Inchiesta: viaggio nella malattia dimenticata, trent’anni dopo

Inchiesta: viaggio nella malattia dimenticata, trent’anni dopo

[:it]di Nadia Fondelli – Si avvicina anche quest’anno la settimana che accende i riflettori sulla malattia dimenticata. La European testing week non riempie le pagine dei giornali come dovrebbe, ne trova spazio in un distratto telegiornale.
Eppure quest’anno, dal 17 al 24 novembre sarà la sua quinta edizione di questo evento che a livello europeo si prefigge di informare e prevenire la diffusione di Hiv/Aids. Una settimana importante per promuovere l’accesso facilitato al test rapido semplice ed efficace, oltre che anonimo e gratuito, per verificare se si è contratto il virus Hiv.
Una occasione importante di prevenzione ed eventuale immediato accesso alle cure promossa da enti governativi, operatori sanitari e realtà della società civile per far prendere coscienza a una generazione che l’Aids non è ancora stato sconfitto.

Noi vogliamo iniziare un mese prima a parlarne per squarciare il velo ipocrita che avvolge ancora questa patologia convinti che fare giornalismo è anche responsabilità civile.
Quello dell’Hiv/Aids è oggi uno dei grandi buchi neri dei nostri tempi.
Una realtà dimenticata. Volutamente?

E pensare che un trentennio fa è nato come allarme sanitario di massa. Chi era giovane non può dimenticare le inquietanti immagini di una pubblicità che contornava di alone viola le persone che si infettavano dandosi la mano.
Una campagna comunicativa dirompente finita anche nei manuali di comunicazione che, se da una parte è servita a smuovere le coscienze e accendere i riflettori su un problema dall’altro ha innescato l’incredibile equivoco che la trasmissione virale poteva toccare tutti.
Eravamo tornati al Medioevo; al terrore degli untori.
Non a caso l’avevamo già bollata come la “peste del ventunesimo secolo” e riempivamo le pagine e gli schermi con servizi buoni a sollevare il terrore.
Nei lazzaretti mediatici finivano i gay e i tossicodipendenti. Queste erano le categorie colpite e così la coscienza delle “brave persone” era a posto, salvo poi scoprire, con l’evoluzione delle conoscenze sanitarie, che le cose erano parecchio diverse.
Il contagio poteva toccare chiunque, le conoscenze scientifiche avevano fatto passi da giganti, le cure riuscivano a contenere la pandemia e ridurre la mortalità e così da fenomeno mediatico, nel giro di un ventennio, l’argomento Hiv/Aids è caduto nell’oblìo.

Oggi non se ne parla più. Solo per il 1° dicembre – giornata mondiale dedicata alla malattia prima che ogni giorno dell’anno fosse dedicato a qualcosa – merita ancora qualche trafiletto.
Eppure il problema c’è.
Lo testimoniano i dati che fornisce Ars Toscana che in sei anni di sorveglianza delle nuove infezioni dice che 1763 sono le nuove diagnosi di contatto col virus, con un andamento costante, ma leggermente in crescita. Se nel 2009 erano 283 i nuovi casi nel 2014 lo sono stati 297.
Questi numeri parlano di quasi una persona al giorno che è entrata in contatto col virus. Sarebbe notizia da prima pagina se si parlasse di altro.

Ho voluto capirne di più e sono andata nella sede di Lila Toscana dove ho conosciuto volontari coraggiosi che riescono, con passione, costanza, umanità e competenza a portare avanti una battaglia comunicativa fatta di omissioni, censure e non detti.
Ma perchè?

“Perchè la parola Hiv è associata al sesso e al peccato e quindi è sconveniente”.
Non usa mezze misure per spiegare la faccenda Maria Rosa, professione psicologa ma con molte ore da volontaria al servizio della patologia dimenticata.
“Peccato, sesso, ma anche malattia, dolore, contagio e morte – puntualizza – ma lo stigma è duro a morire al punto che è più comodo pensare che sia ancora una malattia della “colpa”. Più consolidata la percezione che si muore meno, ma questo, paradossalmente, nell’indifferenza che avvolge l’argomento lo fa percepire come un non problema e di prevenzione non se ne parla più.”

Le buone nuove dovrebbero invece essere “sfruttate” come testimonia la recente campagna Lila “Noi possiamo” che, sull’onda della più ampia campagna internazionale “U=U, Undetectable=Untrasmittable ossia non rilevabile=non trasmissibile, sta facendo leva sulle straordinarie acquisizioni scientifiche per raccontare che le terapie stanno funzionando impedendo la trasmissione del virus.

