Consorzio tutela vini Friuli Colli Orientali e Ramandolo. La spada di Cividale del Friuli si immerge nel calice

Consorzio tutela vini Friuli Colli Orientali e Ramandolo. La spada di Cividale del Friuli si immerge nel calice

di Barbara Tedde – Presso l’Abbazia di Rosazzo – meraviglioso luogo di culto in essere dal 1100 d.C. – si respira aria di festa; sono presenti dal Presidente del Consorzio alle maggiori Cariche Istituzioni locali, e nessuno si esime dal lasciarsi andare a toni piacevolmente amichevoli.

La festa di compleanno del Consorzio all’abbazia di Rosazzo

Complici anche gli assaggi desueti che hanno destato lo stupore di palati meno moderni, dal Picolit, al Verdicchio e al Ramandolo che hanno aperto le danze inaspettatamente – no, nessuna bollicina per iniziare, qui si parte col dolce botto! – ed un sottofondo di disco-music anni Novanta.
Un teatro di unica bellezza, dalla terrazza
tergale si gode di un panorama unico al mondo. L’Abbazzia è circondata da un gran numero di roseti piantati nel 1998: qui sono presenti tutte le più importanti famiglie di rose antiche (gallica, alba, damascena, centifoglia, noisette, bourbon, cinese, whicuraiana ecc) oltre a diversi rosai moderni.


Le nubi gonfie e plumbee rendono l’atmosfera ancora più bella, le colline sottostanti alla terrazza,
dove risaltano lunghissimi tavoli già apparecchiati, appaiono come una moquette verde smeraldo. La cena eseguita da quattro mani stellate ha regalato momenti unici, piatti attraverso i quali viene raccontato un territorio, spaziando dall’entroterra al mare. Mani preziose di Emanuele Scarello del “Agli Amici di Udine” e di Matteo Metullio dell’ “Harry’s Piccolo” hanno sottolineato il carattere Friulano, caparbio e perfezionista che neanche una tempesta improvvisa ha saputo interrompere.
Si inizia con una seppia, il suo nero ed una salsa verde, un delizioso toast di scampi e
faraona, maionese al wasabi e misticanza asiatica. Il temporale cade proprio col risotto cotto in gazpacho, caviale, caprino e lime, ma il via vai per ripararsi non ostacola la perfezione del piatto – soprattutto la cottura del riso! -. Ne segue il capretto dei Colli Orientali del Friuli con albicocca e melanzana, concludendo con le complessità parallele preparate con cioccolato, piccoli frutti e olivello spinoso – pianta di origine asiatiche ricca di vitamina C – . Delizia e gioia al palato, oltre che punto di equilibrio nel piatto, tanto da sembrare una scultura moderna. Una cena memorabile che non passerà inosservata, le candeline spente sul cinquantesimo dei Colli Orientali rimarranno sicuramente nella storia.


In degustazione innumerevoli etichette, molte delle quali assaggiate durante la cena. Eccone solo
alcune: Ramandolo di CaFelice, Nojar Rosazzo di Colutta, Schioppettino di Prepotto ed il Rosso Riserva 2020 di Sergio Pitticco, il Conte d’Attimis-Maniago con il Pignolo, La Chiusa con il Rosso del Torrione, Myò di Annalisa Zorzetting con il Pignolo, Refosco dal Peduncolo rosso di Rodaro, il Suvignon di Comelli, Roberto Scubla con il suo Rosso Scuro, il Refosco di Faedis, Valerio Marinig con lo Schioppettino di Prepotto ed il suo Biel Cur, il Picolit di Valentino Butussi, il Refosco di Faedis De Luca, il Friulano Scarbolo di Sergio Scarbolo, il Refosco dal Peduncolo rosso di Giovanni Dri, la linea di Valle San Blas con la ribolla gialla di Rosazzo, La Viarte con lo Schioppettino di Prepotto riserva 2013, il Gramogliano 2020 di Canus, Pizzulin Denis ed il suo Schioppettino di Prepotto, Bastianich con il sauvignon, Tunella con Biancosesto, Fedele con il Sauvignon, Stroppolatini con il Bianco Colle di Giano, La Sclusa con il Sauvignon, Perusini con il Pinot Grigio, Grilloiole con il Sauvignon blanc, Ca’ Lovisotto con la ribolla gialla, Marina Danieli con il Pinot Grigio, Rocca Bernarda con il Pinot Grigio, Alturis edil suo Friulano, Marina Danieli con lo schioppettino e la ribolla gialla, Felluga – pioniere di Rosazzo e conosciuto in tutto il mondo – con la sua ribolla gialla e Abbazia di Rosazzo, Gigante con il Pinot grigio.
Ed ancora una passerella infinita di Picolit e di Ramandolo: Sarebbero stati necessari più nasi e più bocche in una sola testa per poter arrivare in fondo alla grande lista di vini; perciò, prendersi sempre più tempo per gli assaggi di quello previsto è il consiglio che mi sento di dare.

