27 Maggio 2025

Ciclismo e turismo: scopri i luoghi iconici del Giro d’Italia

Il ciclismo non è solo sport. È mitologia moderna, fatta di uomini soli al comando, salite epiche, sudore e applausi tra i tornanti.
Il Giro d’Italia non è solo sport. È un pellegrinaggio laico tra paesaggi mozzafiato, borghi scolpiti nella pietra e valli che profumano di storia, di formaggio stagionato e di terra umida.
Seguire il Giro significa viaggiare dentro l’anima più vera dell’Italia, quella fatta di salite impossibili e pranzi in trattoria, di tifosi sui tornanti e campanili all’orizzonte.
Il Giro d’Italia, con la sua maglia rosa e i suoi scenari da cartolina, è molto più di una corsa: è un racconto che attraversa l’anima del Paese, tappa dopo tappa, pedalata dopo pedalata.
In questo viaggio vi portiamo alla scoperta dei luoghi più iconici del ciclismo italiano, dove la storia del Giro si intreccia con la cultura, la natura, la buona tavola e un patrimonio che va celebrato anche senza bicicletta.
Pronti a salire in sella?

Passo dello Stelvio, depositphotos

1 – Stelvio: la salita regina d’alta quota

Chi dice Giro d’Italia, dice Passo dello Stelvio, una montagna che ogni ciclista sogna e teme.
Una strada che si arrampica fino quasi al cielo, scolpita nella roccia, dove l’aria è rarefatta e le leggende si fanno realtà.
È il Passo dello Stelvio che con i suoi 2.758 metri è la salita asfaltata più alta d’Italia e una delle più spettacolari d’Europa.
Lo Stelvio con il suo panorama lunare dalla vetta non è solo un’impresa sportiva: è un’esperienza totale, che unisce paesaggio, memoria storica, cultura alpina e sapori autentici.
Il Passo dello Stelvio fu inserito per la prima volta nel Giro d’Italia nel 1953.
In quella tappa, Fausto Coppi fece una delle sue imprese più leggendarie: attaccò sullo Stelvio, staccò tutti e conquistò la maglia rosa. Non a caso oggi spesso lo Stelvio è designato come “Cima Coppi”, cioè il punto più alto toccato dal Giro in una data edizione.
Anche se in alcune il Giro lo ha dovuto escludere o modificare per neve e maltempo a maggio inoltrato lo Stelvio ha il record di passaggi al Giro con oltre 13 edizioni, dal 1953 a oggi, con presenze memorabili nel 1965, 1975, 1980, 2012, 2014, 2020 e 2022.
L’immagine più iconica sono i 48 tornanti numerati che salgono dal versante altoatesino, visibili come un serpente d’asfalto tra la roccia e il cielo.
Lo si può percorrere dai due versanti.
Quello altoatesino da Prato allo Stelvio fatto di 24,3 km in salita con 1808 metri di dislivello e 48 tornanti è come detto, uno dei percorsi più mitici del ciclismo mondiale; mentre quello Valtellinese con partenza da Bormio è di 21,5 km. con 1550 metri di dislivello e panorami imperdibili su ghiacciai, gallerie scavate nella roccia e valli incontaminate.

