Fungo; il re del bosco

Fungo; il re del bosco

Il re del bosco, specie in questo periodo autunnale è indubbiamente il fungo. E’ indubbiamente un organismo affascinante che peraltro svolge una funzione fondamentale nell’equilibrio degli ecosistemi naturali.
Un prodotto della natura straordinario che affascina col suo mistero dato che non è nè una pianta nè un animale ma un organismo biologico a parte definito 
eucarioto ovvero che le sue cellule hanno un nucleo ben definito. I funghi possono essere unicellulari (come i lieviti) o pluricellulari. Gli organismi eucrarioti includono oltre ai funghi (sia commestibili che velenosi anche lieviti, muffe e le specie parassite.
Non essendo piante, i funghi quindi non fotosintetizzano ma si nutrono assorbendo sostanze dall’ambiente esterno.
Sono creature eterotrofe, ovvero ottengono energia dalla decomposizione della materia organica ecco perché abbiamo accennato che sono elementi chiave negli ecosistemi naturali, poiché aiutano a decomporre materiali organici come foglie, legno e altri resti vegetali e animali, restituendo nutrienti essenziali al suolo.

Foto di Jürgen da Pixabay

Visti da vicino

Foto di Šárka Jonášová da Pixabay

Buoni si, ma è necessario fare sempre attenzione

Per secoli, l’uomo ha cercato di distinguere i funghi commestibili da quelli velenosi osservando il comportamento degli animali.
Nel Medioevo i gatti venivano usati come cavie per capire se un fungo fosse sicuro; in seguito, si osservava se il fungo venisse mangiato da insetti, lumache o altri piccoli animali selvatici.
Si credeva persino che i funghi con anelli sul gambo fossero sempre commestibili. Tuttavia, queste credenze si sono dimostrate pericolose: l’Amanita phalloides, uno dei funghi più velenosi al mondo, è spesso consumata dalle chiocciole e presenta un vistoso anello, smentendo così l’affidabilità di tali metodi.
Nemmeno il profumo è un indicatore di sicurezza: alcuni funghi tossici possono avere infatti un aroma gradevole.
L’unico modo sicuro per raccogliere funghi è limitarsi a varietà conosciute e sottoporli al controllo di esperti micologi prima del consumo.

Foto di Andreas da Pixabay

Alcune curiosità

Il fungo più grande mai scoperto è un esemplare di “fungo del miele” ovvero l’Armillaria ostoyae, che si estende per circa 9 km quadrati in un bosco dell’Oregon (USA). È considerato uno degli organismi viventi più grandi al mondo.
Alcuni funghi sono bioluminescenti ovvero emettono una luce naturale al buio. Caratteristica questa che era nota anche nell’antichità e che ha dato origine a leggende su funghi incantati che brillano nella notte.
Nota a parte per il tartufo, uno dei funghi più pregiati al mondo, che era già apprezzato dai Romani per le sue qualità afrodisiache.
Il suo aroma particolare e inconfondibile ha reso il tartufo uno dei prodotti gastronomici più lussuosi e ricercati.

Foto di Valter Cirillo da Pixabay

La passione per la raccolta fai da te

In molte culture, i funghi sono considerati un ingrediente prezioso, grazie al loro sapore intenso e alla loro versatilità in cucina.
Ogni regione ha la sua tradizione legata alla raccolta e alla preparazione dei funghi. In Italia, ad esempio, la raccolta dei funghi è una vera e propria passione ed adesso sono in molti ad andare per boschi.
La raccolta dei funghi è un’attività antica che unisce passione per la natura e cultura gastronomica. In molte regioni italiane, ci sono regolamentazioni severe sulla raccolta, sia per proteggere l’ecosistema che per la sicurezza dei cercatori; questo perché, come abbiamo visto, molti funghi commestibili possono essere confusi con specie velenose, a volte mortali.
La tradizione della raccolta si tramanda spesso di generazione in generazione e in tantissimi nel periodo propizio, specie nei piccoli borghi si alzano all’alba ma anche in piena notte per cercare i funghi nei boschi.
Il Porcino (Boletus edulis) è tra i più amati, apprezzato per il suo gusto e la consistenza carnosa.