Una lingua per tutti – La tasting academy

Il vino ed i suoi accenti, ed ogni uva parla in modo diverso a seconda delle zone. Così come gli uomini, ogni vino è espressione unica, una goccia divina che è importante cogliere in ogni calice.
La Testing Academy finalizza gli assaggi ad una visione che va oltre, un po’ come gli ultrasuoni, impercettibili all’orecchio umano ma che penetrano nella pelle apportando benefici.
Le
degustazioni organizzate dalla Testing Academy sono Indirizzate a tutti, agli operatori di settore ma anche agli appassionati. I profani sono sempre ammessi, basta che siano pronti ad assaggiare, assaggiare ed ancora assaggiare. Un modo ed un mondo affascinante e diverso di approcciarsi al vino, tenendo a mente che l’aspetto evolutivo, soprattutto quando si tratta di bianchi, può portare a sorprese di ogni tipo.


La Testing Academy nasce nel 2019 e si avvale di studi e monitoraggi che vengono effettuati da
vent’anni sul territorio. Una montagna di dati utili al fine di raccontare i vini.
“Il vino è il tramite di quello che possiamo raccontare della terra, il vino è il collante che mette insieme le persone, un’esperienza unica, un luogo dove scoprire la soggettività dell’assaggio che deve rimanere sacrosanto”. – Matteo Bellotto –
Ed è qui, presso il Consorzio a Corno di Rosazzo che si svolgono questi incontri: una sala all’interno della Villa settecentesca Nachini – Cabassi con un grande schermo e postazioni che arrivano ad ospitare 30 persone. In degustazione 32 vini per capire gli accenti dei vini, capaci di raccontare la terra dove affondano le radici della pianta.
Un’ esperienza destinata a tutti coloro che vogliono approfondire il linguaggio del vino – per gli operatori di settore è gratuito, mentre per gli appassionati il costo è di 1 euro ad assaggio -. La sede è aperta tutti i giorni su prenotazione, facilmente effettuabile attraverso il sito del Consorzio Friuli Colli Orientali e Ramandolo.


Calici in alto sul ponte del diavolo

E’ Cividale del Friuli la capitale della denominazione dei Colli Orientali, tant’è che il logo del Consorzio in nuova veste rappresenta la spada – simbolo cividalese – la cui lama affonda in un bel calice.
Nel paese non potevano mancare i festeggiamenti con un gremito pubblico che si è
riversato sul Ponte del Diavolo, accolto da sommelier che non si peritavano a riempire ogni calice.
Il Ponte del Diavolo unisce le due sponde di Cividale e la sua storia è accompagnata da una leggenda – in Italia ci sono diversi Ponti del Diavolo accompagnati da egual storia, frutto di ardite fantasie medievali – .
Cividale del Friuli fu fondata da Giulio Cesare con il nome di Forum Iulii, da cui viene il nome Friuli, nel 568 d.C. Cividale divenne sede del primo ducato longobardo in Italia e in seguito, per alcuni secoli, residenza dei Patriarchi di Aquileia. Questo patrimonio storico e artistico è stato riconosciuto dall’UNESCO.
ll ponte del Diavolo è uno dei simboli di Cividale del Friuli. Le due sponde erano unite,
almeno dal Duecento, da un passaggio in legno, sostituito dopo diversi tentativi inconcludenti dal manufatto in pietra progettato da lacopo Dugaro da Bissone, che ne iniziò la costruzione l’anno 1442. I lavori, lenti e contrastati da avversità di varia natura, proseguirono cinque anni dopo sotto la guida di Erardo (o Everardo) da Villaco, già collaboratore del Dugaro, che forse era morto di peste o, secondo altre versioni, si era defilato senza onorare interamente i suoi obblighi contrattuali. Deceduto il capomastro Erardo, era Bartolomeo delle Cisterne a ultimare l’agognato ponte, che in base ad un atto notarile sappiamo essere stato lastricato nel 1501 ed ancora nel 1558. Le sue estremità erano difese da torri, abbattute verso la seconda metà del secolo scorso.
Lavori di restauro si sono succeduti nel tempo per mantenere in piena efficienza ‘indispensabile passaggio, che doveva sopportare le piene impetuose del fiume. Nel 1843, durante i lavori di rinforzo del pilastro centrale, vennero rinvenuti due importanti cippi di epoca romana, ora in Museo. (Testi tratti dalla guida Storico Artistica di Claudio Mattaloni ) 
A Cividale, proprio sul fiume Natisone, si possono fare percorsi con la canoa ed approfittarne per un tuffo nelle acque cristalline durante le giornate più afose; altrimenti, per i più pigri, non mancano le panchine dove sostare e godere del paesaggio. I luoghi di ristoro sono vari e tutti di alto livello, menù che spaziano da piatti tipici come il frico con patate, gli gnocchi di susine, il goulash, la polenta sempre in accompagno e per finire gli strucchi e la gubana, dolci tipici ghiotti da inzuppare nella grappa a discrezione, fino a menù dal sapore più mediterraneo, a base di verdure e formaggi freschi.