Una potente arma anche per porre fine alle discriminazioni verso le persone Hiv, ma invece…
In Lila Toscana si opera ogni giorno, ogni settimana, ogni mese ed ogni anno e non solo in occasione della settimana europea dedicata al testing offrendo informazioni sulla prevenzione,facendo formazione, offrendo sostegno psicologico e legale, etc…
“Ogni mese abbiamo un giorno dedicato al test rapido salivale; gratuito e anonimo. Vengano in tanti a farlo, ma sarebbe bello arrivassero molte più persone.”

Noi abbiamo trascorso una giornata in Lila Toscana e ciò che ci ha colpito di più è stato lo stato d’ansia in attesa del risultato del test di tante le persone.
Una reazione umanamente normale, ma sovradimensionata alle conoscenze attuali che conferma che “un vuoto” d’informazione c’è..
“Se mi dicono che sono entrato in contatto col virus vado direttamente a buttarmi in Arno” racconta un giovane uomo sui trent’anni che fuma una sigaretta dietro l’altra. Gli fa eco un timido ragazzino, occhi a terra e un amico più grande a fargli compagnia che trema e balbetta quando afferma che anche per lui sarebbe una sentenza di morte.
Qualcosa non torna.
Se da una parte c’è leggerezza a non usare precauzioni, dall’altro sopravvive il terrore che quella sarebbe una condanna.
“E’ sempre così, per tutti – confessa in una pausa del lavoro Laura giovane biologa addetta al prelievo e anche lei volontaria entusiasta – sono capitata qui per caso perché cercavano una persona che facesse il mio mestiere e non sono più andata via.” E alla domanda: ma perché lo fai la risposta è immediata, entusiastica e sincera. “E’ egoismo, qui sto bene io!”
Ma il paradosso di una patologia criminalizzata me la svela Valerio volontario entrato in contatto con il virus una decina di anni fa.
“E’ la malattia della colpa. Oggi come ieri. Anch’io come prima reazione ebbi quella di colpevolizzarmi perché me l’ero cercata ed era il giusto castigo divino. Ho faticato a capire, ho dovuto fare un percorso complesso e faticoso dentro e fuori di me con il gruppo di auto aiuto che è stato determinante.”
Mi fa notare che la sede non ha insegne ed è una porta anonima in una strada anonima “sennò le persone non arriverebbero per la vergogna di incontrare per strada qualcuno che possa conoscerli e capire dove vanno” prosegue Valerio.
“C’è discriminazione. Tanta! Sei costretto a non svelarti e a nasconderti sul posto di lavoro e spesso anche con gli amici e in famiglia perché sei ancora oggi considerato un peccatore-untore”.
Ma cosa si prova ad essere in prima linea a cercare di urlare ai sordi?
“E’ dura – prosegue Maria Rosa – ma noi andiamo avanti. Vogliamo eliminare lo stigma che avvolge ancora l’argomento; far capire a chi è entrato in contatto col virus che può avere una vita normale con una malattia cronica meno invalidante di altre; che è necessario fare il test se si ha un qualche sospetto di essere entrati in contatto col virus; che le persone che lo hanno contratto non sono pericolose per la società se si curano e che il contagio avviene prevalentemente per trasmissione sessuale.”

Ma è difficile squarciare il muro di silenzio. E’ sconveniente dire nel ventunesimo secolo che usare il profilattico e fare sesso sicuro è necessario per proteggere la salute della società?
Noi vorremo solo poter essere una piccola goccia d’inchiostro e dire a tutti che la parola “stigma” che usano a Lila è di un’eleganza invidiabile.
Quella che c’è nei confronti dell’argomento si chiama solo discrimine. Stupido e ottuso. Apriamo gli occhi! E’ l’ora di svegliarsi.[:en]di Nadia Fondelli – Si avvicina anche quest’anno la settimana che accende i riflettori sulla malattia dimenticata. La European testing week non riempie le pagine dei giornali come dovrebbe, ne trova spazio in un distratto telegiornale.
Eppure quest’anno, dal 17 al 24 novembre sarà la sua quinta edizione di questo evento che a livello europeo si prefigge di informare e prevenire la diffusione di Hiv/Aids. Una settimana importante per promuovere l’accesso facilitato al test rapido semplice ed efficace, oltre che anonimo e gratuito, per verificare se si è contratto il virus Hiv.
Una occasione importante di prevenzione ed eventuale immediato accesso alle cure promossa da enti governativi, operatori sanitari e realtà della società civile per far prendere coscienza a una generazione che l’Aids non è ancora stato sconfitto.

Noi vogliamo iniziare un mese prima a parlarne per squarciare il velo ipocrita che avvolge ancora questa patologia convinti che fare giornalismo è anche responsabilità civile.
Quello dell’Hiv/Aids è oggi uno dei grandi buchi neri dei nostri tempi.
Una realtà dimenticata. Volutamente?