Foto di Ralph da Pixabay

Sua maestà il porcino

Conosciuto scientificamente come Boletus edulis, il porcino è spesso considerato il “re dei funghi” per via delle sue dimensioni, del sapore prelibato e dell’importanza che riveste nella cucina e nelle tradizioni italiane e mondiali.
La sua fama è tale che in autunno, stagione di raccolta, viene celebrato in numerose sagre e feste popolari in tutta Italia. Scopriamo insieme la storia, le curiosità e le leggende legate a questo fungo così speciale.
Già i Romani avevano una grande passione per i funghi, e il porcino era tra i più ricercati. Lo storico latino Plinio il Vecchio, nel suo “Naturalis Historia”, descriveva i funghi come cibo prelibato, sebbene ci fosse già consapevolezza dei pericoli di alcuni funghi velenosi. Il nome “porcino” sembra derivare dal latino “suillus”, che significa “di maiale”, poiché si riteneva che i cinghiali fossero particolarmente golosi di questi funghi.
Ancora oggi sono cercati non solo dagli appassionati umani, ma anche da cinghiali e animali selvatici che ne apprezzano il gusto ricco e nutriente.
Esistono diverse specie di porcini, ma la più famosa e prelibata è la Boletus edulis. Un fungo questo che cresce principalmente nei boschi di latifoglie e conifere, soprattutto in zone collinari e montane, in Europa, Asia e Nord America.
In Italia, è diffuso in quasi tutte le regioni, ma è particolarmente abbondante nelle zone montuose e boscose di Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna e Trentino-Alto Adige.
Può raggiungere dimensioni notevoli, con cappelli che arrivano a un diametro di 25-30 cm e un peso di oltre 1 kg; la sua carne è carnosa e bianca e rimane compatta anche dopo la cottura, il che lo rende ideale per numerose preparazioni culinarie.
Una delle peculiarità del porcino è che non può essere coltivato come gli champignon o i pleurotus. Cresce solo spontaneamente grazie a una simbiosi con le radici degli alberi (una relazione chiamata micorriza), il che lo rende un fungo selvatico per eccellenza e quindi ancora più prezioso e difficile da reperire.
Oltre al suo sapore inconfondibile, il porcino è anche nutriente essendo ricco di fibre, vitamine del gruppo B, potassio; contiene anche una buona quantità di proteine che lo rendono un alimento apprezzato nelle diete vegetariane e vegane; inoltre ha un basso contenuto calorico.
In alcune leggende antiche, i porcini venivano considerati un dono delle divinità.
Si credeva che crescessero nei boschi dove gli dei avevano camminato o lasciato segni della loro presenza; questo spiegherebbe la loro apparizione improvvisa e misteriosa, soprattutto dopo una pioggia estiva, evento che per secoli ha affascinato i raccoglitori.
Secondo alcune credenze popolari, specialmente nei villaggi di montagna in Italia, raccogliere porcini in determinati giorni o in certi periodi del calendario lunare portava fortuna. Al contrario, raccogliere funghi in giorni considerati “sfortunati” o sotto una luna crescente poteva compromettere il raccolto dell’anno successivo.
Il porcino era considerato un fungo nobile e veniva riservato a re, imperatori e nobili durante i banchetti medievali e rinascimentali. Ancora oggi, viene considerato un fungo “di lusso” in molte culture, anche se più accessibile rispetto al tartufo.


Ricette tradizionali: pappardelle ai funghi

I funghi, protagonisti di tantissime ricette italiane, possono essere usati come ingredienti principali o come condimenti. Uno dei piatti “classici” sono le pappardelle ai funghi possono essere servite con una varietà di funghi selvatici, come i finferli o gli champignon o con i soli porcini.
Ingredienti principali: pappardelle fresche, funghi misti, aglio, olio d’oliva, prezzemolo, vino bianco.

Ingredienti per 4 persone

 

400 g di pappardelle fresche (o secche)
400 g di funghi porcini freschi (o misti: champignon, finferli, porcini secchi reidratati)
2 spicchi di aglio
1 rametto di prezzemolo fresco
1 peperoncino (opzionale)
50 ml di vino bianco secco
4 cucchiai di olio extravergine d’oliva
1 noce di burro (facoltativo)
Parmigiano Reggiano grattugiato (opzionale)
Sale e pepe q.b.

