Le tribù incontattate del Sud America sono circa 80-100 gruppi distribuiti per la maggior parte nel cuore dell’Amazzonia brasiliana che detiene il record di avere la maggior concentrazione al mondo di “incontattati”(circa 70 gruppi), in Perù sempre nella regione amazzonica e in Colombia, Ecuardor, Bolivia e Venezuele davo ci sono poche tribù in zone molto remote.
Come accennato vivono tutti all’interno della foresta amazzonica che garantisce loro un habitat ricco di risorse naturali e difficile da penetrare. Alcune di esse vive invece nella regione semi-arida del Gran Chaco fra Paraguay, Bolivia e Argentina.
Le tribù più note sono gli Yanomami che vivono al confine tra Brasile e Venezuela e sono una delle più numerose dell’Amazzonia, anche se molte delle loro comunità rimangono isolate. Gli Ayoreo-Totobiegosode che vivono nel Gan Chaco sono invece l’unico gruppo indigeno al mondo a vivere in una regione semi-arida.
Gli Mashco-Piro che vivono in Perù nel Parco Nazionale di Manu sono invece conosciuti per la loro mobilità e i loro sporadici incontri con il mondo esterno. Infine degli di nota anche gli Kawahiva una tribù nomade che si sposta costantemente nella foresta del Brasile centrale.
Vivono in piccoli gruppi legati da vincoli familiari come autentici clan dove quasi sempre gli anziani rivestono ruoli di leadership e consiglio.
Sono cacciatori-raccoglitori che usano archi, frecce e trappole per cacciare animali come tapiri, scimmie e uccelli. Alcuni di loro, specie quelli che vivono vicino ai fiumi, sono dediti alla pesca che praticano usando lance o reti. Come raccoglitori mangiano frutta, noci, miele e radici, prodotti fondamentali per la loro dieta. Alcuni di questi gruppi sono nomadi e si spostano spesso alla ricerca di risorse, mentre altri praticano forme primordiali di agricoltura itinerante coltivando manioca, mais e patate dolci in piccole radure. Abitano capanne spesso temporanee fatte di foglie e rami intrecciati da costruite in poco tempo.
I loro abiti sono ridotti al minimo o del tutto inesistenti data la calura e l’umidità della foresta ed usano pigmenti naturali come il rosso dell’urucum o il nero del carbone per dipingersi il corpo, spesso come segno di identità o rituale e si accessoriano con collane, bracciali e orecchini fatti con ossa, semi o piume.
Parlano lingue incomprensibili al mondo esterno e non scritte e sono animisti che credono che ogni elemento della natura, dagli animali agli alberi, abbia uno spirito.
Fondamentale il ruolo degli sciamani che rivestono un ruolo centrale, agendo come guaritori e mediatori tra il mondo naturale e spirituale. In molti di questi popoli si celebrano riti di passaggio all’età adulta che includono tatuaggi, prove di resistenza e digiuni e amano danzare con tamburi e flauti fatti a mano ad accompagnare le danzare.
In Brasile e Perù come fa l’India con i sentilenesi hanno promulgato leggi specifiche per proteggere i territori delle tribù incontattate e garantire il loro isolamento volontario.

Due donne Korowai
Asia
Pochissimi sono i gruppi di tribù incontattate sopravvissute in Africa che si trovano fra Namibia, Botswana, Angola e Sudafrica. I San, o Boscimani, sono una delle popolazioni indigene più antiche del mondo, con una storia che risale a decine di migliaia di anni. Trattasi di cacciatori-raccoglitori nomadi, che dipendono dalla caccia con arco e frecce e dalla raccolta di tuberi e piante selvatiche. Molti di loro sono stati integrati nelle economie moderne, ma alcuni gruppi scelgono ancora di vivere in isolamento, specialmente in aree remote del Kalahari anche se la perdita delle terre tradizionali a causa del turismo, delle riserve di caccia e dell’espansione agricola ha costretto molti a lasciare il loro stile di vita tradizionale.
Nella Repubblica Centrafricana, nella Repubblica Democratica del Congo, del Gabon e del Camerun nella foresta pluviale del bacino del fiume Congo si trovano i numerosi pigmei Ba’Aka che vivono di caccia, pesca e raccolta nella foresta. La loro conoscenza dell’ambiente naturale è straordinaria e sebbene molti di loro abbiano contatti con il mondo esterno, ci sono ancora piccoli gruppi che vivono in isolamento per evitare le pressioni delle società dominanti. La deforestazione, l’estrazione illegale di legname e la caccia di frodo stanno però distruggendo il loro habitat.
