20 Settembre 2024

Monterosa e i segreti del suo autunno

Con l’arrivo dell’autunno al Monte Rosa è tempo di gusto, di saperi antichi, di contemplazione e di momenti da dedicare a se stessi.
Dalla Val d’Ayas alla Valsesia, passando per la Valle di Gressoney, anche quando gli impianti sono in pausa, la natura non si ferma, in tutta la sua potenza prorompente. E mentre le foglie, appena dorate, cominciano ad arricciarsi, è più dolce risalire i sentieri delle tre valli: così diverse, eppure unite dalla stessa magia dell’autunno.   

Musica d’autunno fra le tre valli

Se l’autunno del Monte Rosa fosse una musica, sarebbe certamente una melodia dolce e malinconica, di quelle da tuffo al cuore.
Un Claire de lune di Debussy. Un delicato arpeggio di pianoforte capace di raccontare meglio, molto meglio delle parole, il suono che fanno le foglie quando prima si arricciano, poi si staccano e infine arrivano lievi al suolo.

Ma qualunque sia la vostra playlist autunnale, una volta imboccata la strada che porta verso il massiccio del Monte Rosa dalla Val d’Ayas, dalla Valle di Gressoney o dalla Valsesia, è la bellezza della natura e del paesaggio a mettere tutti d’accordo.
Sono i sapori autentici del territorio ad accordarsi perfettamente a saperi tramandati di generazione in generazione da mani esperte, sottofondo di un coro composto dalle le voci dei locals che si odono più chiare, alternando l’italiano al francoprovenzale e alle parlate walser. Lontano dall’alta stagione, infatti, la vita qui scorre più lenta e gli spazi paiono dilatarsi insieme al tempo: il luogo ideale per una fuga d’autunno dalla frenesia della città, per ritrovare l’equilibrio interiore e per lasciarsi stupire, una volta di più, dalla musica della montagna.
Andiamo a vederle e ascoltarle più da vicino, queste tre valli, a scoprire ciò che le rende uniche e diverse nonostante, sullo sfondo, il profilo sia sempre lo stesso: quello del Monte Rosa, che le sorveglia dall’alto con fascino immutato.


Val d’Ayas: oltre alla lana c’è di più!

Fino a non troppi anni fa, l’allevamento ovino valdostano si concentrava principalmente sulla pecora Rossett, antica razza montana da cui è possibile trarre un’ottima lana, perfetta per tessuti rustici d’arredo o anche per capi d’abbigliamento: proprio quello che ci vuole, per coprirsi dalle prime giornate frizzanti dell’autunno.
Ma ultimamente, sempre più, in Val d’Ayas gli alpeggi si puntellano, d’estate, di bianche nuvolette: sono pecore da latte, quelle della famiglia Bagnod, esempio eccellente di imprenditorialità di montagna e anche di ricerca, per quanto riguarda l’allevamento d’altura.
Resta aperta fino al 1° novembre la loro azienda agricola e agriturismo La Tchavana (parola che in francoprovenzale valdostano indica un fabbricato rurale d’alpeggio), dove ai 2.000 mt di quota dell’Alpe Metsan, sopra Antagnod, è possibile acquistare i prodotti di queste lavorazioni del latte ovino, su tutti il Gran Gessato e il Neige de Brebis, per l’appunto, la neve di pecora, oltre ai grandi classici valdostani come la Fontina D.O.P.
I formaggi vengono conservati in una delle cantine più alte d’Europa: la Crotta de Metsan.
No, qui non si fa il vino: qui a scorrere è soltanto l’acqua della sorgente, che aiuta a mantenere costanti la temperatura e l’umidità di questa grotta naturale, dove le opere d’arte casearia trovano modo di riposare.


Valle di Gressoney: trekking e gusto walser

È stato osservato, in sociolinguistica, uno strano fenomeno: è infatti raro, quasi impossibile, utilizzare la parola “Gressoney” in una frase che non includa anche la parola “toma”. E viceversa.
Sono come sale e pepe, la toma e Gressoney, ma questo certo non vuol dire che da queste parti si mangino solo queste gustose forme d’alpeggio. La deliziosa mocetta di camoscio, l’arrosto di capriolo, e gli sfiziosi Chnéffléné, gnocchetti di uova e farina derivati dalla tradizione walser. La ricetta originale prevede siano accompagnati dalla cipolla brasata, ma sono spettacolari anche conditi con panna e speck.
Gli Chnéffléné sono solo uno degli innumerevoli lasciti di cultura walser custoditi dalla Valle di Gressoney: anche dove non ce li si aspetterebbe, come nel meraviglioso castello che qui fece erigere Margherita di Savoia, dove troviamo la regina ad attenderci in abito tradizionale walser in uno dei suoi numerosi ritratti. È giusto fare un salto qui, prima di lanciarsi alla scoperta di alcuni dei trekking più belli della valle, tra boschi di larici tinti di giallo-arancio-ruggine, molti dei quali attraversano proprio gli insediamenti degli antichi mercanti della valle. Alpenzu Grande e Alpenzu Piccolo, ad esempio, raggiungibili in un paio d’ore di passeggiata non troppo difficile dalla località Tschemenoal, appena a nord di Gressoney-Saint-Jean. Si tratta di due dei pochi insediamenti walser che conservino ancora intatta la loro architettura, essendo stati abitati fino ai primi anni del ‘900 da un centinaio di persone. E la vista sul Monte Rosa, da quassù, non si batte!

Photo credit: feder77 on VisualHunt.com

In Valsesia alla scoperta della “pesca a mosca”

Chi sa cosa vuol dire andare a pesca, conosce bene la perfetta sintonia che deve crearsi tra la natura e l’umano: “ci vuole pazienza”, si sente spesso dire, ma la pazienza non basta. Bisogna conoscere il territorio, la stagionalità, la schiusa degli insetti, il colore e la trasparenza dell’acqua. In Valsesia, infatti, pescare vuol dire pescare a mosca: creare, con sete di vari colori e piume di uccelli, gli insetti più adatti ad attirare le prede. È un’arte ipnotica, un insieme di gesti spontanei e armoniosi finalizzati a presentare le mosche ai pesci in modo naturale. Bisogna trovare la giusta armonia, in un susseguirsi di movimenti morbidi ed eleganti, per posare con cura le mosche, che ai pesci devono sembrare cadute dal cielo, trasportate dalla corrente, pigramente annegate, oppure saltellanti e sfuggenti, effimere.
La stagione più bella per praticare la pesca a mosca è senz’altro l’autunno: la natura si riscopre, nella tranquillità di questa stagione, silenziosa e perfetta non solo per pescare, ma anche per perdersi nella contemplazione di un paesaggio ricco di verde e di acqua.

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