Preparazione

Se usi funghi freschi, inizia pulendoli con attenzione. Rimuovi la terra dalla base del gambo con un coltellino e passa un panno umido per pulire delicatamente la superficie del cappello e del gambo. Evita di lavarli sotto l’acqua corrente, poiché i funghi tendono ad assorbirla. Se utilizzi funghi secchi (come i porcini secchi), mettili in ammollo in acqua tiepida per circa 30 minuti, poi scolali e strizzali leggermente.
In una padella capiente, scalda l’olio extravergine d’oliva insieme agli spicchi d’aglio schiacciati e al peperoncino (se ti piace il piccante).
Quando l’aglio è dorato, rimuovilo e aggiungi i funghi tagliati a fettine o a pezzetti. Lascia rosolare per qualche minuto a fuoco vivace.
Aggiungi il vino bianco e lascialo sfumare, continuando a cuocere i funghi a fuoco medio per circa 10-15 minuti, fino a quando saranno teneri. Aggiungi sale e pepe a piacere. Alla fine della cottura, spegni il fuoco e aggiungi una noce di burro per rendere il condimento più cremoso (facoltativo).
Porta a ebollizione una pentola d’acqua salata e cuoci le pappardelle secondo il tempo di cottura indicato (se sono fresche, basteranno pochi minuti). Scola le pappardelle al dente, tenendo da parte un mestolo di acqua di cottura.
Aggiungi le pappardelle nella padella con i funghi e mescola delicatamente a fuoco basso, aggiungendo un po’ dell’acqua di cottura tenuta da parte per amalgamare meglio il tutto. Spolvera con prezzemolo fresco tritato e, se lo desideri, una grattugiata di Parmigiano Reggiano.
Servi le pappardelle ben calde, magari con un filo di olio extravergine d’oliva a crudo e un’ulteriore spolverata di prezzemolo fresco per dare un tocco di freschezza al piatto.
Se non trovi porcini freschi, puoi optare per un mix di funghi freschi e secchi. I funghi secchi, soprattutto i porcini, arricchiscono molto il sapore del piatto. Se utilizzi porcini secchi, non buttare l’acqua di ammollo: filtrala per rimuovere eventuali residui di terra e usala al posto dell’acqua di cottura della pasta per dare più sapore al piatto.

 

Tagliamento: l’ultimo fiume alpino naturale

Tagliamento: l’ultimo fiume alpino naturale

Il Tagliamento è uno dei fiumi più importanti e affascinanti d’Italia, spesso considerato l’ultimo fiume alpino a regime fluviale naturale in Europa.
Questo corso d’acqua attraversa il Friuli Venezia Giulia e il Veneto, con una lunghezza di circa 170 chilometri, e la sua sorgente si trova a Passo della Mauria, nelle Alpi Carniche, mentre sfocia nel Mar Adriatico vicino a Lignano Sabbiadoro.