E pensare che un trentennio fa è nato come allarme sanitario di massa. Chi era giovane non può dimenticare le inquietanti immagini di una pubblicità che contornava di alone viola le persone che si infettavano dandosi la mano.
Una campagna comunicativa dirompente finita anche nei manuali di comunicazione che, se da una parte è servita a smuovere le coscienze e accendere i riflettori su un problema dall’altro ha innescato l’incredibile equivoco che la trasmissione virale poteva toccare tutti.
Eravamo tornati al Medioevo; al terrore degli untori.
Non a caso l’avevamo già bollata come la “peste del ventunesimo secolo” e riempivamo le pagine e gli schermi con servizi buoni a sollevare il terrore.
Nei lazzaretti mediatici finivano i gay e i tossicodipendenti. Queste erano le categorie colpite e così la coscienza delle “brave persone” era a posto, salvo poi scoprire, con l’evoluzione delle conoscenze sanitarie, che le cose erano parecchio diverse.
Il contagio poteva toccare chiunque, le conoscenze scientifiche avevano fatto passi da giganti, le cure riuscivano a contenere la pandemia e ridurre la mortalità e così da fenomeno mediatico, nel giro di un ventennio, l’argomento Hiv/Aids è caduto nell’oblìo.

Oggi non se ne parla più. Solo per il 1° dicembre – giornata mondiale dedicata alla malattia prima che ogni giorno dell’anno fosse dedicato a qualcosa – merita ancora qualche trafiletto.
Eppure il problema c’è.
Lo testimoniano i dati che fornisce Ars Toscana che in sei anni di sorveglianza delle nuove infezioni dice che 1763 sono le nuove diagnosi di contatto col virus, con un andamento costante, ma leggermente in crescita. Se nel 2009 erano 283 i nuovi casi nel 2014 lo sono stati 297.
Questi numeri parlano di quasi una persona al giorno che è entrata in contatto col virus. Sarebbe notizia da prima pagina se si parlasse di altro.

Ho voluto capirne di più e sono andata nella sede di Lila Toscana dove ho conosciuto volontari coraggiosi che riescono, con passione, costanza, umanità e competenza a portare avanti una battaglia comunicativa fatta di omissioni, censure e non detti.
Ma perchè?

“Perchè la parola Hiv è associata al sesso e al peccato e quindi è sconveniente”.
Non usa mezze misure per spiegare la faccenda Maria Rosa, professione psicologa ma con molte ore da volontaria al servizio della patologia dimenticata.
“Peccato, sesso, ma anche malattia, dolore, contagio e morte – puntualizza – ma lo stigma è duro a morire al punto che è più comodo pensare che sia ancora una malattia della “colpa”. Più consolidata la percezione che si muore meno, ma questo, paradossalmente, nell’indifferenza che avvolge l’argomento lo fa percepire come un non problema e di prevenzione non se ne parla più.”

Le buone nuove dovrebbero invece essere “sfruttate” come testimonia la recente campagna Lila “Noi possiamo” che, sull’onda della più ampia campagna internazionale “U=U, Undetectable=Untrasmittable ossia non rilevabile=non trasmissibile, sta facendo leva sulle straordinarie acquisizioni scientifiche per raccontare che le terapie stanno funzionando impedendo la trasmissione del virus.

Una potente arma anche per porre fine alle discriminazioni verso le persone Hiv, ma invece…
In Lila Toscana si opera ogni giorno, ogni settimana, ogni mese ed ogni anno e non solo in occasione della settimana europea dedicata al testing offrendo informazioni sulla prevenzione,facendo formazione, offrendo sostegno psicologico e legale, etc…
“Ogni mese abbiamo un giorno dedicato al test rapido salivale; gratuito e anonimo. Vengano in tanti a farlo, ma sarebbe bello arrivassero molte più persone.”