Villa Romano – Il pranzo a casa Rodaro: wines love

“Il verde che circonda la mia vita è merito di mio marito. chi avrebbe mai pensato di incontrare, in quel giorno del 2012, un uomo così autentico, un uomo, che incuriosito, potesse bussare allo sportello della mia auto ed invitarmi a bere un caffè?” – E’ l’inizio della storia d’amore tra Lara Boldarino e Paolo Rodaro, lei esplosiva, capelli rosso ramato, occhi azzurri, bellissima ed innamorata. Lui ha un carattere deciso, ama la vita e ha gi occhi vivaci, la sua introversa esuberanza – ossimoro ma è così – rappresenta la sesta generazione della sua famiglia, vignaioli di Spessa.

Aprono le porte della casa dove vivono, una splendida Villa del XVI secolo dominante su una delle
più belle colline della località di Spessa. Paolo produce vino solo con le sue uve, lo fa con un’attenzione maniacale: vuole sperimentare sempre e lo fa con tutte le sue forze, da buon friulano. Il pranzo da Rodaro è così bello e conviviale che sembra di vivere una scena de “il pranzo di Babette”: le sale sono affrescate per mano di Jacun Pitor, pittore e burattinaio viandante che nel 1911 barattò la sua arte in cambio di vitto e alloggio da parte del Conte Romano, all’epoca proprietario della Villa. Le immagini ritraggono scenari tra il sacro ed il profano ed è proprio sotto gli occhi dei volti naif che si condividono vini e piatti tipici. La tavola è imbandita di Polenta, pane e grissini, ciotoline con il Pestat di Fagagna – lardo macinato con spezie da spalmare sul pane o polenta, i nervetti conditi, le polpettine di carne, formaggi e salumi locali, la trota iridea affumicata, la frittata con erbe selvatiche, il frico con patate, la pasta fresca alle erbe condita con burro e ricotta affumicata – i Cjarsons. E poi non poteva mancare la Gubana, dolce tipico da accompagnare con la Sligowitz – acquavite di prugna. In accompagno i vini dei produttori presenti, più di dodici e con etichette diverse. Da ricordare: il refosco dal peduncolo rosso Rodaro, la ribolla gialla Rodaro, il M.C. Pas Dosé Rodaro, Il Friulano del Castello Sant’Anna, lo Schioppettino di Faibani.