Il fiume selvaggio

Il Tagliamento è un fiume che vale davvero la pena conoscere bene. Come detto è unico nel suo genere ed è conosciuto anche per la sua straordinaria valenza naturalistica dato che il suo alveo a canali intrecciati (braided river), lo rende un ambiente naturale ricco di biodiversità.
Una conformazione fatta da numerosi canali che si spostano e modificano il paesaggio e che ospita habitat di grande valore ecologico per diverse specie animali e vegetali. È un “fiume selvaggio”, poiché gran parte del suo corso non è stato modificato dall’uomo.
“Il Re dei Fiumi Alpini”, viene chiamato così il Tagliamento per la sua natura incontaminata e la sua bellezza unica. È un autentico modello per lo studio dei fiumi a livello internazionale, un valore straordinario per questo fiume italiano poiché è uno degli ultimi fiumi in Europa che mantiene ancora la sua dinamica fluviale naturale; ossia un corso d’acqua che si modifica liberamente e solo naturalmente senza interventi umani di canalizzazione.
Un alveo mobile che spesso fa cambiare forma e posizione al fiume e che causa delle piene e delle variazioni di flusso. Fenomeno questo che lo rende affascinante anche dal punto di vista geomorfologico.
Per tutto ciò la zona del Tagliamento è stata proposta per diventare parte della rete mondiale delle Riserve della Biosfera dell’Unesco, un riconoscimento che valorizzerebbe ulteriormente la sua conservazione naturale.
Il Tagliamento è quindi unico e bellissimo e per questo durante l’anno lo si può vedere molto diverso: con periodi di siccità diventa una serie di a piccoli ruscelli, mentre d’inverno con le piene diventa devastante e inonda vaste aree.
Sebbene il fiume sia ancora in uno stato quasi naturale, ci sono minacce come l’inquinamento, la richiesta di estrazione della ghiaia e l’agricoltura intensiva nelle zone circostanti. Per proteggerlo, sono state avviate numerose iniziative locali e internazionali per conservare il suo stato selvaggio e promuovere un turismo sostenibile.
In conclusione, il fiume Tagliamento non è solo un’importante risorsa naturale, ma anche un simbolo dell’identità culturale e ambientale del Friuli Venezia Giulia, affascinando visitatori e studiosi per la sua bellezza e la sua importanza ecologica.


Il simbolo del Friuli Venezia Giulia

Il Tagliamento ha sempre avuto un ruolo cruciale nella storia della regione, anzi possiamo a buona ragione dire che questo fiume è la storia del Friuli Venezia Giulia.
Durante l’epoca romana era un’importante via di comunicazione, mentre nel Medioevo segnava il confine tra il Patriarcato di Aquileia, il Ducato di Carinzia e la Repubblica di Venezia. È stato anche teatro di importanti battaglie durante la Prima Guerra Mondiale, quando segnò dopo la rotta di Caporetto il fronte tra Italia e Austria-Ungheria.
Simbolo del Friuli Venezia Giulia come detto quindi oltre che per la sua importanza ambientale, il fiume ha un forte legame con l’identità locale.
È considerato un elemento distintivo della regione e simboleggia il legame tra il territorio e la natura.
L’espressione molto usata che tradotta dalla lingua friulana all’italiano suona come “Tagliamento di qua dall’acqua e di là dall’acqua” richiama un concetto profondamente radicato nell’identità friulana.
Il fiume infatti non è solo un elemento geografico, ma anche un simbolo che separa e al tempo stesso unisce due mondi: le comunità che si trovano sulle sue opposte sponde.
Nonostante la separazione fisica del fiume però le comunità lungo il Tagliamento hanno sviluppato una cultura comune, legata alle risorse del fiume, alla vita rurale e alle tradizioni del Friuli Venezia Giulia. La lingua friulana è uno degli elementi unificanti di questa identità culturale, parlata, ma in maniera un po’ difforme, sia “di qua” che “di là” dal fiume.
Il Tagliamento rappresenta quindi un simbolo di identità doppia, ma allo stesso tempo comune. Le persone che vivono da entrambe le parti del fiume condividono tradizioni agricole, gastronomiche e artigianali, pur mantenendo una propria unicità territoriale. Questa dualità si riflette anche nel modo in cui i borghi e le città vicine hanno conservato le proprie particolarità, pur riconoscendo il fiume come elemento centrale.
Quel fiume che ha separato popolazioni, oggi è visto come un elemento che unisce. Le feste tradizionali, i mercati e gli eventi culturali lungo il corso del fiume mettono in risalto il valore di questo legame, che supera la separazione fisica dell’acqua. Per esempio, le celebrazioni lungo il Tagliamento sono un modo per riaffermare l’importanza del fiume non solo come risorsa naturale, ma come vero e proprio ponte culturale tra le comunità. Anche il Distretto Terre del Tagliamento nasce con l’obiettivo di promuovere questa connessione tra i comuni e le persone che abitano lungo il fiume, rendendo evidente come la cultura locale sia intrecciata con il corso d’acqua.