Noi abbiamo trascorso una giornata in Lila Toscana e ciò che ci ha colpito di più è stato lo stato d’ansia in attesa del risultato del test di tante le persone.
Una reazione umanamente normale, ma sovradimensionata alle conoscenze attuali che conferma che “un vuoto” d’informazione c’è..
“Se mi dicono che sono entrato in contatto col virus vado direttamente a buttarmi in Arno” racconta un giovane uomo sui trent’anni che fuma una sigaretta dietro l’altra. Gli fa eco un timido ragazzino, occhi a terra e un amico più grande a fargli compagnia che trema e balbetta quando afferma che anche per lui sarebbe una sentenza di morte.
Qualcosa non torna.
Se da una parte c’è leggerezza a non usare precauzioni, dall’altro sopravvive il terrore che quella sarebbe una condanna.
“E’ sempre così, per tutti – confessa in una pausa del lavoro Laura giovane biologa addetta al prelievo e anche lei volontaria entusiasta – sono capitata qui per caso perché cercavano una persona che facesse il mio mestiere e non sono più andata via.” E alla domanda: ma perché lo fai la risposta è immediata, entusiastica e sincera. “E’ egoismo, qui sto bene io!”
Ma il paradosso di una patologia criminalizzata me la svela Valerio volontario entrato in contatto con il virus una decina di anni fa.
“E’ la malattia della colpa. Oggi come ieri. Anch’io come prima reazione ebbi quella di colpevolizzarmi perché me l’ero cercata ed era il giusto castigo divino. Ho faticato a capire, ho dovuto fare un percorso complesso e faticoso dentro e fuori di me con il gruppo di auto aiuto che è stato determinante.”
Mi fa notare che la sede non ha insegne ed è una porta anonima in una strada anonima “sennò le persone non arriverebbero per la vergogna di incontrare per strada qualcuno che possa conoscerli e capire dove vanno” prosegue Valerio.
“C’è discriminazione. Tanta! Sei costretto a non svelarti e a nasconderti sul posto di lavoro e spesso anche con gli amici e in famiglia perché sei ancora oggi considerato un peccatore-untore”.
Ma cosa si prova ad essere in prima linea a cercare di urlare ai sordi?
“E’ dura – prosegue Maria Rosa – ma noi andiamo avanti. Vogliamo eliminare lo stigma che avvolge ancora l’argomento; far capire a chi è entrato in contatto col virus che può avere una vita normale con una malattia cronica meno invalidante di altre; che è necessario fare il test se si ha un qualche sospetto di essere entrati in contatto col virus; che le persone che lo hanno contratto non sono pericolose per la società se si curano e che il contagio avviene prevalentemente per trasmissione sessuale.”

Ma è difficile squarciare il muro di silenzio. E’ sconveniente dire nel ventunesimo secolo che usare il profilattico e fare sesso sicuro è necessario per proteggere la salute della società?
Noi vorremo solo poter essere una piccola goccia d’inchiostro e dire a tutti che la parola “stigma” che usano a Lila è di un’eleganza invidiabile.
Quella che c’è nei confronti dell’argomento si chiama solo discrimine. Stupido e ottuso. Apriamo gli occhi! E’ l’ora di svegliarsi.[:]

Firenze: la notte dei ponti, 3/4 agosto 1944

[:it]

Foto 4di redazione – Le Gallerie degli Uffizi celebrano anche quest’anno la “notte della memoria”, in ricordo di quella terribile tra il 3 e 4 agosto del 1944, che vide Firenze trasformata in teatro di paura e distruzione da parte delle truppe tedesche in ritirata.

Foto 2Queste, per rallentare l’avanzata degli Alleati che stavano risalendo la penisola, decisero infatti di minare e distruggere tutte le vie di comunicazione dietro di loro e tra queste tutti i ponti della città, ad eccezione di Ponte Vecchio.
Per i fiorentini questo fu forse il momento più dolorosamente emblematico della Guerra, perché dovettero assistere impotenti alla distruzione dei ponti della città e dei quartieri medievali vicino a Ponte Vecchio – in particolare via Por Santa Maria – delle torri antiche e delle botteghe: si colpiva al cuore la loro città, si annientò la vita nei quartieri che vennero rasi al suolo.
Venne minato il ponte di Foto 3Santa Trinita, ideato da Michelangelo e poi realizzato da Bartolomeo Ammannati per ordine di Cosimo I de’ Medici cancellandone in una serie di esplosioni la straordinaria armonia architettonica: fu un’azione simbolicamente criminale che riuscì nell’intento di deprimere la popolazione, creando sgomento e aprendo una ferita indelebile. E poi le case: ma almeno, in quella notte d’agosto i fiorentini d’oltrarno sfollati dalle loro abitazioni ridotte a macerie poterono rifugiarsi a Palazzo Pitti e a Boboli, spazio sicuro e protetto. Vennero allestiti letti e pasti di fortuna, e gli sventurati trovarono temporaneo conforto tra le mura austere e poderose del Palazzo, che nel frattempo aveva aperto le porte per tutti i senza tetto.

La rappresentazione di quest’anno vuole evocare le presenze di quella notte, risvegliarne le immagini e le voci.
Il racconto rivive non solo attraverso le immagini – fotografiche e cinematografiche – realizzate in quel momento per documentare lo scempio della città e il dramma di tanti fiorentini, ma anche attraverso le parole di chi c’era, e ci ha lasciato materia per ricordare.