Valdichiarò – Un sabato con il pranzo della domenica

Non è domenica ma ne ha tutta l’aria. L’Azienda Valchiarò apre le porte insieme ai colleghi nella zona di Torreano a pochi minuti di auto da Cividale. L’ospitalità è fatta di sguardi, sì, ma non è possibile distogliere la vista dal meraviglioso ed immenso braciere sopra il quale poggiano carni succulente di ogni tipo. Al lato un grande tavolo con frico e polenta già ordinati e tagliati, ed i volontari del Consorzio a preparare e servire il tutto. Sembra di essere in osteria, tanti gli assaggi dei vini posati sopra un carretto all’interno della cantina Valchiarò, con immensi sguardi dei produttori che si prodigano a soddisfare i palati di ogni avventore. Come in una festa della domenica ognuno fa assaggiare i propri prodotti, come fossimo i parenti lontani, quelli che si vedono solo per le feste.
Valchiarò apre le porte della sua cantina con botti e barrique, facendo assaggiare le etichette di Refosco dal peduncolo rosso, il Nexus Friulano 2021 oltre che il Pinot Grigio. Presenti anche il M.C. Ribolla Gialla dell’azienda Guerra Albano Giuliet ed il suo inedito Pinot Nero, il Pinot bianco 2022 di Jacùss, l’Esplosivo di Tralci di Vite, giovani produttori dalle idee enologiche già ben chiare. E poi la convivialità del momento, tutti in sala degustazione con davanti ad un piatto di carni alla brace e polenta, trasformano un sabato qualunque in una domenica come in famiglia.

I Colli Orientali sono un luogo di cultura e di benessere per il corpo e per lo spirito, e per chi ha voglia di sperimentarsi viticultore non mancano le aziende pronte all’accoglienza per il periodo della vendemmia. Tutte le informazioni a riguardo sono consultabili sul sito del Consorzio Friuli Colli Orientali e Ramandolo.
Per poter godere appieno di ogni azienda, è consigliabile prendersi del tempo e non avere fretta. Si possono gustare vini e specialità gastronomiche togliendo l’orologio, senza correre. I Colli Orientali, oltre ad essere famosi per i vini bianchi, hanno da raccontare molto, molto di più.

Buon Compleanno! Il Consorzio Friuli Colli Orientali e Ramandolo compie cinquant’anni

Buon Compleanno! Il Consorzio Friuli Colli Orientali e Ramandolo compie cinquant’anni

di Barbara Tedde – Un Consorzio dinamico e frizzante, quello del Friuli Colli Orientali e Ramandolo; cinquant’anni
compiuti ufficialmente nel 2020 e che per motivi pandemici è scivolato allo scorso luglio 2023.
Un’occasione per conoscere un territorio che si presenta armonico e ordinato, con paesaggi
collinari dolci e ricamati da filari, villette senza muri di recinsione né griglie alle finestre, circondate
da giardini pettinati e adornati di piante in fiore.

Un compleanno speciale

Colli Orientali è un areale del Friuli Venezia Giulia – siamo nella provincia di Udine – baciato dalla fortuna, un po’ perché il Mar Adriatico lo accarezza a due passi di distanza, un po’ per la protezione garantita dalle Alpi Giulie, che ostacolano i soffi freddi della Bora. Un terreno unico al mondo, dove affondano le radici della vite, qui coltivata in abbondanza e presente da più di mille anni.
Un Consorzio, quello del Friuli Colli Orientali e Ramandolo, come se ne vedono pochi: 200 i consociati, uniti e coesi come raramente se ne vedono. Durante le degustazioni hanno fatto gruppo senza alcuna prevaricazione, ognuno ha presentato il proprio prodotto invitando ad assaggiare anche il vino dei colleghi produttori, all’unisono con il solido obiettivo di farsi conoscere come Consorzio e non come singola Azienda.
Ed è così che il gruppo fa la forza, capitanato dal presidente Paolo Valle dell’Azienda Valle di Buttrio che sottolinea l’importanza della comunicazione, non intesa come strategia di marketing, bensì di divulgazione di un territorio che non ha eguali in tutto il Pianeta, con la peculiarità di distanziarsi dalla massificazione di un turismo mordi e fuggi. Qui, in questo angolo di una regione di confine, la storia si intreccia con gli abitanti, con i vini e con i prodotti gastronomici, rendendola una mèta affascinante e tutta da scoprire, soprattutto per le antiche tradizioni contaminate da diverse varietà di popoli.
“Non siete qui per assaggiare i vini più buoni del mondo, ma per assaggiare vini unici al mondo”, così esordisce Matteo Bellotto – Ambasciatore del Consorzio, nonché fondatore della Tasting Academy – prima delle degustazioni. Matteo scrive di vita friulana attraverso i suoi libri e parla della sua terra con una passione fuori dal comune.


