2 Settembre 2023

Riscoperto in Liguria un legume antico: il moco diventa Presidio Slow Food

Un legume molto particolare: minuscolo, irregolare, al tempo stesso antico e adatto alla contemporaneità.
Parliamo del moco delle valli della Bormida, una varietà di cicerchia fino a pochi anni fa pressoché scomparsa, poi riscoperta e ora divenuta Presidio Slow Food.
Una lunga storia, quella del moco: le prime notizie scritte, contenute nell’Archivio di Stato della Repubblica di Genova, risalgono alla fine del ’700, ma si ipotizza che nel savonese, al confine tra le Alpi e gli Appennini, fosse coltivato già nell’Età del Bronzo, quattromila anni fa.
Un legume che, dopo più di mezzo secolo di oblio, torna ad abitare gli orti di un gruppo di produttori liguri, anche grazie a una rara proprietà: la capacità di crescere in scarsità di acqua.

Moco delle Valli della Bormida

Il moco: la cicerchia ligure che rinasce dall’oblio

Rispetto alla cicerchia classica, il moco è più piccolo: i baccelli contengono da uno a tre piccolissimi semi, delle dimensioni tra i 4 e i 6 millimetri.
Una pianta rustica, tenace, resistente ai parassiti e che non soffre i terreni poveri né teme la siccità: per questo motivo, storicamente non è mai mancata negli orti contadini nelle valli attraversate dai tre corsi d’acqua che confluiscono nel fiume Bormida.
«Si seminava, e lo si fa ancora oggi, il centesimo giorno dell’anno, il 10 o l’11 aprile, sessanta giorni più tardi fiorisce e tra la fine di luglio e la metà di agosto si raccolgono i baccelli» spiega Gianpietro Meinero, segretario della Condotta Slow Food Alta Valle Bormida e referente del neonato Presidio.
Il difetto? «Richiede molto lavoro: si semina a mano, si estirpano le erbacce a mano, si raccoglie a mano e non esiste neanche un setaccio che vada bene per tutti i semi, perché hanno dimensioni diverse». 

Moco delle Valli della Bormida. Foto Oliver Migliore, pianta verde

Così, una volta raccolti i baccelli e lasciati ad asciugare al sole per qualche giorno, la prima domenica dopo ferragosto la tradizione vuole che i produttori – quelli che per ora hanno aderito al Presidio sono quattro – si riuniscano attorno a un tavolo e li sgranino a mano.
«I semi più piccoli, quelli che tendono a spezzarsi, vengono macinati e trasformati in farina, con cui si prepara una deliziosa farinata – aggiunge
il referente dei produttori, Elvio Bonino –. Gli altri, ideali per le zuppe, li confezioniamo interi in sacchettini».

Moco delle Valli della Bormida. Foto OliverMigliore, zuppa di mochi

I “mangia mochi”

I quantitativi raccolti sono ancora ridotti: nel 2022, prosegue Bonino, grossomodo la produzione complessiva si è attestata sul quintale.
Ripensando alla situazione di dieci anni prima, quando la coltivazione del moco era praticamente scomparsa, si tratta di un risultato incoraggiante.
«Ho ancora in mente quando mio padre mi parlava del moco, negli anni ‘50 – ricorda Meinero –. Poi, nel 2011, un anziano del paese mi ha detto che possedeva ancora qualche centinaio di semi. Siccome pochi anni prima avevamo avviato con successo il recupero della zucca di Rocchetta (oggi sull’Arca del Gusto, ndr), abbiamo pensato di far lo stesso con il moco: abbiamo dato a un gruppo di amici una trentina di semi ciascuno, il necessario per seminare un metro quadrato di terra, affinché li riproducessero. Così, in breve tempo, siamo arrivati al recupero».
Un passo alla volta, per «riportare in vita una produzione che stava venendo persa» per dirla con le parole di Bonino, anche se non ancora come all’inizio del secolo scorso, quando i fiori di moco, bianchi con screziature azzurre, coloravano le alture di Cairo Montenotte, di Cengio e degli altri paesi della valle Bormida.
«Pensate che noi di Rocchetta, frazione di Cengio, eravamo chiamati “mangia mochi” – conclude Meinero -. Altri tempi, prima che lo sviluppo industriale del secondo dopoguerra, qui da noi in particolare del settore chimico, spopolasse la campagna. Ma ora, finalmente, il nostro legume è tornato».
L’area di produzione del moco delle valli della Bormida comprende i comuni di Cairo Montenotte, Cengio, Millesimo, Dego, Murialdo, Calizzano e Cosseria (Savona).


