L’Italia è un paese ricco di diversità linguistica e culturale, con numerose minoranze linguistiche che rappresentano un patrimonio unico e affascinante.
In questo articolo, esploreremo le minoranze linguistiche italiane, dove si trovano, quali lingue si parlano, tradizioni e origini.
Un cenno doveroso alle minoranze linguistiche più note. C’è quella tedesca in Alto Adige che rappresenta circa il 70% della popolazione. La lingua parlata tedesca qui ha un dialetto specifico chiamato “Sudtirolese”.
C’è poi nella regione del Friuli-Venezia Giulia, al confine con la Slovenia una minoranza linguistica slovena che rappresenta circa il 2% della popolazione. La lingua parlata è lo sloveno, con un dialetto specifico chiamato “Sloveno del Friuli”.
Vi è poi in valle d’Aosta, regione autonoma del nord-ovest Italia, una minoranza linguistica francese che rappresenta circa il 60% della popolazione. La lingua parlata qui è il francese, con un dialetto specifico chiamato “Francoprovenzale”.
C’è poi la minoranza ladina nelle Dolomiti con la lingua parlata dal 4% circa della popolazione. La lingua ladina ha poi diversi dialetti specifici.
Andando al sud concludiamo l’escursus delle minoranze linguistiche in Calabria dove si trova una minoranza linguistica greca (articolo qui) che rappresenta circa l’1% della popolazione. La lingua parlata è il greco, con un dialetto specifico chiamato “Grico”.
Vi sono poi altre micro-minornze tutte da scoprire

La valle dei mocheni in inverno
1 – I mocheni
I Mocheni sono una minoranza linguistica che vive nella valle del Fersina, in provincia di Trento.
La loro lingua, il mòcheno, un dialetto tedesco che si è sviluppato nella valle e che è parlato da circa 2.000 persone.
E’ una lingua antica, dal suono nordico e fiabesco: Un idioma germanico appartenente al ramo bavarese, sopravvissuto nei secoli grazie all’isolamento geografico e all’identità forte della comunità.
Le sue radici risalgono al XIII secolo, quando gruppi di coloni provenienti dal sud della Germania – soprattutto dal Tirolo e dalla Baviera – si stabilirono in questa zona montuosa per lavorare nei boschi e nelle miniere.
Questa migrazione, incoraggiata dai principi-vescovi di Trento, diede vita a una comunità che ha saputo mantenere tradizioni, lingua e costumi propri, pur integrandosi nel tessuto italiano e trentino. La lingua è parlata ancora oggi a Palù del Fersina (Palai en Bersntol), Frassilongo (Garait), Roveda (Oachlait), frazione di Frassilongo, Fierozzo (Vlarötz). Queste località compongono il cuore della Valle del Fersina, chiamata anche Valle dei Mòcheni, che si snoda a est di Trento, sulle pendici del Lagorai.
È una zona riconosciuta come minoranza linguistica storica e tutelata dalla legge italiana.

2 – I walser
I Walser sono una minoranza linguistica che vive nelle Alpi, principalmente in Valle d’Aosta e in Piemonte.
La loro lingua, il walser, è un dialetto tedesco che si è sviluppato nella regione e che è parlato da circa 3.000 persone.
I Walser sono un popolo di origine alemanna che ha messo radici tra le montagne più alte d’Europa, lasciando in eredità una cultura antichissima, una lingua unica e una sorprendente capacità di adattamento all’ambiente alpino.
Il nome “Walser” deriva dal tedesco “Walliser”, cioè “abitante del Vallese”, la regione svizzera da cui questo popolo iniziò a migrare intorno al XIII secolo.
In cerca di nuovi pascoli e terre coltivabili, i Walser attraversarono i passi alpini e si insediarono in alcune delle valli più impervie e isolate delle Alpi italiane, svizzere, francesi e austriache.
Queste colonie alpine conservano ancora oggi le tracce linguistiche e culturali del loro passato con una lingua di origine germanica appunto e un’identità comunitaria fortissima, fatta di solidarietà, architettura funzionale e autosufficienza.
La presenza dei walser si concentra in Piemonte ad Alagna Valsesia, Rima, Rima San Giuseppe, Piode e altre località della Valsesia. In Valle d’Aosta a Gressoney-Saint-Jean, Gressoney-La-Trinité, e Issine. Presenze minori sono anche in Alto Adige.
In queste zone, si parla ancora — almeno tra le generazioni più anziane o grazie a iniziative di recupero — il titsch o toitschu, antiche varianti dell’alemanno superiore, un dialetto tedesco arcaico che è sopravvissuto per secoli grazie all’isolamento geografico.

