9 Maggio 2024

Nelle viscere del Friuli per scoprire il segreto di Caporetto

Il segreto della celebre battaglia di Caporetto è nascosto dentro le viscere di una montagna.
Ebbene sì, oggi vogliamo raccontarvi una storia che quasi nessuno conosce…


Il mistero del clamoroso errore che ha cambiato la storia

È ormai assodato che il generalissimo Luigi Cadorna e il Comando supremo non capirono i segnali che precedettero l’offensiva.
È quanto scriveva nel 1930 il generale Roberto Bencivenga (dapprima uomo di fiducia di Cadorna, poi in totale rottura, al punto che fu condannato a 3 mesi di fortezza), nel suo fondamentale saggio La sorpresa strategica di Caporetto: «La verità è che le gravi conseguenze dello sfondamento iniziale sul fronte dei corpi d’armata IV e XXVII nell’autunno del 1917 dipesero tutte da una errata impostazione della battaglia da parte del Comando supremo; e non certo perché in esso difettasse la capacità, ma per la ragione che non si rese conto del piano nemico e delle forze da questo predisposte per attuarlo».

il transito dei soldati


I segnali premonitori ignorati

Anche i libri più recenti danno conto dei tanti segnali premonitori, a cominciare dal racconto di tanti disertori, e non si capacitano del perché Cadorna li avesse tanto sottovalutati.
Nel nuovissimoA Caporetto abbiamo vinto”, di Stefano Lucchini, si riporta un’antologia di brani. Quasi a senso unico.
L’offensiva austriaca era più che attesa, era scontata.
Lo scrittore Ardengo Soffici il 22 ottobre 1917 (due giorni prima dello sfondamento delle linee) incontrava Arturo Toscanini a Cormons e così ne scriveva: «I discorsi alla mensa sono stati pieni di buone previsioni; ma si sente che c’è per aria la solita inquietudine che precede tutte le azioni. Ciò irrita il maestro Toscanini, il quale è ancora qui con noi e non sa capacitarsi come si possa dubitare un istante sull’esito della battaglia».


L’attacco atteso dopo il crollo zarista

Ecco, che ci fosse alle porte un grande attacco di tedeschi e austriaci assieme, nell’ottobre 1917 era un luogo comune.
E si comprende: dopo il collasso della Russia zarista (in estate il governo provvisorio di Kerensky aveva ordinato un’offensiva generale che si era risolta in un disastro militare e politico), si dava per scontato che gli Imperi avrebbero tentato la spallata definitiva contro l’Italia per costringere anche noi a una pace separata.
A quel punto la guerra sarebbe finita con la vittoria dei due imperatori. Di contro, gli austriaci erano sul punto di collassare anche loro. Le nazionalità oppresse erano sempre più insofferenti. Si moltiplicavano le diserzioni. E infatti Vienna aveva chiesto aiuto a Berlino.

L’ingresso da cave di Predil

La guerra a una svolta

La guerra era a una svolta, insomma. Ma Cadorna restava convinto che l’offensiva nemica sarebbe avvenuta sulla Bainsizza.
E perciò il 18 settembre 1917 emanò una direttiva per la II e la III Armata, ordinando di prepararsi a contrastare l’attacco.
«Il continuo accrescersi delle forze avversarie sulla fronte Giulia – scriveva il generalissimo – fa ritenere probabile che il nemico si proponga di sferrare quivi prossimamente un serio attacco, tanto più violento quanto più ingenti forze esso potrà distogliere dalla fronte russa dove la situazione sembra precipitare a tutto vantaggio dei nostri avversari».
C’è una formidabile riprova. La guerra era seguita da numerosi giornalisti che oggi definiremmo «embedded».
Uno dei migliori era Rino Alessi, corrispondente di guerra per il quotidiano «Il Secolo» di Milano, direttore Giuseppe Pontremoli, voce ufficiosa di Leonida Bissolati. Socialista riformista e fondatore dell’Avanti!, Bissolati in quel frangente era un politico molto vicino a Cadorna e perciò il «suo» giornalista Alessi ebbe particolari entrature al Comando supremo.
Scrive dunque Alessi nel suo libro “
Dall’Isonzo al Piave. Lettere clandestine di un corrispondente di guerra: «13 ottobre. In una mia precedente (si tratta di lettere private al suo direttore, che aggiravano la censura di guerra, ndr) le dissi della progettata offensiva austro-tedesca contro di noi, sull’altipiano della Bainsizza. Nel giudicare l’eventualità i pareri sono molto divisi».