Le Docg e le sottozone della Doc Friuli Colli Orientali

La DOC Friuli Colli Orientali comprende i comuni di Attimis, Buttrio, Cividale del Friuli, Corno di Rosazzo, Faedis, Manzano, Nimis, Pavoletto, Premariacco, Prepotto, Reala del Rojale, San Giovanni al Natisone, Tarcento, Torreano e Tricesimo.
E’ l’unica DOC in Italia che ha al suo interno
tre DOCG. Le DOCG sono Rosazzo, Colli Orientali del Friuli Picolit e la DOCG Ramandolo.
Le
sottozone sono cinque: Schioppettino di Pepotto, Cialla, Refosco di Faedis e le due sottozone di Rosazzo, una per la ribolla gialla ed una per il pignolo. A breve arriverà anche la sesta sottozona con il Savorgnano bianco che prevederà almeno un 70% di friulano con picolit variabile dal 15 al 30%.

Il Consorzio Tutela Vini Friuli Colli Orientali e Ramandolo e la sua produttività

Giusto un accenno su alcuni dati aggiornati al 2021 in Friuli: sono 28.826,9 gli ettari vitati, suddivisi in 66 varietà – nella prima metà dell’800 erano contate più di 300 varietà che a causa di oidio, peronospera e fillossera sono andati a scomparire – . Le varietà sono state divise, oltre che per zona, anche per età dell’impianto dal 1850 ad oggi. Un lavoro capillare da parte del Consorzio Friuli Colli Orientali e Ramandolo, finalizzato a capire anche l’età di ciascuna pianta. Il pinot grigio, la glera e la ribolla gialla ricoprono la maggior parte della produzione totale.
L’area dei Colli Orientali ricopre il 13% di tutta la regione, ovvero 1956 ettari, ed i vigneti hanno in media più di trent’anni.
Da parte del Consorzio, inoltre, è stato eseguito un lavoro certosino con la mappatura di 5.400 vigne ed una raccolta di dati sull’andamento stagionale e sul terroir degli ultimi 25 anni. Un lavoro, questo, per dare l’opportunità a ciascun produttore, di conoscere il contesto nel quale opera, allo scopo di dimostrare al pubblico l’unicità dei vini prodotti attraverso dati importanti.
L’uva come protagonista rappresenta, anch’essa, una forma per comunicare il vino ed il suo territorio, quasi antropomorfizzata, con le 5400 vigne mappate, che, varietà per varietà, sono state tutte passate al setaccio; dalla quantità di zuccheri alle acidità contenute nelle uve, così da produrre informazioni utili anche da un punto di vista economico, ovvero essere in grado di offrire un prodotto per ogni esigenza.
Tra l’olistico, il filosofico ed il matematico, Matteo Bellotto invita
agli assaggi presso la sede del Consorzio, proponendo diverse etichette di vecchie annate da assaggiare in maniera anarchica, ognuno servendosi di ciò che più lo intriga.
Le annate sono tutte
diverse, alcuni bianchi manifestano cadute, altri freschezza e acidità vive come alcuni sauvignon, friulano e ribolla gialla, ma è il Picolit che svetta con profumi meravigliosi e freschezza in equilibrio con le parti gliceriche, tanto da farmi tornare in mente alcuni Sauternes.


A casa di Roberto Scubla ad Ittris

L’Azienda di Roberto Scubla si trova ad Ittris di Premariacco, a pochi km da Buttrio dove è situato l’Hotel Le Fucine, un quattro stelle superior nuovissimo, dai prezzi davvero invitanti (ai quali siamo poco abituati). Una struttura lussuosa ma sobria, attrezzata di SPA e piscina – attiva dal prossimo anno – vede un grande punto di forza, oltre che nei servizi di alto livello, nella posizione strategica per visitare le cantine ed i paesi circostanti. Vicino anche alla costa – in mezz’ora si può arrivare ad i lidi – ha un’ ottima posizione persino per chi arriva in aereo da Venezia, ed ancor più da Trieste.
L’azienda di Scubla gode di un panorama meraviglioso: la casa ha un impatto gentile con il paesaggio che la circonda, così come il padrone di casa, produttore accogliente e saggio come i vini da lui prodotti.
Le vigne, da queste parti, sembrano non avere età, così rigogliose e floride pur non avendo meno di vent’anni – alcune ne hanno addirittura settanta – . La media dell’età degli impianti è di trent’anni, ma se non fosse stato per la fillossera probabilmente avremmo bevuto vini prodotti da piante di oltre 100 anni. Qui le vigne stanno bene, il microclima è eccellente, la ponca, in tutte le sue declinazioni, è un grembo perfetto per affondare le radici. Vicine al mare e alla montagna godono di ogni comfort stagionale, la bora ostruita dalle Alpi Giulie si trasforma in un vento essenziale ad asciugare ogni umidità. E poi c’è l’uomo, che ben pensa a fare il resto, sussidiato anche da strumenti importanti forniti dal Consorzio per poter tracciare il futuro del proprio vino.
Nella sala degustazioni di casa Scubla si respira aria di casa, ma non saranno solo i suoi vini ad essere assaggiati.