Tolosa
3 – L’occitano
L’Occitano è una lingua romanza parlata in diverse regioni d’Italia, principalmente in Piemonte e in Liguria.
La comunità occitana italiana è stimata in circa 100.000 persone e ha una cultura ricca e unica. L’occitano, o come lo chiamano localmente, la lenga d’òc è una lingua che racconta di cavalieri e trovatori, di valli selvagge e comunità fiere, e che oggi sopravvive non solo in Francia, dove ha avuto origine, ma anche in Italia, in una manciata di valli alpine del Piemonte e in un paesino della Calabria.
L’occitano nasce nel sud della Francia (Occitania) già nel Medioevo, come lingua d’arte e di cultura: fu la lingua dei trovatori, poeti e musicisti che tra il XII e il XIII secolo crearono un raffinato repertorio di lirica amorosa, molto influente in tutta Europa.
La sua affermazione si intreccia con un’identità culturale forte, legata a territori indipendenti, come la contea di Tolosa e la Provenza.
Dopo la crociata contro gli Albigesi (catarismo), l’occitano cominciò a perdere prestigio in Francia, ma rimase vivo nel linguaggio quotidiano, anche oltre i confini.
In Italia, l’occitano è parlato in una “minoranza linguistica storica” riconosciuta dalla Legge 482/1999. È presente in 14 valli alpine del Piemonte, chiamate Valli Occitane, più un’isola linguistica in Calabria.
In Piemonte si parla nelle seguenti valli: Valle Stura, Valle Maira, Valle Varaita, Valle Po, Valle Bronda, Valle Infernotto, Valle Grana, Valle Gesso, Valle Vermenagna, Valle di Susa (alta), Valle Angrogna, Valle Germanasca, Valle Pellice, Valle Chisone (alta). Territori si trovano tra le province di Cuneo, Torino e in parte Biella, e conservano ancora espressioni linguistiche vive, anche se parlate ormai solo da una parte della popolazione, spesso anziana.
In Calabria, il borgo di Guardia Piemontese, in provincia di Cosenza è una rarità linguistica: qui si parla un dialetto occitano portato nel XVI secolo da esuli valdesi piemontesi in fuga dalle persecuzioni religiose.

Sacra di San Michele , valle di Susa
4 – Il franco-provenzale
Il Franco-Provenzale è una lingua romanza parlata in diverse regioni d’Italia, principalmente in Valle d’Aosta e in Piemonte.
La comunità franco-provenzale italiana è stimata in circa 100.000 persone.. Il franco-provenzale (detto anche arpitano) nasce nel Medioevo come lingua di transizione tra il francese e l’occitano.
Si sviluppa in una vasta area compresa tra la Savoia, la Svizzera romanda e alcune zone dell’Italia nord-occidentale.
Non è un dialetto del francese, né dell’occitano: è una lingua vera e propria, con strutture grammaticali e fonetiche autonome. Le sue prime attestazioni scritte risalgono al XII secolo. Oggi, il franco-provenzale è considerato una lingua minoritaria a rischio di estinzione, ma proprio per questo è diventata simbolo di un’identità locale forte, che unisce le persone alle loro radici.
In Italia, la lingua franco-provenzale si parla in alcune aree montane del Nord-Ovest, e precisamente in Valle d’Aosta è parlata in quasi tutta la regione, soprattutto nei villaggi di montagna, dove convive con il francese ufficiale e l’italiano. In Piemonte: in alcune valli alpine delle province di Torino e di Biella, in particolare nella Valle di Susa (alta e media valle), nella Val Sangone, nella Valle di Viù, nella Valle Orco e Soana, nella Valle Chiusella. In Puglia: a sorpresa, una comunità franco-provenzale esiste anche a Faeto e Celle di San Vito, due piccoli borghi sui Monti Dauni (provincia di Foggia), dove la lingua fu portata da coloni di origine alpina nel Medioevo.
Tutte queste comunità sono riconosciute dalla Legge 482/1999 per la tutela delle minoranze linguistiche storiche.