Nelle regioni intorno al Lago Eyasi in Tanzania vivono gli Hadza uno degli ultimi gruppi di cacciatori-raccoglitori rimasti in Africa orientale. Alcuni di loro mantengono uno stile di vita tradizionale e limitano i contatti con il mondo esterno, ma anche nel loro caso la perdita di terre a causa dell’agricoltura e del turismo etnografico minaccia la loro autonomia.
Nel Sahara centrale (Niger, Mali, Algeria, Libia) vivono gli Iklan ex schiavi liberati dei Tuareg che si vivono in isolamento volontario in piccoli gruppi praticando pastorizia nomade. Anche essi sono gravemente minacciati in questo caso dai cambiamenti climatici e dai conflitti armati nella regione.
Infine la valle del fiume Omo, nell’Etiopia meridionale ospita diverse tribù indigene, alcune delle quali vivono in isolamento parziale, come i Suri e i Mursi. Entrambe le tribù si dedicano all’agricoltura, alla pastorizia e alla caccia. I loro stili di vita sono fortemente influenzati dalle tradizioni ancestrali. Questi popoli sono minacciati dalla costruzione di dighe, come la controversa diga Gibe III che ha alterato drasticamente l’habitat naturale e il loro accesso alle risorse.
Il comune denominatore di questi popoli è l’essere minacciati dall’uomo moderno che strappa le loro terre per destinarle a parchi nazionali, riserve di caccia o progetti di sviluppo, mentre altri gruppi sono sfruttati come “attrazioni” turistiche dove i turisti fotografano le tribù senza consenso. C’è infine il problema che i contatti col mondo esterno gli ha esposti a malattie a cui questi popoli non hanno sviluppato immunità. Per tutti questi motivi alcuni governi, come quelli del Botswana e della Tanzania, stanno lavorando per proteggere i diritti dei popoli indigeni, anche se l’applicazione è spesso debole.
Infine che ospita alcuni dei popoli incontattati più affascinanti al mondo, principalmente in aree remote della Nuova Guinea e delle sue isole circostanti. Questi gruppi vivono in aree montuose o forestali inaccessibili, preservando culture e tradizioni che sono rimaste sostanzialmente inalterate per migliaia di anni.
Sebbene la maggior parte dei popoli della regione abbia avuto contatti con il mondo esterno, ci sono ancora piccoli gruppi che scelgono di evitare l’interazione con altre società.
Non è un caso quindi che la Nuova Guinea sia una delle regioni più linguisticamente e culturalmente diversificate del mondo, con oltre 800 lingue parlate. Qui vivono i Dani e Yali; alcuni sottogruppi di queste tribù vivono ancora in isolamento negli altopiani centrali esistono inoltre gruppi non contattati in valli difficilmente accessibili nelle zone interne della Papua Nuova Guinea.
Spostiamoci poi nell’Oceano Pacifico occidentale nelle isole Salomone dove sopravvivono alcune comunità in isolamento volontario su isole remote o nelle foreste pluviali interne. Le interazioni con il mondo esterno sono limitate a causa dell’accesso difficile e delle barriere culturali.
Anche questi popoli sono per lo più formati da cacciatori e raccoglitori che operano con archi, frecce, lance e trappole come strumenti comuni. Le risorse della foresta sono essenziali per la loro alimentazione e per la produzione di strumenti e abbigliamento. Vivono in piccoli gruppi o clan comunitari di 10-50 persone, organizzati attorno a relazioni familiari strette. Dominano le credenze animistiche e molte tribù credono che gli spiriti abitino alberi, rocce, fiumi e animali.
Un patrimonio unico da preservare
I popoli incontattati rappresentano un patrimonio culturale unico, testimoniando modi di vita che sono stati preservati per millenni. Proteggere la loro autonomia e le loro terre è cruciale non solo per rispettare i diritti umani, ma anche per preservare una parte importante della diversità culturale globale.
Secondo le organizzazioni che monitorano i popoli indigeni, si stima che ci siano circa 100 gruppi confermati (tribù il cui isolamento è noto e documentato) e circa 50 gruppi ipotizzati, identificati tramite avvistamenti occasionali, resti di accampamenti o segni di attività (come sentieri, coltivazioni, o capanne).
Molti di loro sono entrati anche se sporadicamente in contatto con altri umani ma la scelta di vivere isolati può derivare dall’aver sperimentato in passato conflitti violenti con coloni, cercatori d’oro o altre tribù oppure più semplicemente come mezzo per preservare la propria lingua, religione e tradizioni.
Infine c’è l’impatto per loro drammatico con il mondo moderno: fra epidemie, deforestazione e sfruttamento delle risorse alcune comunità si sono spinte a ritirarsi in zone più remote per sopravvivere.
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