L’ingresso da Bretto

L’errore fatale

Perché questa convinzione di Cadorna, tanto ferrea quanto errata?
Ce lo spiegano oggi le guide delle Cave di Predil. Uomini, armi e sussistenza vennero spostati qui da altri fronti con uno stratagemma che eluse la sorveglianza dell’esercito italiano, che presidiava il fronte all’altezza di Plezzo.
I rinforzi all’esercito austroungarico infatti giunsero a Plezzo e Tolmino trasportati in treno di notte, nascosti nella boscaglia in modo che i comandi italiani non li scorgessero e trasportati poi a piedi nell’ultimo tratto, fino al fronte.
Per illudere gli italiani che la linea del fronte si stesse smantellando invece che “armando”, durante il giorno gli austro-ungarici facevano transitare in allontanamento da Plezzo e Tolmino treni carichi di uomini e mezzi, occultando invece l’approvvigionamento che avveniva di notte.
Il passo del Predil era ben sorvegliato dagli alpini italiani posizionati sul Monte Nero, conquistato il 16 giugno 1915. Gli austro-ungarici, non volendo palesare le proprie strategie, a partire dall’agosto 1917 evitarono di transitare dal passo, preferendo superare la montagna attraverso la galleria mineraria di Bretto. Passarono per la galleria di Bretto anche i proiettili d’artiglieria carichi di gas che fecero strage nel primo attacco alle trincee.

L’ingresso di Bretto

La galleria di Bretto, il segreto della storia di Caporetto

Là dove per decenni avevano lavorato i minatori delle Cave del Predil, nel 1917, in preparazione della grande offensiva degli Imperi centrali contro il regio esercito d’Italia, una galleria mineraria fu trasformata segretamente in linea ferroviaria e permise il transito di 170 tonnellate di equipaggiamento e di 600 soldati al giorno.
Il traffico attraverso la galleria si svolgeva 16 ore al giorno. I soldati del Kaiser Francesco Giuseppe arrivavano da un lato della montagna, a Raibl (oggi Cave del Predil, in Italia), e di qui, attraverso una galleria mineraria originariamente utilizzata per il deflusso di acqua, giungevano a Bretto (oggi Log pod Mangatrom, in Slovenia).
A raccontare i sotterfugi che furono adottati dall’esercito imperiale per beffare gli italiani, e ad organizzare visite guidate dentro la galleria mineraria di Bretto, scenario principale dei fatti, ci pensano ora il Parco Geominerario e il Museo storico militare “Alpi Giulie” di Cave del Predil (http://www.polomusealecave.coop/?lang=it/).
«La galleria di Bretto si trova a 240 metri sotto il cosiddetto livello zero e, con i suoi 4.844 metri di lunghezza, 2,5 metri di larghezza e 2 di altezza, collega la miniera a Log pod Mangrtom, località slovena ubicata sul versante opposto del Passo del Predil, e che si trova a 626 metri sul livello del mare (contro i 900 metri di Cave). I lavori di costruzione della galleria cominciarono nell’agosto del 1899 e terminarono nel giugno del 1905».
La galleria era stata costruita per consentire lo smaltimento delle acque circolanti nei livelli inferiori della miniera, fu ampliata durante la guerra e dotata di un trenino a trazione elettrica.
Ebbene, nelle settimane che precedettero lo sfondamento gli austriaci vi fecero transitare 270 mila soldati a bordo di 22 mila treni elettrici a scartamento ridotto (la cosiddetta decauville). Era pronta la sorpresa strategica del 24 ottobre.

0 commenti