Salita al Mortirolo

2 –  Il Gavia e il Mortirolo: l’altare della fatica

Sono le salite sacre del Giro: chilometri di asfalto, tornanti vertiginosi, paesaggi lunari dove il ciclismo si fa epopea. Non sono semplici montagne.
Il Passo di Gavia e il Passo del Mortirolo sono diventati nel tempo altari sacri del ciclismo, dove la gloria si misura in chilometri, dislivelli e battiti accelerati.
Qui il Giro d’Italia ha scritto alcune delle sue pagine più drammatiche e leggendarie.
Il passo del Gavia che unisce Bormio a Ponte di Legno fino a 2.621 metri d’altitudine è uno dei valichi più alti e spettacolari delle Alpi italiane. Un crocevia tra la Valtellina (provincia di Sondrio) e l’alta Val Camonica (Brescia) che si distingue per pendenze irregolari, panorami selvaggi e un clima imprevedibile, anche a fine primavera. Lungo 17,3 km. con un dislivello di 1363 metri e una pendenza media del 7,9% e massima del 16% ha vissuto una delle sue tappe leggendarie nel 1988 con la “Bormio-Val Gardena” quando durante la scalata al Gavia i ciclisti furono colti da una tempesta di neve a -4 °C. Le immagini di atleti semicongelati, avvolti in giornali e mantelle, restano nella memoria collettiva. Vinse Erik Breukink, ma l’eroe fu Andy Hampsten, che resistette al freddo e conquistò la maglia rosa, diventando il primo americano a vincere il Giro. Leggenda vuole che alcuni ciclisti abbiano perso sensibilità alle mani per giorni; alcuni si fermarono, altri continuarono come automi.
Il Gavia è stato incluso nel Giro anche nel 2010, 2014, 2019 e doveva esserci nel 2019 ma fu annullato per neve, a conferma della sua imprevedibilità.
Leggendario è il Mortirolo, considerato una delle salite più dure al mondo dove Pantani costruì le sue imprese con scatti che ancora fanno venire i brividi.
Collega Mazzo in Valtellina a Monno in Valcamonica toccando i 1.852 metri. Se il Gavia è maestoso, il Mortirolo è brutale.
Breve ma micidiale, è considerato la salita più dura d’Italia, per le sue pendenze estreme e il ritmo incessante. Lungo infatti solo 12,4 km con un dislivello di 1300 metri una pendenza media del 10,5% e massima di 18% è una salita che non lascia respirare, senza panorami aperti, immersa nel bosco, è un viaggio interiore.
Lo stesso Lance Armstrong la definì “la salita più difficile che abbia mai affrontato”.
Fra le tappe più leggendarie ricordiamo quella del 1994 da Merano ad Aprica che fu quella della consacrazione di Marco Pantani. Il giovane “Pirata”, allora 24enne, volò sul Mortirolo staccando Indurain e Berzin e segnando l’inizio della sua leggenda. Vinse a braccia alzate e conquistò per sempre il cuore dei tifosi.
Sulla salita oggi si trova un monumento a Pantani: un luogo di pellegrinaggio per ciclisti da tutto il mondo.
Il Mortirolo è stato affrontato anche nel 1996, 2004, 2006, 2008, 2012, 2015, 2019 e 2022, sempre come “tappa regina” del Giro.
Quando entrambe le salite sono incluse in una stessa tappa, il Giro vive le sue giornate più intense e spettacolari come avvenne per la tappa 16 del Giro 2019 che prevedeva Gavia + Mortirolo + Aprica (ma il Gavia fu annullato per neve).
Questo trittico viene spesso definito: “la trilogia dell’inferno alpino”, “il trittico dei Campioni” oppure “l’Università della montagna ciclistica”

verso lo Zoncolan

3 –  Zoncolan: la salita sul mostro friulano

Lo Zoncolan è il mostro moderno del Giro d’Italia. 10 km al 12% medio, con punte al 22% che è comparso nelle tappe della rosea solo nel XXI secolo ma è già entrato nella leggenda.
Il Monte Zoncolan, in Friuli Venezia Giulia, non è solo una salita: è una prova di iniziazione, un luogo mitico dove anche i più grandi hanno vacillato.
Non a caso è soprannominato appunto “Il mostro” per la sua pendenza spietata e la sua aura epica.
Nel Giro moderno è considerato uno degli arrivi in salita più difficili d’Europa, insieme al Mortirolo e all’Angliru (Vuelta).
Situato nelle alpi carniche fra i comuni di Ovaro e Sutrio viene affrontato dai due versanti anche se quello più celebre e brutale è quello che sale da Ovaro con poco più di 10 km e un dislivello di 1210 metri, una pendenza media di quasi il 12% e massima del 22% con arrivo a 1750 metri sul livello del mare.
La salita inizia dolce ma, dopo il paese di Liariis, si impenna senza tregua: sei chilometri di inferno con pendenze costantemente sopra il 15%. È un tunnel nel bosco, senza panorami aperti, dove si combatte solo contro se stessi.
La salita da Sutrio, più pedalabile è invece lunga 13,3 km. e pendenza media del 9% venne affrontata da questo versante per la prima volta nel 2003 e vide vincere Gilberto Simoni che definì la tappa:
“un calvario. Una salita allucinante”. Simoni vinse anche la seconda volta che lo Zoncolan fu affrontato, ma questa volta da Ovaro nel 2007 e rimane nella storia l’unico ad aver vinto da entrambi i versanti. Storica anche la tappa del 2018 che vide la rimonta di Chris Froome che scalò il mostro con una potenza devastante che fu fondamentale per la sua rincorsa alla maglia rosa.mo cicloturistico e spirituale per gli amanti delle sfide estreme.

