in Legno” in Malopolska, che include 125 antiche chiese (di cui ben 6 iscritte nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO) e templi in legno dalle slanciate forme gotiche, con tetti spioventi e campanili a punta. Le chiese più antiche risalgono al XV secolo e sono vere e proprie meraviglie architettoniche, integrate perfettamente nel paesaggio montano, testimonianze di un’arte ancestrale, di maestri artigiani dell’epoca che costruivano di solito con legno di larice.
Spostandovi verso la montagna, incontrerete le bacowki, le tradizionali case di legno dei pastori che vivono sui Monti Tatra e sui Monti Pieniny e producono con maestria l’oscypek, un formaggio affumicato con legno di pino silvestre o abete rosso, a base di latte di pecora, unico per la sua particolare forma e per essere decorato personalmente da ciascun pastore (baca) in base al proprio stile.
Anche la Bassa Slesia è conosciuta per la sua ricca storia, cultura e vari aspetti dell’architettura, in particolare per le costruzioni in legno, le cui tecniche variano a seconda delle risorse e delle influenze locali. Oltre a poter osservare vari tipi di edifici e case tradizionali, costruite con travi di legno e dettagli decorativi caratteristici, in questa zona si trovano le Chiese della Pace di Jawor e Swidnica, considerate i più grandi edifici religiosi in legno dell’intera Europa, inserite nel Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, costruite nel XVII secolo e il Tempio Wang a Karpacz, un’altra interessante testimonianza architettonica e culturale che presenta elementi tipici delle stavkirke (tradizione norvegese caratterizzata dalla costruzione in legno senza l’uso di chiodi), come i tetti a più livelli e le decorazioni scolpite, che riflettono una profonda connessione con il patrimonio culturale nordico.
Addentrandosi nella regione Wielkopolska, con capoluogo Poznan, il pittoresco itinerario di antichi mulini offre la possibilità di scoprire tradizioni locali, storia e bellezze naturali. Qui, dove il ritmo della vita era scandito dal suono delle pale che girano, sorgono infatti numerosi mulini a vento storici, che rappresentano un’importante testimonianza del patrimonio architettonico e rurale polacco. Il percorso si snoda attraverso villaggi affascinanti, campi verdi e laghi, per un’immersione totale nella vita agreste della Wielkopolska. Lungo il sentiero, è possibile visitare mulini a vento restaurati, alcuni dei quali sono ancora in funzione, e apprendere di più sulle tecniche tradizionali di macinazione del grano e sulla storia di raccolti abbondanti, di sfide e trionfi della comunità locale.
Che sia a piedi o in bicicletta, le attività all’aria aperta vi permettono di godere della bellezza del paesaggio circostante, da un lato e di arricchire l’esperienza grazie anche a punti di interesse storici e culturali che si incontrano lungo il percorso, per scoprire la cultura e la storia polacche, dall’altro.
Mar 12, 2025 | Enogastronomia
La gastronomia è una parte essenziale di ogni viaggio, perché permette, attraverso i piatti tipici di ogni luogo, di approfondirne la storia, la cultura, le tradizioni e conoscere la sua gente.
Mercati, ristoranti, osterie, bar e bancarelle sono luoghi ideali in cui scoprire e assaggiare ingredienti di ogni tipo e le più svariate tecniche culinarie, spesso ancestrali, capaci di offrire ai viaggiatori una visione unica dello stile di vita della regione. Il turismo enogastronomico è molto cresciuto negli ultimi decenni, diventando un fattore chiave per lo sviluppo economico di tante città e paesi.
Infatti, secondo i dati forniti dal potente motore di ricerca di voli e hotel, www.jetcost.it, otto turisti su dieci si vantano di provare sempre i piatti locali quando sono in viaggio.
C’è da dire però che molti ingredienti e piatti tipici che oggi vengono associati a un paese o a una cultura hanno in realtà origini molto diverse, frutto di migrazioni, colonizzazioni, scambi commerciali o semplici errori. Ecco che così il team del otore di ricerca ha fatto una selezione di alcuni cibi e ricette che hanno infatti un’origine diversa da quella che il loro nome sembra suggerire:

L’omelette francese non è francese
Così com’è conosciuta oggi, non ha nulla di francese.
Sebbene, come per ogni cosa, ne esistano diverse versioni, la più popolare si dice sia nata durante la Guerra d’Indipendenza, in particolare durante l’assedio da parte delle truppe francesi delle resistenti città di Cadice e San Fernando, durato due anni e mezzo.
Data la mancanza di provviste e di cibo, tra cui le patate, le cipolle e altre verdure, la ricetta tradizionale fu semplificata e realizzata solo con le uova e, per distinguerla, fu chiamata proprio “tortilla a la francesa” (frittata alla francese).
Quando la guerra finì e le patate tornarono disponibili, alcuni continuarono comunque a fare la ricetta più semplice e la chiamarono “omelette francese” e oggi è conosciuta semplicemente così.