4 – I cimbri
Sono una comunità linguistica tedesca che vive nelle province di Vicenza e Verona, in Veneto.
La loro lingua, il cimbro, è un dialetto tedesco che si è sviluppato nella regione nel corso dei secoli. Le loro origini risalgono al XII-XIII secolo, quando gruppi di coloni provenienti dalla Baviera e dal Tirolo si insediarono nelle zone montane del Veneto e del Trentino, invitati dai signori locali per popolare e coltivare terre difficili da abitare.
Parlavano un antico tedesco meridionale che, isolato dal tempo e dalla geografia, si è trasformato in una lingua autonoma: il cimbro.
La lingua cimbra sopravvive oggi in tre aree principali dell’Italia settentrionale, in borghi alpini e prealpini: Altopiano di Asiago – Sette Comuni (Veneto), Luserna/Lusérn (Trento) è l’unico comune dove il cimbro è ancora parlato da una parte della popolazione ed è ufficialmente tutelato.A Roana, Mezzaselva, e altri borghi dei Sette Comuni mantengono viva la memoria linguistica.
La sopravvivenza del cimbro è dovuta all’isolamento geografico e alla forte identità culturale di questi villaggi montani. Le difficili condizioni ambientali e la distanza dai centri urbani hanno preservato per secoli lingua, usanze e tradizioni. Con il tempo, però, la lingua si è fortemente ridotta a causa dell’emigrazione e della pressione dell’italiano e del dialetto veneto.
Oggi il cimbro è parlato fluentemente da poche centinaia di persone, ma sono attivi numerosi progetti di recupero e valorizzazione linguistica e culturale.

Feste e cibo in Carinzia. Foto: carinzia.at S_KaerntenWerbung_Brotb
5 – I carinziani
I Carinziani: una comunità linguistica slovena che vive nella provincia di Udine, in Friuli-Venezia Giulia. La loro lingua, lo sloveno carinziano, è un dialetto sloveno che si è sviluppato nella regione nel corso dei secoli.
I Carinziani sono una minoranza germanofona di antiche origini, presenti in particolare nella Val Canale e nella Val Bartolo, tra i comuni di Tarvisio, Malborghetto-Valbruna e Pontebba, in provincia di Udine.
Sono i discendenti degli antichi coloni carinziani e bavaresi giunti in queste zone a partire dal X secolo, quando la regione era sotto l’influenza del Ducato di Carinzia (oggi parte dell’Austria meridionale). Oggi, i Carinziani sono riconosciuti come minoranza linguistica tedesca in Italia e tutelati dalla Legge 482/1999 sulla protezione delle lingue storiche.
La varietà linguistica parlata dai Carinziani è un dialetto del tedesco bavarese meridionale, fortemente influenzato dall’italiano, dallo sloveno e dal friulano. Questo idioma si conserva in alcune famiglie e in contesti tradizionali nei comuni di Tarvisio (Tarvis), Malborghetto-Valbruna (Malborgeth-Wolfsbach), Pontebba (Pontafel).
Nonostante la diminuzione dei parlanti nativi, negli ultimi anni si è assistito a una rinnovata attenzione per il recupero linguistico attraverso iniziative scolastiche, eventi culturali e festival locali.
La persistenza della lingua è legata alla storia geopolitica della regione, che per secoli è stata parte del mondo germanico (Ducato di Carinzia, Impero Asburgico). L’isolamento montano e la vicinanza con l’Austria hanno favorito la conservazione delle tradizioni linguistiche, nonostante i cambiamenti politici del Novecento. Durante il fascismo e il secondo dopoguerra, la lingua fu ostacolata e stigmatizzata, ma oggi è parte integrante della ricchezza culturale del Friuli orientale.