L’impresa di Coppi

4 – Cuneo-Pinerolo: la tappa eroica 

“Un uomo solo è al comando…” annunciò il cronista Mario Ferretti nel giorno in cui nacque il mito eterno di Coppi.
È forse la tappa più famosa di sempre del Giro d’Italia.
Era il 10 giugno 1949, Fausto Coppi attaccò da solo sulle Alpi e percorse 192 chilometri in solitaria, staccando Bartali e tutti gli altri.
Era la Cuneo–Pinerolo, 254 km di leggenda.

il ponente ligure

5 – La riviera dei campioni: Sanremo e il ponente ligure 

La Liguria ha regalato al Giro paesaggi da cartolina e sprint sotto il sole. Sanremo è iconica, ma tutta la Riviera di Ponente merita: tra fioriture, borghi marinari e focacce dorate.
La Riviera di Ponente, non a caso, con le sue strade panoramiche e i suoi paesaggi mozzafiato, ha sempre rappresentato una sfida affascinante per i ciclisti e molte le tappe che hanno attraversato questa regione offrendo un mix di bellezza naturale e difficoltà tecniche, rendendole tra le più amate e temute del Giro d’Italia.
Il Giro nel 1987 prese il via proprio da Sanremo con un prologo a cronometro individuale di 4 km, vinto da Roberto Visentini. 

Roma – Roma © Federico Di Dio by Unsplash

6 – Roma, Verona, Milano: i grandi arrivi e le città d’arte

Il Giro spesso si conclude in una città simbolo. Roma con i Fori Imperiali, Verona con l’Arena, Milano con il Duomo.
Roma è diventata una delle sedi più suggestive per l’arrivo del Giro, con la sua straordinaria cornice storica. Nel 2018 la tappa finale fu di 115 km con arrivo in Via dei Fori Imperiali; nel 2023 dopo 126 km si concluse sempre sui Fori Imperiali e quest’anno qui il Giro si concluderà il 1° giugno con una tappa che partirà da Roma-EUR, raggiungerà Ostia e terminerà con otto giri nel cuore della città eterna, attraversando i Fori Imperiali e passando vicino al Vaticano, in un omaggio al Giubileo della Speranza.
Verona ha ospitato il gran finale del Giro in diverse occasioni, offrendo l’Arena come scenografia unica. Lo ha fatto nel giro del 1981, 1984, 2010, 2019 e 2022.
Milano è stata per decenni la sede tradizionale dell’arrivo del Giro, con Piazza Duomo come punto d’arrivo simbolico. L’ultimo gran finale nel 2020 con la cronometro finale di 15,7 km da Cernusco sul Naviglio a Milano, vinta da Filippo Ganna. 

le colline piemontesi care a Fausto Coppi

7 – Le strade di Fausto Coppi: il mito nelle colline piemontesi

Castellania, oggi ribattezzata Castellania Coppi, è il borgo natale di Fausto e Serse Coppi.
Qui si trova la Casa Museo Coppi, che conserva cimeli, fotografie e biciclette originali, offrendo un’immersione nella vita del campione.
Il paese è un vero e proprio museo a cielo aperto, con murales e installazioni che raccontano le gesta dei fratelli Coppi.
Per gli appassionati di ciclismo, le “Strade di Coppi” offrono itinerari che ripercorrono i percorsi di allenamento del Campionissimo:
Gran Monferrato: percorso Tortona: 80,4 km attraverso le colline tortonesi.
Percorso Gavi: 69,5 km tra vigneti e borghi storici.
Percorso Ovada: 46,7 km immersi nel paesaggio del Monferrato.
Questi percorsi ad anello permettono di vivere l’emozione delle strade che hanno forgiato la leggenda di Coppi, tra salite impegnative e panorami mozzafiato.
Ogni anno, l’ultimo fine settimana di giugno, si svolge “La Mitica”, una ciclostorica che celebra Fausto e Serse Coppi.
I partecipanti, in sella a biciclette d’epoca e abbigliati con maglie storiche, percorrono le strade dei Colli Tortonesi, rievocando le atmosfere del ciclismo di un tempo.
A pochi chilometri da Castellania, a Novi Ligure, si trova il Museo dei Campionissimi, dedicato a Fausto Coppi e Costante Girardengo.
Il museo espone biciclette, trofei e documenti che raccontano la storia del ciclismo italiano e dei suoi protagonisti.
Le colline piemontesi non sono solo il luogo natale di Fausto Coppi, ma rappresentano un patrimonio culturale e sportivo che continua a ispirare ciclisti e appassionati. Percorrere queste strade significa immergersi nella storia del ciclismo e rendere omaggio a uno dei suoi più grandi eroi.