 

I vini delle donne: Maria Angela Brosio

I vini delle donne: Maria Angela Brosio

Agli inizi del duemila la famiglia Boffa acquista Casciana Amalia situata a Monforte d’Alba, uno degli undici comuni legati alla produzione del Barolo.
Nel 2007 Paola Boffa inizia a dedicarsi a tempo pieno alla gestione della cantina e alla produzione del vino.
La proprietà ora vanta sette ettari di vigneti a Monforte d’Alba,
Nel 2019 abbiamo iniziato la conversione verso una produzione completamente biologica certificata dal 2022.
Produciamo i vini classici del territorio: il Dolcetto D’alba, Barbera, Nebbiolo, e Barolo e una piccola produzione di un vigneto bianco raro, il Rossese Bianco.
Il nostro  è un barolo da singolo vigneto di Amalia Cascina in Langa, una versione prodotta da una selezione di uve del prestigioso vigneto Fantini in località Bussia.
Il vigneto Fantini si trova ad un’altitudine superiore rispetto agli altri appartenenti allo stesso cru e su terreni costituiti da Arenarie di Diano del periodo Tortoniano ad elevata percentuale sabbiosa.
Colore rosso granato inteso; al naso ha note dolci e floreali che poi proseguono con frutta a polpa rossa matura, per chiudere con sfumature terziarie di tabacco, menta e pepe.
In bocca è equilibrato e setoso, dal tannino deciso che fa capire che questo vino ha davanti una grande longevità. Lungo e saporito il finale

 

L’Umbria apre le porte ai suoi frantoi

L’Umbria apre le porte ai suoi frantoi

Torna sotto i riflettori l’Umbria rurale con la XXVII edizione di Frantoi Aperti, evento simbolo dell’oleoturismo in Italia, che dal 19 ottobre al 17 novembre 2024, per 5 fine settimana, proporrà un fitto calendario di iniziative per festeggiare l’arrivo del nuovo Olio extravergine d’oliva nel periodo della raccolta e frangitura delle olive, e proposte esperienziali di avvicinamento al mondo dell’olio direttamente in frantoio e con itinerari alla scoperta del ricco patrimonio ambientale e storico-artistico della Regione.  
Novità di questa edizione di Frantoi Aperti in Umbria sarà la proposta delle “Evo&Art Experience”, tour accompagnati alla scoperta delle sottozone della Dop Umbria e della biodiversità, che porteranno a visitare i luoghi del Perugino ed i beni del sito seriale Unesco “I Longobardi in Italia: i luoghi del potere” di Campello sul Clitunno e Spoleto (Pg).


A spasso fra frantoi in e bike e non solo…

Momento di apertura della manifestazione, in programma per sabato 19 ottobre, sarà la “La Grande Pedalata Lungo la Fascia Olivata dei Colli Assisi – Spoleto”, iniziativa di oleoturismo organizzata in collaborazione con Fiab Umbria e YouMobility – marketplace della mobilità sostenibile.
Un itinerario in e-bike con partenza da Spoleto (Pg), che lungo i percorsi ciclabili immersi nello spettacolare “paesaggio culturale vivente” modellato dalla coltivazione dell’olivo, passerà per Poreta e il castello di Campello Alto, con tappe in alcuni frantoi per assaggiare l’olio appena franto e porterà fino a Campello sul Clitunno (Pg) (per informazioni www.lagrandepedalata.it).

I cinque weekend di Frantoi Aperti si susseguiranno con un nutrito programma di iniziative volte alla promozione della tradizione olivicola umbra e che avranno come protagonisti indiscussi l’olio e.v.o. e i frantoi in lavorazione, che saranno fulcro di passeggiate in bici e trekking naturalistici per grandi e bambini, ma soprattutto di percorsi di degustazione e di conoscenza dell’olio e.v.o. di qualità, pensati per svelare ai visitatori l’estrema varietà e ricchezza del patrimonio agroalimentare ed enogastronomico dell’Umbria.
Alcune delle proposte in calendario inoltre saranno momenti di “festa” e spazi di confronto sull’oleoturismo realizzati per celebrare i 20 anni della Strada dell’Olio e.v.o. Dop Umbria, associazione che organizza Frantoi Aperti e che traccia la direzione dell’oleoturismo in Umbria.
 