La Compagnia delle Seggiole interpreterà (per la cura di Sabrina Tinalli con Fabio Baronti, Luca Marras e la stessa Sabrina Tinalliu) testi di Anna Banti, Nello Baroni e Giulio Bencini, intellettuali e artisti che hanno lasciato un ricordo toccante di quelle ore. Insieme a frammenti del War Requiem di Benjamin Britten – realizzato per celebrare la ricostruzione della cattedrale gotica di Coventry rasa al suolo durante la seconda Guerra Mondiale – la voce di quei testimoni si alzerà di nuovo nel cortile di Palazzo Pitti, per risvegliare in tutti noi la memoria di quei fatti.
La distruzione dei ponti fiorentini e dei quartieri vicini, episodio parziale nella tragedia immane della seconda Guerra Mondiale, assume però valore simbolico universale.

A seguire avrà luogo la proiezione del documentario “Dov’era e com’era. La ricostruzione del Ponte a Santa Trinita di Firenze” di Riccardo Gizdulich, versione a cura della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana. Il documentario illustra l’impegno e l’entusiasmo profuso dall’architetto e dai fiorentini nella ricostruzione del Ponte di Santa Trinita, come a voler cancellare il grave colpo inferto alla città.

Come ricorda il Direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike D. Schmidt, «(…) le ricostruzioni hanno quasi cicatrizzato le ferite inferte alla città, ma quello che non si può risarcire, quello che rimane irreparabile, è il sacrificio di tante vite umane. E dunque diventa urgente, proprio ora – quando in molte parti d’Europa risorge l’ideologia nazifascista e si registra una crescita di delitti xenofobi e antisemiti – conservare e rinnovare il ricordo degli inenarrabili abomini del nazismo.
In questo periodo critico, in cui ci troviamo ad accogliere profughi che scappano da paesi in guerra e migranti in cerca di asilo e sopravvivenza, va ricordato con più forza il ruolo di Palazzo Pitti, quando divenne rifugio per le famiglie che persero la casa nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1944.
Rimanga viva la memoria di quella notte: come testimonianza della lotta dei fiorentini per i diritti umani, e come impegno di tutti noi contro il ripetersi del crimine.»

Per queste ragioni il cortile di Palazzo Pitti sarà aperto alla città, affinché tutti possano assistere gratuitamente allo spettacolo. Il palazzo sarà di nuovo un simbolo di accoglienza per coloro che vorranno testimoniare il proprio impegno nel disconoscere odio e guerra.

Cortile di Palazzo Pitti, Firenze. 4 agosto 2017 alle ore 21.15 ad ingresso gratuito[:en]di redazione – Le Gallerie degli Uffizi celebrano anche quest’anno la “notte della memoria”, in ricordo di quella terribile tra il 3 e 4 agosto del 1944, che vide Firenze trasformata in teatro di paura e distruzione da parte delle truppe tedesche in ritirata.

Queste, per rallentare l’avanzata degli Alleati che stavano risalendo la penisola, decisero infatti di minare e distruggere tutte le vie di comunicazione dietro di loro e tra queste tutti i ponti della città, ad eccezione di Ponte Vecchio.
Per i fiorentini questo fu forse il momento più dolorosamente emblematico della Guerra, perché dovettero assistere impotenti alla distruzione dei ponti della città e dei quartieri medievali vicino a Ponte Vecchio – in particolare via Por Santa Maria – delle torri antiche e delle botteghe: si colpiva al cuore la loro città, si annientò la vita nei quartieri che vennero rasi al suolo.
Venne minato il ponte di Santa Trinita, ideato da Michelangelo e poi realizzato da Bartolomeo Ammannati per ordine di Cosimo I de’ Medici cancellandone in una serie di esplosioni la straordinaria armonia architettonica: fu un’azione simbolicamente criminale che riuscì nell’intento di deprimere la popolazione, creando sgomento e aprendo una ferita indelebile. E poi le case: ma almeno, in quella notte d’agosto i fiorentini d’oltrarno sfollati dalle loro abitazioni ridotte a macerie poterono rifugiarsi a Palazzo Pitti e a Boboli, spazio sicuro e protetto. Vennero allestiti letti e pasti di fortuna, e gli sventurati trovarono temporaneo conforto tra le mura austere e poderose del Palazzo, che nel frattempo aveva aperto le porte per tutti i senza tetto.

La rappresentazione di quest’anno vuole evocare le presenze di quella notte, risvegliarne le immagini e le voci.
Il racconto rivive non solo attraverso le immagini – fotografiche e cinematografiche – realizzate in quel momento per documentare lo scempio della città e il dramma di tanti fiorentini, ma anche attraverso le parole di chi c’era, e ci ha lasciato materia per ricordare.