Ricetta: la farinata di moco

Ingredienti:
150 grammi di farina di moco
400 grammi di acqua
40 ml. di olio extravergine d’oliva
1/2 cucchiaino di sale
rosmarino

Preparazione:

Prima di tutto, mescolare la farina in una ciotola con una fusta a mano, fate un buco al centro, versate l’acqua a poco a poco e girate. versate tutta l’acqua con questo sistema. Girate ed
eliminate la schiuma in superficie con una schiumarola; questo per evitare che in cottura si scurisca.
Poi lasciate riposare il composto coperto con un coperchio per almeno 3 ore; girando di tanto in tanto con la frusta a mano ed eliminando la schiuma.
Questo passaggio è fondamentale per sciogliere la farina di moco e creare un composto omogeneo, privo di grumi.
Al termine del tempo trascorso, unite olio e sale e infine girate molto bene per amalgamare il composto.
Versate in una teglia leggera di alluminio o rame leggermente unta di olio. Se gradite aggiunte il rosmarino:
Infine cuocete la farinata nel forno ben caldo a massima potenza 250° sulla parte bassa del forno per 12 minuti.
Poi trasferite al piano medio alto, continuate la cottura abbassando a 200 gradi finché non diventa bella dorata sulla superficie, circa 15 minuti.


Ricetta: panelle fritte di moco

Ingredienti:
500 grammi di farina di moco
20 grammi sale fino
olio di semi per friggere q.b.
acqua circa 1/4 di litri
prezzemolo un ciuffo

Preparazione:
Versate la farina di moco in una pentola capiente. Aggiungete il sale e mescolate le polveri a secco. Ora versate l’acqua a filo, tenendone indietro una dose e iniziate a mescolare con una frusta in modo che no si creino grumi. Mescolate dal centro verso l’esterno.
Versate lentamente l’acqua rimasta continuando sempre a mescolare. La consistenza in questo momento dovrà essere piuttosto liquida, ma sollevando il composto con un cucchiaio dovrà fare “il filo”.
Tritate il prezzemolo grossolanamente: le foglie dovranno restare quasi intere. Ponete sul fuoco il tegame e mescolate di continuo, quando inizierà ad addensarsi la farina, inizierà la vera e propria cottura, bisognerà mescolare con più energia. Ci vorranno circa 30 minuti perché si arrivi al giusto grado di consistenza.
A quel punto aggiungete il prezzemolo e mescolate ancora per distribuirlo uniformemente
Una volta ottenuto un composto omogeneo spegnete il fuoco. Prelevate un po’ di impasto e utilizzando una spatola stendetelo su un piano di marmo, sino ad ottenere uno spessore di 4-5 mm. Lasciate raffreddare leggermente, in questo modo sarà più semplice.
Rifilate i bordi utilizzando un coltello o un tarocco. Cercate di ottenere un rettangolo preciso alto circa 5 cm 13. Da questo ricavate quindi dei rettangolini larghi circa 10 cm 14.
Ripetete quest’operazione stendendo di fianco altro impasto e realizzate così altre panelle Con queste dosi ne otterrete circa 40.
Scaldate abbondante olio in un tegame. Immergete poche panelle per volta e cuocetele fino a che non saranno dorate, girandole su entrambi i lati. Ci vorranno circa 3 minuti. In questo modo si formerà la classica “camicia” e risulteranno croccanti all’esterno e morbide dentro. Scolatele e trasferitele su carta assorbente.
Proseguite in questo modo la cottura. Una volta fritte le panelle potrete scegliere se gustarle da sole o se utilizzarle per farcire panini. In questo caso consigliamo di inserire 5 panelle per ciascun panino. Ad ogni modo consigliamo di gustarle ben calde

 

 

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