Alghero
5 – I catalani d’Alghero
Una comunità linguistica catalana che vive nella città di Alghero, in Sardegna.
La loro lingua, il catalano algherese, è un dialetto catalano che si è sviluppato nella città nel corso dei secoli. Ad Alghero anche nella toponomastica risuona un’antica lingua, un idioma unico, parlato da una comunità fiera delle proprie origini, che rende Alghero una delle mete più affascinanti della Sardegna non solo per il mare, ma per la sua cultura viva.
Il catalano ad Alghero è il risultato di un episodio storico preciso. Nel 1354, dopo la conquista della città da parte della Corona d’Aragona, il re Pietro IV il Cerimonioso decise di ripopolare Alghero con coloni catalani provenienti da Barcellona e da altre zone della Catalogna, dopo aver cacciato parte della popolazione sarda e genovese. Fu un vero e proprio “trasferimento culturale” che ha lasciato un’impronta duratura: nella lingua, nell’architettura e nelle tradizioni.
Il catalano è parlato unicamente nella città di Alghero, in provincia di Sassari, nella costa nord-occidentale della Sardegna. Si tratta di una varietà del catalano medievale che ha subito influenze dal sardo e dall’italiano, ma che mantiene ancora oggi una struttura riconoscibile come catalana.
Il catalano d’Alghero è riconosciuto come lingua minoritaria storica dalla Legge 482/1999, e protetto da iniziative di tutela linguistica a livello regionale e internazionale (grazie anche al supporto della Catalogna).

San Pietro
6 – I tabarchini
I Tabarchini sono una comunità linguistica ligure che vive in Sardegna. La loro lingua, il tabarchino, è un dialetto ligure che si è sviluppato nella regione nel corso dei secoli.
Una lingua che arriva da molto lontano: il tabarchino, variante del ligure genovese, viva e parlata a Carloforte (nell’isola di San Pietro) e a Calasetta (nell’isola di Sant’Antioco), nel sud-ovest dell’isola. Due comunità che custodiscono una storia affascinante di migrazioni, scambi e radici forti.
La storia del tabarchino affonda le radici nel XVIII secolo, ma parte da molto prima. Tutto comincia a Pegli, oggi quartiere di Genova. Da lì, nel ‘500, un gruppo di famiglie di pescatori e commercianti si trasferisce nella piccola isola di Tabarca, al largo della Tunisia, per dedicarsi alla pesca del corallo sotto la protezione della Spagna. Quando, nel 1738, la colonia cade sotto il controllo dei pirati, queste famiglie vengono salvate da Carlo Emanuele III di Savoia, che offre loro una nuova casa: la disabitata isola di San Pietro in Sardegna.
Nasce così Carloforte e, poco dopo, la colonia di Calasetta. Il tabarchino è la lingua dei coloni liguri di Tabarca, che hanno conservato il dialetto genovese per secoli, adattandolo ma senza mai dimenticarne le radici. Oggi a Carloforte (Isola di San Pietro) e a Calasetta (Isola di Sant’Antioco) il tabarchino è lingua viva: si parla in famiglia, nei negozi, per strada. Viene anche insegnato nelle scuole, usato nei teatri, cantato nelle feste tradizionali. A Carloforte, in particolare, la lingua è motivo di forte orgoglio identitario.