Gli olivi giganti dell’Umbria

Protagonista di Frantoi Aperti insieme all’olio umbro, sarà il paesaggio olivato, la natura che abbraccia i borghi storici della regione e in questo scenario giocheranno un ruolo di primo piano anche l’arte e la letteratura. In occasione dei cinque weekend della rassegna ci sarà infatti l’appuntamento con “#chiaveumbra | in natura – Sperimentazioni artistiche nel Paesaggio Olivato”, la manifestazione di arte contemporanea, organizzata da Palazzo Lucarini Contemporary, che offrirà chiavi di accesso inedite e sperimentali sul territorio umbro, valorizzando la natura e il rapporto uomo-ambiente.
 Tra le proposte poi: il “Tour degli Olivi Giganti Patriarchi nel territorio Amerino Tipico”, un  itinerario che mette in rete i luoghi iconici del territorio Amerino legati alla coltura e cultura dell’olio e.v.o., che porterà a visitare la collina degli olivi secolari Rajo di Montecampano in Amelia, passando per antichi frantoi, frantoi moderni e la collezione mondiale di olivi “Olea Mundi” di Lugnano in Teverina; le passeggiate tra fiabe, olivi e frantoi per bambini che verranno coinvolti nel racconto di storie sugli alberi, gli olivi e l’olio, per poi visitare i frantoi del circuito per una merenda a base di pane e olio appena franto; e a chiusura del mese dell’Olio umbro il “Pranzo della Benfinita”.
Gli oliveti saranno animati dai “Suoni dagli ulivi secolari”, la rassegna pensata per esaltare il dialogo tra la musica e gli ulivi che proporrà concerti in luoghi particolarmente evocativi del paesaggio olivicolo umbro ed in prossimità degli ulivi secolari più rappresentativi della regione, veri e propri monumenti naturali.
Le iniziative artistico – culturali saranno come sempre “collegate” e fruibili grazie a bus navette, passeggiate guidate a piedi e in e-bike, che collegheranno gli oliveti ai borghi ed alle città d’arte ad alta vocazione olivicola, dove si terranno feste di celebrazione della raccolta e frangitura delle olive, con esposizioni di artigiani di olio di qualità e di altri prodotti enogastronomici locali, concerti e spettacoli musicali, visite guidate dei centri storici e dei musei tematici, assaggi di pane e olio nelle piazze, aperture straordinarie di castelli e palazzi e tante iniziative immaginate per coinvolgere i più piccoli e le famiglie. 


Gli chef al servizio dell’oro giallo

Nei 5 fine settimana di Frantoi Aperti in Umbria infine, alcuni degli chef del circuito “Umbrian #EVOOAmbassador – Testimoni di oli unici” – la rete creata dalla Strada dell’olio e.v.o. Dop Umbria che seleziona i migliori ristoranti ed enoteche umbri in cui trovare prodotti di qualità tra cui una ricca selezione di oli e.v.o. prodotti in Umbria – proporranno nei loro ristoranti menù di terra e di lago in abbinamento con gli oli e.v.o. di qualità dei produttori aderenti a Frantoi Aperti 2024.
 Frantoi Aperti in Umbria è organizzato dall’Associazione Strada dell’olio e.v.o. Dop Umbria, che si avvale di Add Comunicazione ed Eventi, agenzia specializzata nella comunicazione e promozione dell’Olio e dell’oleoturismo, con il contributo della Regione Umbria e del MASAF – Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e la collaborazione di tutti gli attori del comparto olivicolo umbro. L’evento è reso possibile anche grazie al supporto di Vuscom, società del Gruppo Valle Umbra Servizi, Crédit Agricole Italia, YouMobility, Tartufi Fortunati Stocchi e del partner tecnico Official Green Carrier Trenitalia.
 Maggiori dettagli sul programma saranno presto online sul sito www.frantoiaperti.net