Insalata russa, inventata da un francese
La ricetta dell’insalata russa può essere preparata con qualsiasi cosa si voglia metterci dentro.
In realtà, la sua origine si deve al cuoco franco-belga Loucien Oliver, che si recò in Russia a metà del XIX secolo e lavorò nelle cucine del ristorante di lusso L’Hermitage di Mosca nel 1860.
È lì che inventò una ricetta di insalata che chiamò Insalata Olivier. Anche se la sua ricetta rimase segreta, è risaputo che tra gli ingredienti c’erano carne di pernice, granchio, caviale, lattuga, patate bollite, olive… e maionese per legare il tutto.
Fu un successo strepitoso tra le classi più agiate, poi però arrivarono la Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione Russa e la povertà dilagante fece sì che venisse preparata con ingredienti molto più umili come patate lesse, carote, piselli e, appunto, maionese. Quando la ricetta si diffuse in tutto il mondo, il nome fu cambiato in “insalata russa”.

Le bistecche alla russa sono effettivamente russe e francesi
Sebbene le “bistecche russe” o “bitoke” siano nate nelle terre del Volga e siano conosciute con questo nome ovunque – tranne che in Russia dove sono chiamate “Kotleta” – sembra che non sia stata un’invenzione propriamente russa; nel corso del XIX secolo, infatti, il gusto e le cucine dei nobili russi furono guidati da rinomati chef francesi e belgi, che crearono diverse ricette fusion, mescolando influenze russe e francesi che sono sopravvissute fino ad oggi, tra cui quella che viene ricordata con il nome di bistecca russa.
È interessante notare che questa bistecca si può considerare un po’ come la mamma dell’hamburger, il più popolare dei cibi americani ma non va assolutamente confusa con esso.
Sebbene entrambe siano fatte con carne macinata, la bistecca alla russa è impanata e ricoperta di farina. Inoltre, alla carne macinata vengono aggiunti cipolla, aglio, pangrattato e latte e si possono mettere anche uova, prezzemolo tritato, sale e pepe. L’hamburger invece è solo di carne macinata, il classico da mangiare rigorosamente in versione panino.

L’hamburger non è nato ad Amburgo
E a proposito di hamburger, la ricetta della carne macinata è arrivata in Germania grazie ai Tartari di origine russa che preparavano la steak tartar, carne macinata cruda condita con spezie. Furono poi gli emigranti tedeschi che, alla fine del XIX secolo, si imbarcarono nel porto di Amburgo per una nuova vita nel Nuovo Mondo.
Così l’hamburger arrivò negli Stati Uniti e si diffuse rapidamente.
Utilizzando la ricetta tedesca, nel 1895 un cuoco di nome Louis Lassen del Connecticut (Usa) preparò il primo hamburger del Nord America.
La prima catena di hamburger al mondo fu White Castle, fondata a Wichita, Kansas, nel 1921 dallo chef Walter A. Anderson. Una curiosità: l’hamburger più caro al mondo costa 5.000 dollari e si chiama “The Golden Boy”, una creazione dello chef Robbert Jan De Veen, proprietario del ristorante olandese De Daltons, situato a Voorthuizen (Paesi Bassi).
Il suo capolavoro contiene, tra gli altri, tartufo bianco, caviale Beluga, formaggio Cheddar, whisky Macallan e manzo wagyu. Ma l’ingrediente più sfarzoso è sicuramente la foglia d’oro, che misura 15 cm di lunghezza e pesa 0,8 kg. Il suo prezzo è imbattibile: 5.000 dollari (4.250 euro). Naturalmente è stato inserito nel Guinness dei primati.

Il tipico croissant francese è nato a Vienna
Durante l’assedio turco della città di Vienna nel 1683, dopo aver conquistato mezza Europa, i turchi iniziarono a costruire un tunnel attraverso le mura della città per intrufolarsi e cogliere di sorpresa il nemico.
Per non essere scoperti lavoravano solo di notte, ma non si erano accorti che anche i fornai lavoravano nelle stesse ore notturne.
Furono questi ultimi infatti a dare l’allarme dopo aver riconosciuto il rumore che facevano i turchi con le loro pale e i picconi, l’intera città e l’esercito riuscirono così grazie a loro a respingere l’attacco dell’invasore, che non ebbe altra scelta che ritirarsi. Per celebrare questa vittoria, i panettieri crearono una focaccia a forma di mezzaluna, il simbolo dell’Islam e della bandiera ottomana.
Altre versioni sostengono che il nome non derivi dalla mezzaluna, ma venga da Croix Sainte, per celebrare la vittoria cristiana. In ogni caso, il croissant era inteso come una vendetta, realizzata grazie all’inestimabile collaborazione dei panettieri; ironicamente era un modo per dire che si era “mangiato un turco”.
I viennesi gli diedero poi il nome di “kipferl”, che fu introdotto alla corte francese all’inizio del XIX secolo dalla regina di origine austriaca Maria Antonietta.
Nel corso del tempo, i fornai francesi adattarono la ricetta originale, utilizzando la pasta sfoglia al posto della pasta lievitata, creando il moderno croissant.
Alcune versioni ambientano la stessa storia nella città di Budapest. Inoltre, anche il cosiddetto panino al latte “svizzero” non proviene dal Paese alpino, ma da un omonimo caffè di Madrid.