Acquaviva Collecroce
7 – I croati del Molise
Una comunità linguistica croata vive nella regione del Molise. La loro lingua, il croato molisano, è un dialetto croato che si è sviluppato nella regione nel corso dei secoli.
Tra le colline molisane che scendono verso l’Adriatico, c’è questa comunità che parla ancora una lingua slava antica e canta canzoni che ricordano la Dalmazia: sono i Croati del Molise, minoranza linguistica riconosciuta, custodi di una cultura secolare che continua a vivere nei paesi di Acquaviva Collecroce (Živavoda Kruč), Montemitro (Mundimitar) e San Felice del Molise Štifilić). Tre borghi poco noti, ma unici, dove la lingua croata si è conservata per quasi cinque secoli.
Un viaggio qui è una piccola immersione in un mondo a parte, tra tradizioni, accenti balcanici e storie di migrazione e resistenza.
L’arrivo dei Croati nel Molise risale al XV secolo, in seguito alle invasioni ottomane nei Balcani. Molti croati, per sfuggire ai turchi, attraversarono l’Adriatico e trovarono rifugio nelle terre abbandonate del Regno di Napoli.
Fu allora che furono accolti nelle aree rurali del Molise, spesso in borghi spopolati, dove portarono con sé la lingua, la religione cattolica e i costumi tradizionali. La loro lingua, un antico dialetto slavo chiamato localmente “naš jezik” (“la nostra lingua”), si è evoluta nei secoli in modo indipendente rispetto al croato standard e rappresenta oggi una rarissima varietà arcaica, un vero fossile linguistico vivente.
Il croato molisano è parlato ancora oggi, anche se da una comunità sempre più ridotta in questi trre piccoli comuni dove si trovano insegne bilingui, iniziative culturali, associazioni linguistiche e persino scuole che organizzano laboratori in lingua croata. La lingua è tutelata dalla Legge 482/1999 sulle minoranze linguistiche storiche.

Paesaggio delle Langhe
8 – I greci di Boves
I Greci di Boves: una comunità linguistica greca che vive nella città di Boves, nelle Langhe in Piemonte.
La loro lingua, il greco bovese, è un dialetto greco che si è sviluppato nella regione nel corso dei secoli. Un tesoro poco conosciuto che si parla in questo piccolo borgo piemontese che custodisce infatti un patrimonio linguistico e culturale unico, un vero e proprio ponte tra il Piemonte e l’antica Grecia.
Il nome “Greci di Boves” deriva dalla presenza storica di una minoranza linguistica di origine greca, la cui lingua appartiene al gruppo delle lingue ellenofone, affini a dialetti greci tradizionali.
La loro radice risale a migranti che, probabilmente nel corso del Medioevo o in epoche successive, si stabilirono in queste zone portando con sé usi, costumi e soprattutto la lingua.
La lingua parlata dai Greci di Boves è un dialetto di origine greca, un unicum linguistico che si è mantenuto vivo grazie alla trasmissione orale e alle tradizioni familiari, anche se oggi è a rischio di estinzione e viene tutelato come patrimonio culturale.
Non si tratta di una lingua parlata diffusamente come nelle zone della Calabria grecanica o del Salento, ma di un patrimonio culturale molto prezioso per la storia locale e per la valorizzazione delle minoranze linguistiche.

San Demetrio Corone
9 – I arbëreshë
Una comunità linguistica albanese che vive principalmente in Calabria, Campania e Sicilia.
La loro lingua, l’arbëreshë, è un dialetto albanese che si è sviluppato nella regione nel corso dei secoli grazie alla comunità di origine albanese-greca che ha saputo conservare gelosamente la propria lingua, cultura e tradizioni per oltre cinque secoli.
Gli Arbëreshë sono discendenti di profughi albanesi e greco-albanesi (arvaniti) che, a partire dal XV secolo, fuggirono dall’avanzata ottomana nei Balcani.
Molti di questi migranti portarono con sé una lingua unica, l’arbëreshë, un dialetto albanese antico arricchito da influenze greche, che si distingue dall’albanese moderno.
Questa lingua, insieme al rito bizantino-cattolico (una variante del cristianesimo orientale), è il cuore pulsante dell’identità arbëreshë, custodita in oltre 50 comunità sparse tra Italia meridionale e Sicilia.
L’arbëreshë si parla principalmente in piccoli borghi di Calabria (come San Demetrio Corone, Lungro, Civita), Sicilia (Piana degli Albanesi, Contessa Entellina), Basilicata (Barile, Ginestra) e Puglia (Chieuti, Casalvecchio di Puglia).
Questi luoghi non sono solo abitati da comunità che parlano ancora la lingua, ma sono veri e propri musei viventi dove si può scoprire una cultura millenaria fatta di musica, danza, feste religiose e artigianato tradizionale.