L’azienda Tunella è la prima ad aprirci il naso ed il palato con la sua Valmasia 2021, un gioco di
parole per la malvasia istriana in purezza profumata e dal sorso sapido – alla quale segue un sauvignon, il Collmatisse 2021 che rispecchia l’impronta territoriale della ponca: è spiccata la sapidità, un trionfo di erbe aromatiche e poi fragranze agrumate ed una grande avvolgenza.
La Tunella è un’azienda famigliare, terza generazione della grande famiglia Zorzetting che dal 1960 coltivava vigneti. Nel 1986 Massimo e Marco Zorzetting fondano la propria azienda sulla strada verso Cormons. Nel 2002 cambia nome in Tunella, diminutivo di Antonella. Sono 70 gli ettari distribuiti nella zona di Cividale, Spessa e Rosazzo.

Si procede con l’Azienda Ermacora per voce di Nicola, giovane appassionato e grande narratore
riguardo alla storia della sua famiglia. Ermacora – dal nome del Santo patrono del Friuli Venezia Giulia – inizia negli anni Settanta del Novecento con quattro ettari e dal 1990 produce vini con la propria etichetta, abbandonando quell’arte contadina di un tempo – “i vini si facevano in bland e vinificavano in botte” –. Oggi l’acciaio ha preso il posto del legno ed il vino è prodotto in monovitigno. Il pinot bianco – che nella regione conta 472 ettari totali – cresce in Friuli dal 1870, ed è proprio qui, ad Ipplis, che ha trovato il suo agio per una vita ideale. Assaggiamo il 2021, una delle annate migliori: al naso è burroso ed allo stesso tempo agrumato, elegante e fragrante, porta alla bocca una morbidezza snella; è deciso nella sua mineralità e rilascia lunghezza di frutti in fiore, di zagara e bergamotto. Il Sauvignon Ermacora 2021 esplode in bocca più che al naso, non eccede nelle aromaticità standard del vitigno – come, del resto, tutti i sauvignon dei Colli Orientali – è materico e fresco, racchiude polpa e grande piacevolezza.


E’ la volta di Paolo Cernetig, dell’omonima azienda, il quale, con poche parole, esprime il carattere
friulano, quello vero: azienda piccola quella di Cernetig – c’è un paese vicino alla Slovenia che porta questo nome -. Il nonno ha fatto la prima vendemmia nel 1924, ma Paolo, nonostante la lunga esperienza, sperimenta continuamente, convinto di non aver raggiunto ancora la sua idea di perfezione enologica. Una bassa produzione, 5 ettari di vigneto curati come figli. Paolo si considera un hobbista – ah! L’umiltà Friulana –, ma lavora sodo e non ha dimestichezza con il pubblico. Le sue vigne sono “anziane”, i filari di merlot – mi raccomando, merlot si pronuncia come si scrive, da queste parti – portano cinquant’anni sulle spalle; egli vinifica con sistemi suoi, non si affida totalmente agli enologi e deve toccare con mano la sua vigna ogni giorno. Il carattere friulano esce con la malvasia istriana 2020 (pensare che la malvasia più vecchia ancora produttiva si trova nel comune di Gorizia e risale al 1850), un vino di sorprendente dinamicità, di quelli che si ricordano. Il naso è dolce, spazia dai frutti tropicali all’uvetta ed in bocca non si ferma, grazie alla mineralità e alla freschezza in perfetto equilibrio tra loro. Il Pinot Bianco 2021 è morbido e sapido; anch’esso si muove ogni secondo, ha una parte aromatica distratta ed intrigante, mi rammenta che i grandi vini sono i più introversi e si confidano solo con chi può ascoltarli. Lo ascolto ma lo vorrei in solitaria, per goderne appieno ogni sentore che profuma di questa terra. Il sorso è elegante, vorrei berlo tutto e raccontarlo di più. Avrò altra occasione…