La Valle d’Aosta, valle di formaggi

La Valle d’Aosta, valle di formaggi

Una fuga golosa, soprattutto quando l’estate finisce è perfetta! Lasciate ormai alle spalle le ansie da prova costume, arriva, insieme al fresco, anche il tempo delle mele, delle castagne, dei funghi e di qualche sgarro in più.
Il momento in cui la natura inizia lentamente ad arrossire e le prime foglie a farle da tappeto è perfetto per una fuga in
Valle d’Aosta.
Una bella passeggiata nel bosco, lungo il corso di un ruscello gentile, è il modo migliore tanto per stimolare l’appetito, quanto per restare in forma anche in autunno. È un paesaggio da mangiare, quello valdostano, che racconta di sé tanto attraverso la natura che si sviluppa nella sagoma delle creste alpine, quanto per tramite dei prodotti che il suo territorio è in grado di donarci.
Un cibo messaggero, che parla una lingua da ascoltare con il palato e immediatamente comprensibile a tutti o, almeno, a quanti sanno che il nostro corpo non è una macchina, che mangiare non è come fare benzina e che il valore dei prodotti non è soltanto da misurare in calorie, ma nel peso specifico delle storie che nascondono.


L’eredità della cultura contadina, nella valle dei 100 castelli

Le storie che saziano davvero sono quelle che valgono da sole un viaggio nella regione più alta d’Italia, dove la cultura culinaria è l’altra faccia di una medaglia che già conosciamo: quella di una natura viva, fatta di cascate e valli, di biodiversità floro-faunistica; di architetture valse alla Valle d’Aosta l’appellativo di Valle dei 100 castelli, ma anche dei lasciti della cultura contadina d’alta quota in rascard e stadel. È proprio da questa eredità, che colpisce l’occhio già a prima vista, che bisogna partire.
Case ingegnose, per gente ingegnosa, abituata a vivere, lavorare, mungere o coltivare sempre in pendenza: l’agricoltura, qui, è una storia scritta per terrazzamenti, da mani dure come la segale, resistenti come patate d’alta quota, ma anche dolci come le pere e le mele, che ricoprono d’oro la valle centrale.

La seras

Oltre la D.O.P.: le eccellenze valdostane che forse non conosci

La Valle d’Aosta è casa di ben quattro prodotti che hanno ricevuto la Denominazione di Origine Protetta: si tratta di eccellenze locali, fiori all’occhiello di una gastronomia che ha nella particolare localizzazione geografica, nella qualità delle materie prime e in tecniche di produzione antiche, i suoi punti di forza.
Chi non conosce la Fontina Dop, autentica regina tra i formaggi valdostani prodotta con latte crudo e intero, e chi non ha mai provato i diversi sapori del Fromadzo Dop, semidolce quando è fresco o deciso quando è più stagionato, o ancora il Vallée d’Aoste Lard d’Arnad, imbattibile sul pane di segale o accompagnato da miele e , e il Vallée d’Aoste Jambon de Bosses, il re dei prosciutti crudi?
Ma anche fuori dal novero delle D.O.P., la Valle d’Aosta può vantare prodotti d’eccellenza che portano, con sé, storie e sapori di questo territorio, insieme a tutta la loro qualità, contrassegnate dall’etichetta come PAT (prodotto agroalimentare tipico).
Parliamo, ad esempio, del Seras, pregiata ricotta chiara documentata, in Valle d’Aosta, sin dal 1268. Impastando invece la ricotta con sale, pepe, peperoncino, ginepro, finocchio e cumino si ottiene il Salignön, prodotto e distribuito da alcuni caseifici della bassa Valle d’Aosta. Tenace e corazzata allo sguardo, la Motzetta, carne essiccata di bovino, diventa però tenera e gustosa una volta assaporata, mentre il Teteun, mammella bovina salmistrata, si sposa con salse e marmellate.
E ancora: il Boudin, salume insaccato a base di patate e lardo i cui segreti sono tramandati di generazione in generazione e la cui ricetta cambia di località in località e le Saouseusse, carne tritata e stagionata di bovino di razza valdostana e lardo di maiale.
Tra i PAT valdostani non può mancare il Jambon alla brace di Saint-Oyen, nella valle del Gran San Bernardo, un cotto di altissima qualità contraddistinto da una salamoia a base di sale, aromi e miele, cotto prima a vapore per 24 ore e poi alla brace in un forno a legna, oltre all’innaffiatura di birra artigianale locale (senza glutine).