Carpignano Salentino
10 – I griko
Nel profondo Sud Italia, tra le coste della Puglia e della Calabria, si cela un tesoro linguistico e culturale unico: la comunità dei Griko.
Questi abitanti conservano una lingua e tradizioni che affondano le radici nell’antica Magna Grecia, l’epoca in cui le colonie greche fiorivano lungo le coste italiane.
La lingua grika (o grecanico) è un dialetto greco antico, che discende direttamente dal greco bizantino e, in parte, dal greco antico.
È la testimonianza vivente di una presenza greca millenaria in Italia meridionale, iniziata con le colonie della Magna Grecia, circa 2500 anni fa. Nel corso dei secoli, nonostante dominazioni e cambiamenti, le comunità griko hanno mantenuto intatto questo patrimonio linguistico, tramandandolo oralmente da generazioni.
Il griko è parlato principalmente in due aree: nella Grecia Salentina, nel Salento (provincia di Lecce, Puglia), dove si trovano borghi come Calimera, Martano, Soleto e Carpignano Salentino. e in Bovesia (o Terra dei Greci), in Calabria, con centri come Roghudi, Condofuri e Gallicianò.
Questi paesi sono l’ultimo rifugio di questa lingua che rischia l’estinzione, ma che continua a vivere attraverso feste, musica e poesia.

La val Canale
11 – I carniolani
Nel cuore del Friuli Venezia Giulia, tra montagne, colline e vallate, si trova la comunità dei Carniolani (o Carnioli), un gruppo etnico di origine slovena che conserva una lingua e tradizioni uniche, frutto di secoli di storia e contatti culturali.
La lingua dei Carniolani è una variante del sloveno carniolano (in sloveno: karniolska slovenščina), un dialetto appartenente al gruppo delle lingue slave occidentali.
Questa lingua affonda le radici nell’antico sloveno parlato nell’area storica della Carniola, una regione storica oggi in gran parte corrispondente alla Slovenia centrale.
Il carniolano è stato mantenuto vivo grazie alla vita di comunità isolata e alle tradizioni orali, trasmesse di generazione in generazione, nonostante le frontiere e i cambiamenti politici.
Il carniolano è parlato principalmente nelle zone montane e collinari del Friuli Venezia Giulia, in particolare nella Val Canale, Val Resia e in alcune località della provincia di Udine.
La comunità carniolana è minoritaria ma fortemente radicata, e i suoi abitanti continuano a parlare questo dialetto nelle case e durante le festività tradizionali.

La val Resia
12 – I resiani
Nascosti tra le valli montuose del Friuli Venezia Giulia, i Resiani rappresentano una comunità affascinante, custode di una lingua e di tradizioni che hanno resistito al tempo e alle influenze esterne, mantenendo viva una forte identità culturale.
La lingua dei Resiani è un dialetto sloveno, appartenente al gruppo dei dialetti sloveni delle Alpi Giulie. Chiamata comunemente resiano, questa lingua si distingue per le sue caratteristiche fonetiche e lessicali uniche, che la rendono molto diversa dallo sloveno standard.
Il resiano nasce come lingua di una comunità isolata geograficamente, nella valle del Resia, dove il contatto con altre popolazioni è stato limitato nel corso dei secoli, favorendo la conservazione di elementi arcaici della lingua slovena e una sua evoluzione autonoma.
Il resiano è parlato esclusivamente nella Val Resia, una valle alpina situata nel cuore del Friuli Venezia Giulia, vicino al confine con la Slovenia.
Questo territorio montano, verde e incontaminato, è l’ultimo baluardo di questa lingua antica, che oggi conta pochi parlanti ma continua a vivere attraverso l’impegno della comunità locale.