La Compagnia delle Seggiole interpreterà (per la cura di Sabrina Tinalli con Fabio Baronti, Luca Marras e la stessa Sabrina Tinalliu) testi di Anna Banti, Nello Baroni e Giulio Bencini, intellettuali e artisti che hanno lasciato un ricordo toccante di quelle ore. Insieme a frammenti del War Requiem di Benjamin Britten – realizzato per celebrare la ricostruzione della cattedrale gotica di Coventry rasa al suolo durante la seconda Guerra Mondiale – la voce di quei testimoni si alzerà di nuovo nel cortile di Palazzo Pitti, per risvegliare in tutti noi la memoria di quei fatti.
La distruzione dei ponti fiorentini e dei quartieri vicini, episodio parziale nella tragedia immane della seconda Guerra Mondiale, assume però valore simbolico universale.

A seguire avrà luogo la proiezione del documentario “Dov’era e com’era. La ricostruzione del Ponte a Santa Trinita di Firenze” di Riccardo Gizdulich, versione a cura della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Toscana. Il documentario illustra l’impegno e l’entusiasmo profuso dall’architetto e dai fiorentini nella ricostruzione del Ponte di Santa Trinita, come a voler cancellare il grave colpo inferto alla città.

Come ricorda il Direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike D. Schmidt, «(…) le ricostruzioni hanno quasi cicatrizzato le ferite inferte alla città, ma quello che non si può risarcire, quello che rimane irreparabile, è il sacrificio di tante vite umane. E dunque diventa urgente, proprio ora – quando in molte parti d’Europa risorge l’ideologia nazifascista e si registra una crescita di delitti xenofobi e antisemiti – conservare e rinnovare il ricordo degli inenarrabili abomini del nazismo.
In questo periodo critico, in cui ci troviamo ad accogliere profughi che scappano da paesi in guerra e migranti in cerca di asilo e sopravvivenza, va ricordato con più forza il ruolo di Palazzo Pitti, quando divenne rifugio per le famiglie che persero la casa nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1944.
Rimanga viva la memoria di quella notte: come testimonianza della lotta dei fiorentini per i diritti umani, e come impegno di tutti noi contro il ripetersi del crimine.»

Per queste ragioni il cortile di Palazzo Pitti sarà aperto alla città, affinché tutti possano assistere gratuitamente allo spettacolo. Il palazzo sarà di nuovo un simbolo di accoglienza per coloro che vorranno testimoniare il proprio impegno nel disconoscere odio e guerra.

Cortile di Palazzo Pitti, Firenze. 4 agosto 2017 alle ore 21.15 ad ingresso gratuito[:]

[:it]Firenze: ventiquattro anni dalla strage dei Georgofili[:]

[:it]strage-via-dei-georgofilistrage-via-dei-georgofilidi redazione – La più piccola, Caterina, aveva appena cinquanta giorni di vita. Morì assieme alla mamma Angela Fiore e il babbo Fabrizio Nencioni, con la sorella Nadia di 9 anni e il ventiduenne studente di architettura Dario Capolicchio nell’esplosione che nella notte tra il 26 e 27 maggio del 1993 distrusse la storica Torre de’ Pulci dove ha sede l’Accademia dei Gergofili di Firenze.

Quella bomba la mise la mafia e venerdì 26 (e poi ancora sabato 27 maggio), ventiquattro anni dopo, la Toscana si fermerà di nuovo a ricordare.
Ci sarà anche il presidente del Senato Pietro Grasso. La seconda carica dello Stato parteciperà al convegno del 26 maggio che inizierà alle 16 nella sala Pegaso di Palazzo Strozzi Sacrati, sede della presidenza della Regione.
Con Grasso interverranno l’assessore alla presidenza della Toscana Vittorio Bugli, Giovanna Maggiani Chelli per l’associazione dei familiari delle vittime della strage, il procuratore capo di Pisa Alessandro Crini, quello dei Prato Giuseppe Nicolosi e l’avvocato di parte civile nel processo sulle stragi del 1993 Danilo Ammannato.

Si parte da una frase che Giuseppe Graviano, reggente mafioso e tra gli organizzatori di quella strage, rivolse a Gaspare Spatuzze e Cosimo Lo Nigro: “Ne capite qualcosa di politica voi? No! E’ bene che ci portiamo dietro un po’ di morti, così di danno una mossa”.
Parole capaci ancora di far accapponare la pelle.

Il presidente del Senato Grasso si tratterà fino a notte, quando dopo il concerto in piazza della Signoria la manifestazione si concluderà con la deposizione alle 1.04, l’ora esatta in cui la bomba esplose, sul luogo dell’attentato.
La mattina dopo, alle 8.30, un cuscino di rose sarà deposta sulla tomba della famiglia Nencioni al cimitero della Romola, nel comune di San Casciano in Val di pesa. Ci saranno anche gli alunni della scuola elementare della vicina frazione di Cerbaia, che ricorderanno la strade.
Un secondo cuscino di rose sarà deposto, alla stessa ora, nel cimitero di Sarzanello a Sarzana, sulla tomba di Dario Capolicchio.[:]

Toscana: le aperture speciali del Fai

[:it]

Giornate-FAI-primavera-2017-i-siti-da-non-perderedi Nadia Fondelli – Sabato 25 e domenica 26 edizione numero 25 delle Giornate Fai. 48 i “tesori” di Firenze e della Toscana che verranno nell’ occasione aperti al pubblico. In città si segnalano il cimitero degli Inglesi e il cimitero degli Allori.