Rocca Bernarda
, rappresentata da Enrico Pimazzoni che si occupa della parte commerciale,
racconta la storia di questa grande azienda che produce vino dal 1559, ed è la seconda azienda più antica del Friuli.
Il Sauvignon 2021, preciso al naso come in bocca, ha note iodate che primeggiano sul frutto, un vago ricordo che mi porta alla Vernaccia di San Gimignano. Il gusto è gastronomico, sapido e di bella struttura. Un terroir quello di Rocca Bernarda ad alta vocazione per la produzione vinicola, 40 ettari vitati con autoctone ribolla gialla e friulano ed altri vitigni alloctoni. Il Picolit è il vino bandiera dell’azienda, con una bottiglia ancora in essere che risale al 1880.
Ma Rocca Bernarda è famosa anche per il suo pinot grigio ramato, e per il Pignolo, un vitigno autoctono che era stato dimenticato. Una piccola produzione per questo vitigno dalla buccia spessa e dagli acini piccoli e compressi – proprio come una pigna – . Una produzione di nicchia con 70 ettari in tutta la regione per 66 produttori; un vino prodotto solo nei Colli Orientali.
“Il problema dei friulani è che sono innamorati del proprio prodotto e gli innamorati non ragionano e sono deboli”. Le parole riportate da Matteo Bellotto, peraltro citazione di un rinomato produttore, ci fanno prendere ulteriore coscienza del carattere dei friulani – ad ogni buon conto, credo che ogni produttore di vino in ogni angolo di mondo sia innamorato della propria terra – . Indefessi nel lavoro, perfezionisti e di poche parole, sono gelosi di ciò che gli appartiene, tanto da faticare anche a raccontarla, come se le parole non fossero mai giuste per descrivere divini sentimenti.
Si parla di omogeneità nelle varietà, ma non esiste omologazione negli assaggi, tutti i vini sono frutto dell’interpretazione di chi lo ha fatto, ogni produttore, del resto, porta sempre il suo alter ego dentro ciascuna bottiglia.


Il padrone di casa, Roberto Scubla, presenta il suo il Pinot bianco 2022 Scubla, polposo e
croccante, ed il Bianco Pomédes, un bland di Pinot bianco 60%, 30% Tocai friulano, 10% Riesling Renano che fa tornare subito ai magnifici terpeni. “Per i vini da imbottigliare bisogna tendere alla massima maturità ottenuta attraverso la selezione delle uve più mature, dove si perde un po’ di acidità. La vite, alla fine, attraverso l’apparato radicale assume sali minerali e trasforma gli zuccheri, ma l’uva deve essere sana. L’uva sana deriva dalla ventilazione che si ottiene orientando i vigneti verso la presa d’aria migliore, dove il vento che attraversa le valli del Natisone soffi fresco e secco per asciugare il grappolo. Questo permette di far arrivare i chicchi alla maturazione perfettamente sani, ed è così che si ottiene l’aromaticità”. Queste le parole di Scubla, per il quale l’uva più sana conferisce maggiore aromaticità e lo sviluppo dei terpeni deve raggiungere la perfezione, prerogative, queste, per un vino che debba essere ricordato.
Il Bianco Pomedes è frutto di un bland delle viti più vecchie, alcune raggiungono 70 anni, la cui fermentazione avviene in legno per poi andare in acciaio a maturare per 10 mesi. Un vino forgiato di premi dalle migliori testate di settore e che resta davvero nella memoria. All’olfatto si pone con note di burro fuso e frutti a pasta gialla, è speziato e la morbidezza con la quale si presenta in bocca è ammaliante. La sapidità sul finale invita nuovamente al sorso, elegante e memorabile, un bland che è la firma dell’azienda Scubla.