La val Camonica
13 – I camuni
Nascosti tra le valli delle Alpi lombarde, i Camuni rappresentano una delle popolazioni più antiche e affascinanti d’Italia, famosi soprattutto per le straordinarie incisioni rupestri che raccontano la loro storia e cultura.
La lingua dei Camuni è un dialetto lombardo, appartenente al gruppo delle lingue gallo-italiche. Oggi il camuno non è più una lingua separata ma si manifesta soprattutto nei dialetti parlati in Val Camonica, influenzati dal lombardo, con tracce di antico retico e elementi celtici che testimoniano la lunga storia della valle.
Anticamente, i Camuni parlavano lingue pre-romane, legate probabilmente alle popolazioni retiche e celtiche che abitavano la valle prima della romanizzazione. Con il tempo, la lingua si è evoluta incorporando elementi latini e, successivamente, lombardi.
Il camuno si parla in Val Camonica, una vasta valle che si estende per circa 90 km nella provincia di Brescia, in Lombardia. Questa valle è celebre per i suoi paesaggi montani e soprattutto per il sito archeologico di Naquane, patrimonio Unesco, con migliaia di incisioni rupestri preistoriche.

Val Divedro
14 – I lepontini
Nel cuore delle Alpi occidentali, tra il Piemonte e la Lombardia, si trovava l’antico popolo dei Lepontini, un popolo celtico-retico che ha lasciato tracce indelebili nella storia, nella cultura e nei paesaggi alpini.
Oggi, conoscere i Lepontini significa esplorare un patrimonio archeologico e culturale ricco di fascino e mistero.
La lingua dei Lepontini apparteneva al gruppo delle lingue celtiche antiche, più precisamente era una lingua celtica continentale, riconducibile alle popolazioni galliche e retiche che abitavano le Alpi e le aree limitrofe. I Lepontini sono noti anche per le iscrizioni in alfabeto lepontico, un sistema di scrittura unico e ancora parzialmente decifrato, utilizzato tra il VI e il I secolo a.C.
Questo alfabeto è una variante locale del più ampio gruppo di alfabeti italici, con influenze dalla scrittura etrusca e greca, e rappresenta una delle prime testimonianze scritte della lingua celtica in Italia.
I Lepontini abitavano la zona alpina tra il Verbano, il Lago Maggiore, la Val Divedro e le valli limitrofe della Lombardia e del Piemonte, soprattutto nelle attuali province di Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli. Le testimonianze archeologiche e le iscrizioni lepontiche sono rinvenute in queste aree, che oggi sono mete di turismo culturale e naturalistico.

Sauris
15 – I faetani
Nel cuore della Carnia, tra le Alpi friulane, esiste una comunità che da secoli parla una lingua diversa da quella circostante: sono i Faetani, abitanti della piccola frazione di Sauris (in tedesco Zahre) e di Timau (località di Paluzza), in provincia di Udine.
In questi luoghi remoti e suggestivi si parla una variante dell’antico tedesco, che ancora oggi risuona tra le montagne, testimone di un’eredità culturale sorprendente.
La lingua parlata dai Faetani è una variante del tedesco bavarese antico, appartenente al ceppo alto-tedesco, che ha avuto origine nel Medioevo.
Secondo la tradizione e gli studi linguistici, i loro antenati sarebbero arrivati nel Friuli montano nel XIII secolo, probabilmente da aree dell’attuale Tirolo o Carinzia, per colonizzare queste terre isolate.
Il tedesco parlato a Sauris è conosciuto come Zahreisch, mentre a Timau si parla una variante simile chiamata Tischlbongarisch. Queste lingue sono considerate isole linguistiche germanofone in territorio italofono e friulanofono, e sono classificate come lingue alloglotte storiche dallo Stato italiano.
La lingua faetana sopravvive soprattutto nei due piccoli centri: Sauris/Zahre, un comune montano incastonato tra le vette delle Dolomiti Friulane. Qui si parla una versione locale del tedesco con forti influenze friulane e italiane. Timau/Tischlbong, frazione del comune di Paluzza, dove è parlata una varietà simile, anche se leggermente diversa nel lessico e nella pronuncia.
In entrambe le località, oltre al dialetto tedesco, si parlano anche il friulano e l’italiano, rendendo la popolazione trilingue.



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