A Firenze città in occasione delle Giornate Fai di primavera si potranno visitare anche due cimiteri monumentali: il cimitero degli Inglesi, dove è sepolto tra gli altri Pietro Viesseux, e il cimitero degli Allori dove riposano anche lo scrittore Harold Acton e la giornalista Oriana Fallaci.
Cimitero_Evangelico_Agli_Allori_-_interior_IIIFra le chicce da scoprire in città anche, eccezionalmente, palazzo Valori Altoviti sede della loggia massonica del Grande Oriente d’Italia un palazzo cinquecentesco famoso col nome di ‘Palazzo dei visacci’ per i ritratti di illustri fiorentini scolpiti sulla facciata.
Da non perdere neache la Torre di Careggi, l’ex convento delle Oblate e l’ex manifattura Tabacchi.

Allargandosi alla regione ben 48 i luoghi da scoprire o riscoprire aperti  eccezionalmente con orario dalle 10 alle 16,30.
Tra i ‘tesori’ da non perdere in provincia di Arezzo il chiostro dell’antico ospedale dell’ex convento di san Francesco a Foiano della Chiana; la villa del presidente a Livorno; l’idroscalo di Orbetello; palazzo Orsetti e la chiesa di Santa Caterina a Lucca; la splendida villa Puccini a Viareggio; il camposanto monumentale di Pisa; il conservatorio di San Niccolò a Prato; la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Pistoia; il cimitero monumentale della Misericordia e la farmacia dell’ex ospedale psichiatrico San Niccolò a Pisa e l’abbazia di San Galgano a Chiusdino.

Un week end speciale, da non perdere!

Informazioni: www.fondoambiente.it/Chi-siamo/Index.aspx?q=delegazione-toscana[:en]

DIG1415-S-GalganoGiornate-FAI-primavera-2017-i-siti-da-non-perderedi Nadia Fondelli – Sabato 25 e domenica 26 edizione numero 25 delle Giornate Fai. 48 i “tesori” di Firenze e della Toscana che verranno nell’ occasione aperti al pubblico. In città si segnalano il cimitero degli Inglesi e il cimitero degli Allori.

A Firenze città in occasione delle Giornate Fai di primavera si potranno visitare anche due cimiteri monumentali: il cimitero degli Inglesi, dove è sepolto tra gli altri Pietro Viesseux, e il cimitero degli Allori dove riposano anche lo scrittore Harold Acton e la giornalista Oriana Fallaci.
Cimitero_Evangelico_Agli_Allori_-_interior_IIIFra le chicce da scoprire in città anche, eccezionalmente, palazzo Valori Altoviti sede della loggia massonica del Grande Oriente d’Italia un palazzo cinquecentesco famoso col nome di ‘Palazzo dei visacci’ per i ritratti di illustri fiorentini scolpiti sulla facciata.
Da non perdere neache la Torre di Careggi, l’ex convento delle Oblate e l’ex manifattura Tabacchi.

Allargandosi alla regione ben 48 i luoghi da scoprire o riscoprire aperti  eccezionalmente con orario dalle 10 alle 16,30.
Tra i ‘tesori’ da non perdere in provincia di Arezzo il chiostro dell’antico ospedale dell’ex convento di san Francesco a Foiano della Chiana; la villa del presidente a Livorno; l’idroscalo di Orbetello; palazzo Orsetti e la chiesa di Santa Caterina a Lucca; la splendida villa Puccini a Viareggio; il camposanto monumentale di Pisa; il conservatorio di San Niccolò a Prato; la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Pistoia; il cimitero monumentale della Misericordia e la farmacia dell’ex ospedale psichiatrico San Niccolò a Pisa e l’abbazia di San Galgano a Chiusdino.

Un week end speciale, da non perdere!

Informazioni: www.fondoambiente.it/Chi-siamo/Index.aspx?q=delegazione-toscana[:]

[:it]Firenze: il profumo di una città[:en]Florence: the scent of a city[:]

[:it]20170225_172620di Nadia Fondelli – E’ una svedese la vincitrice del Premio nazionale i profumi di Boboli 2016 – fragranze di fieno. Firenze continua così la sua tradizione artigianale profumiera da Caterina dei Medici all’oggi.  La proclamazione avvenuta a Villa Arrivabene alla presenza del Presidente del Quartiere 2 Michele Pierguidi.