8 – Il Museo Bartali a Firenze: il cuore e le gambe dell’Italia

Alle porte di Firenze, si trova il Museo Gino Bartali, dedicato all’uomo che fu rivale e amico di Coppi, campione in bici e eroe civile durante la seconda guerra mondiale.
Il Museo del Ciclismo Gino Bartali è un luogo simbolico che celebra non solo le imprese sportive di uno dei più grandi campioni italiani, ma anche i valori di coraggio, umanità e impegno civile che hanno contraddistinto la sua vita.
Situato a Ponte a Ema, frazione di Firenze dove Bartali nacque nel 1914, il museo sorge proprio di fronte alla sua casa natale, rendendo l’esperienza ancora più immersiva.
L’idea di creare un museo dedicato a Gino Bartali prese forma nel 1987, durante i festeggiamenti per il 60º anniversario della S.S. Aquila di Ponte a Ema, la squadra ciclistica che lanciò Bartali nel mondo del ciclismo.
Grazie all’impegno dell’Associazione Amici del Museo del Ciclismo Gino Bartali, il progetto si concretizzò con l’inaugurazione ufficiale il 1º aprile 2006.
Il museo si estende su oltre 1.000 metri quadrati distribuiti su tre piani. Il piano seminterrato: ospita una collezione di biciclette d’epoca, molte delle quali donate da personaggi famosi, che illustrano l’evoluzione tecnica del mezzo.. Il primo piano è tutto dedicato a Gino Bartali, con l’esposizione di biciclette, maglie, trofei, ritagli di giornali e oggetti personali.
Tra i pezzi più significativi, la bicicletta da pista usata da Bartali per vent’anni e la sua ultima bicicletta da gara utilizzata dal 1950 al 1954.
Una sezione è dedicata al fratello Giulio Bartali, anch’egli ciclista, tragicamente scomparso in un incidente di gara.
Il secondo piano presenta una raccolta di biciclette appartenute a grandi campioni del ciclismo italiano, come Fausto Coppi, Giuseppe Olmo, Antonio Maspes, Franco Bitossi, Alfredo Martini e Maurizio Fondriest. Completano l’esposizione una biblioteca/emeroteca, un archivio fotografico e una sala audio/video dove vengono proiettati filmati e interviste.
Oltre ai successi sportivi, il museo rende omaggio all’impegno civile di Gino Bartali durante la Seconda Guerra Mondiale.
Rischiando la propria vita, Bartali trasportò documenti falsi nascosti nella sua bicicletta per salvare numerosi ebrei dalla persecuzione nazista. Per questo gesto eroico, nel 2013 è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem.


9 – L’Eroica: dove il ciclismo diventa poesia

Nata nel 1997 a Gaiole in Chianti per iniziativa di Giancarlo Brocci, L’Eroica è una manifestazione cicloturistica che celebra il ciclismo delle origini.
I partecipanti percorrono strade sterrate con biciclette e abbigliamento d’epoca, rivivendo l’atmosfera delle grandi imprese del passato. L’evento ha contribuito a riscoprire e valorizzare le strade bianche, diventando un punto di riferimento per gli appassionati di tutto il mondo.
Ispirata all’Eroica, la Strade Bianche è una corsa professionistica nata nel 2007.
Con partenza e arrivo a Siena, si snoda su un percorso collinare che include numerosi settori sterrati. Nonostante la sua giovane età, è rapidamente diventata una delle corse più affascinanti del calendario ciclistico, tanto da essere considerata la “sesta Monumento”.
Il Giro d’Italia ha spesso incluso tratti di strade bianche, rendendo alcune tappe memorabili: la 2010: la tappa da Carrara a Montalcino, sotto una pioggia battente, vide Cadel Evans trionfare in un’epica giornata di fango e sterrato. Nel 2021 Egan Bernal conquistò la maglia rosa nella tappa con arrivo a Montalcino, dimostrando grande abilità sui tratti sterrati e anche alcuni giorni fa nell’edizione 2025 la 9ª tappa, da Gubbio a Siena, ha riportato le strade bianche al centro dell’attenzione con cinque settori sterrati negli ultimi 70 km, tra cui il Colle Pinzuto e la Via Santa Caterina, la tappa ha visto Wout van Aert imporsi in una giornata che ha rivoluzionato la classifica generale.
Le strade bianche non sono solo teatro di imprese sportive, ma rappresentano anche un patrimonio paesaggistico unico.
Attraversano colline, vigneti e borghi storici, offrendo scenari mozzafiato e un’esperienza ciclistica autentica. La loro conservazione è fondamentale per mantenere viva la memoria del ciclismo eroico e promuovere un turismo sostenibile e consapevole.

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