La pizza è nata in Italia?
Sembra chiaro che la pizza come la conosciamo noi oggi sia nata a Napoli.
Tuttavia, la sua origine, come focaccia condita con pochi ingredienti, potrebbe risalire a migliaia di anni fa, venire dall’Antica Grecia o anche dall’Egitto o dalla Persia…
Ai tempi di Dario I il Grande (521-500 a.C.), i soldati persiani già mangiavano una focaccia con formaggio fuso e datteri sopra. Pane schiacciato in stile focaccia, con aggiunte simili sopra, si trovano in varie culture mediterranee.
Tuttavia, sembra chiaro che la pizza nelle sue versioni più tradizionali, marinara, con pomodoro, aglio, origano e olio, (ingredienti che si conservano a lungo e che erano facilmente trasportabili dai marinai per i loro lunghi viaggi), e la salsa di pomodoro e mozzarella, provenga dalla città di Napoli, infatti, quest’ultima versione è conosciuta come “Napoletana”.
La tempura è portoghese, non giapponese
Anche se non è esattamente un piatto, ma un metodo di preparazione, la tempura è sempre stata associata alla cucina giapponese: è un tipo di pastella che viene usata per friggere frutti di mare e verdure tagliati in piccoli pezzi in olio a 180 °C per soli due o tre minuti.
Tuttavia, la sua origine è portoghese, come ricorda la parola stessa che sta per “stagione”; si riferisce all’usanza di non mangiare carne e di consumare solo pesce e verdure durante la Quaresima e le vigilie, chiamate in latino “tempora ad quadragesimæ” (“stagione di Quaresima”) dell’anno liturgico cattolico.
I giapponesi lo confusero con il nome del piatto e lo chiamarono così. La tempura fu introdotta nella città portuale di Nagasaki, fondata da marinai portoghesi nel 1569, e insieme a loro i primi ad arrivare in Giappone furono i sacerdoti gesuiti e i missionari della penisola iberica, sia spagnoli che portoghesi.

L’arroz a la cubana non è conosciuto a Cuba
A Cuba si mangia molto riso, un alimento economico e nutriente, ma senza uova fritte, pomodoro e piantaggine, come invece prevede la ricetta dell’arroz a la cubana tanto conosciuta in Spagna.
Il riso bianco è una parte essenziale della dieta cubana e viene utilizzato per accompagnare la carne o i fagioli neri o rossi. Quando gli emigrati spagnoli a Cuba tornarono in Spagna dopo la Guerra d’Indipendenza, soprattutto nelle Isole Canarie, resero popolare la ricetta, aggiungendovi la salsa di pomodoro e chiamandola “arroz a la cubana”. Il suo successo è senza dubbio dovuto alla sapiente combinazione di sapori dolci e salati.

Sushi Set
Sushi, dal Sud-Est asiatico al Giappone
ll sushi è un altro piatto che tutti associano al Giappone.
Tuttavia il concetto di sushi è nato nel Sud-Est asiatico come metodo di conservazione del pesce: il riso veniva cotto, lasciato fermentare e poi si aggiungeva il pesce con un po’ d’acqua, per conservarlo meglio; la cosa curiosa è che si mangiava solo il pesce, mentre il riso veniva scartato.
Questo metodo di conservazione si è diffuso in Cina e poi in Giappone, dove si è evoluto nel sushi come lo conosciamo oggi. Se il Giappone ha perfezionato l’arte del sushi, le sue radici sono diffuse in tutta l’Asia.

La Chimichanga, una rivisitazione americana di un piatto messicano
Infine, passiamo alla chimichanga, un delizioso burrito ripieno di carne e verdure fritte che molti credono sia messicano. Esistono diverse storie sulla sua origine, la più diffusa narra che la chimichanga sia nata negli Stati Uniti, in particolare in Arizona.
Si racconta che Monica Flin, proprietaria di El Charro Café, sia stata spinta dalla nipote mentre teneva in mano un burrito, e questo di conseguenza cadde in una friggitrice con olio bollente; invece di buttarlo, decise di assaggiarlo e siccome lo trovò di un gusto delizioso, decise di brevettare il piatto, facendolo diventare molto popolare.
Inoltre, si racconta che mentre il burrito volava in aria, Monica stava per pronunciare una parolaccia (“chingá”) come imprecazione, ma rendendosi conto che c’erano dei bambini davanti a lei, cambiò la parola in “chimichanga”, dando origine al nome del piatto.