Da un’idea di Maria Galassini è nato a Firenze, col patrocinio del comune, il premio nazionale dedicato ai talenti olfattivi.
Una novità che riporta la città del giglio al centro dell’arte profumiera mondiale. 20170225_173650Quella stessa alta artigianalità che da qui è partita alla corte di Caterina alla conquista di Parigi e del mondo qui oggi ritorna.

Non a caso a Firenze esistono ancora oggi tanti nasi importanti; creativi artigianali di fama mondiale che fuori dalle griffe del profumo “da catena di montaggio” operano all’ombra di quelli che furono i giardini officinali delle spezierie medicee.

Non è un caso neppure che a Firenze sia stato da poco inaugurato anche un percorso turistico odoroso alla scoperta di antiche botteghe ed erboristerie e non è un caso infine che abbia sede a Firenze nei prestigiosi spazi di quella che è dal 1700 una spezieria la Scuola Italiana del Profumo diretta dalla Dottoressa Fernanda Russo.

Il fieno con tutte le sue valenze evocative, non solo emozionali primordiali ma anche ecosostenibili, è stato il tema protagonista intorno a cui i giovani e talentuosi nasi si sono dovuti confrontare.
Quattro i parametri usati per decretare, fra i sei finalisti, il vincitore così come illustrato dal presidente di giuria Giovanni Di Massimo titolare delle antiche profumerie Palazzo Vecchio.
La capacità di interpretare il tema, la persistenza, le qualità evocative intrinseche, il racconto della scheda tecnica.

E perché fieno doveva essere fino in fondo, nel corso della premiazione finale anche le Dolomiti più autentiche con l’antica cultura ladina rappresentata dal performer Simon Kostern erano presenti con una narrazione che fra il “lusco e il brusco” ha condotto sulle montagne, all’interno dei masi, a vivere quell’aria genuina di alpeggio e fieno appena tagliato.

Quel fieno che ha evocato emozioni anche nei flaconi finalisti che hanno messo in serio imbarazzo la giuria di tecnici che un vincitore dovevano pur decretare.
Sul filo di lana si è aggiudicata il premio e l’opportunità di veder produrre e vendere le prime cento bottigliette della sua creazione dalle antiche profumerie Ponte Vecchio la svedese Kerstin Stromberg, una vincitrice internazionale per un ambasciatore privilegiato del made in Florence. Il profumo di “fieno” del concorso I Profumi di Boboli.

Un premio che dona prestigio a Firenze esaltando le sue grandi tradizioni d’eccellenza artigianale.[:en]20170225_172620 20170225_173650Nadia Fondelli – It ‘a Swedish the winner of the National Prize of Boboli perfumes 2016 – of hay fragrances. Florence continues its tradition of craftsmanship perfume by Catherine of Medici to today.
The announcement took place at Villa Arrivabene the presence of President of the District 2 Michele Pierguidi.

The idea of Maria Galassini was born in Florence, under the auspices of the municipality, the national award dedicated to olfactif talents.
A new feature that brings the town of the lily to the art world perfume center. That same high craftsmanship that from here started at the court of Catherine the conquest of Paris and the world back here today.

Not by chance in Florence there are still many important noses; creative world famous craft that out of the perfume brands “assembly-line” operating in the shadow of those who were the medicinal gardens of the Medici spices.

It is no coincidence that even in Florence has been recently opened also a tourist route odorous discovering old shops and herbalists, and it is no coincidence that finally has its registered office in Florence in the prestigious premises of what has since 1700 an apothecary Italian School of Perfume direct  by Dr. Fernanda Russo.

The hay with all its evocative values, not only primordial emotional but also environmentally sustainable, has been the subject protagonist around whom the young and talented noses have been presented with.
Four parameters used to declare, among the six finalists, the winner as illustrated by jury president Giovanni Di Massimo holder of the ancient perfumery Palazzo Vecchio.
The ability to interpret the theme, the persistence, the intrinsic evocative qualities, the tale of the data sheet.

And because the hay had to be all the way, during the award ceremony also the most authentic Dolomites with the ancient Ladin culture represented by the performer Simon Kostern were present with a narrative that between “lusco e brusco” led to the mountains, to ‘interior of the huts, to live genuine air of pasture and freshly cut hay.

That Hay who also evoked emotions in bottles finalists who put seriously embarrassed the technical jury that they were going to declare a winner.
The wire was awarded the prize and the opportunity to see produce and sell the first one hundred bottles of its creation by the ancient Ponte Vecchio perfumeries Swedish Kerstin Stromberg, an international winner for a special ambassador of Made in Florence.
The scent of “hay” of the contest The Boboli Perfumes.

An award that gives prestige to Florence enhancing its great traditions of excellent craftsmanship.[:]