Le Donne del Vino promuovono vetro leggero. I produttori che già lo fanno ma non lo dicono

Le Donne del Vino promuovono vetro leggero. I produttori che già lo fanno ma non lo dicono

“Vetro leggero e nuove sfide” è stato il tema del convegno promosso da Le Donne del Vino della Toscana svoltosi lo scorso 8 giugno presso i locali della Vetreria Etrusca a Montelupo Fiorentino.
Il tema del packaging per il
vino è argomento ormai discusso da anni, quell’idea della bottiglia di vetro più leggera che molti già adottano al fine di ridurre emissioni di CO2 per la sua produzione. Ma repetita iuvant!

Vetreria Etrusca, la storia del contenitore di vetro

Vetro leggero come uovo di colombo per un’enologia sostenibile?

Più pesante più importante, questa la percezione sul consumatore che si trova di fronte ad un packaging del vino che solo da vuoto può pesare anche fino ad 1,2 kg. Insomma, sebbene il vetro sia un materiale eterno e riciclabile all’infinito, è bene fare chiarezza. Il vetro sì, è riciclabile ma per
il suo riutilizzo occorrono specifiche lavorazioni.
E a tal proposito sono stati diversi gli interventi durante il simposio, egregiamente moderati dalla giornalista Raffaella Galamini.
Sono
intervenute l’Assessore alle Politiche Sociali e alle Pari Opportunità Stefania Fontanelli, la Vice Presidente della Regione Toscana ed Assessora all’Agroalimentare Stefania Saccardi, la Dottoressa Marta Galli direttore dell’Osservatorio sulla sostenibilità nei settori del vino e turismo del vino dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Donatella Cinelli Colombini produttrice e Delegata delle Donne del Vino Toscana e Paola Rastelli, vice delegata regionale, Andrea Bartolozzi proprietario insieme alla famiglia di Vetreria Etrusca.
Ogni produttrice presente,
inoltre, ha espresso parere favorevole all’uso del vetro leggero, ma qualcuna con qualche perplessità “dall’Asia mi hanno ordinato una ingente quantità di vino ma rigorosamente in bottiglie pesanti… cosa gli dico?”

Donatella Cinelli Colobini

In Toscana la vetreria storica che si proietta nel futuro

Miglior location non poteva essere scelta: Vetreria Etrusca opera nel settore dal 1920 e ad oggi gode di uno stabilimento dotato di tecnologie avanzate sostenibili, un abbattimento del 40% delle emissioni di Nox –monossido di azoto, sostanza altamente inquinante prodotta dalla combustione industriale – per la produzione del vetro.
Vetreria Etrusca
utilizza fino all’85% di rottame di vetro nella produzione dei suoi contenitori riducendo le emissioni di CO2 del 20% e di materie prime del 58%, calcolando che per produrre 1 kg di vetro fuso occorre normalmente 1,1 kg di materie prime.
Oggi Vetreria Etrusca per produrre 1 kg di vetro
riesce ad utilizzare solo 0,275 kg di materie prime. Sono dati importanti, soprattutto per chi del vetro ne fa un uso indispensabile per il proprio
prodotto.
Il tema saliente ha visto un parterre di produttrici tutte favorevoli a produrre il vino con bottiglie più leggere, non più bottiglie dai 400 gr. in su, bensì leggere, leggerissime.
Ma quanto potrà incidere questa scelta
sul consumatore finale?
I paesi come la Svezia ed il Canada sono i clienti
più sensibili, tutti propensi al vetro leggero, scegliendo il vino in base a questa prerogativa. Una bottiglia sotto i 15 Euro deve avere il packaging
sostebile, altrimenti niente ordini. “c’è la convinzione che il vetro leggero danneggi la qualità del vino, soprattutto quello da invecchiamento; è una fake news che va rimossa perché le cantine hanno voglia di essere sostenibili ed il mercato deve aiutarle” -sostiene Donatella Cinelli Colombini. Ed ancora la dott.ssa Marta Galli afferma che – “a volte ci sono dei falsi miti che hanno i consumatori che spingono le aziende a farlo ma a non dirlo per paura di uno svantaggio competitivo”-.


Quale sarà la risposta dei mercati?

L’Asia si sta avvicinando all’idea, sebbene abbia da sempre preferito lo slogan più pesante la bottiglia migliore è il vino al suo interno.
Luoghi
comuni che dovranno essere abbattuti prima o poi, avvicinandosi all’idea che è necessaria una maggiore consapevolezza per evitare un Pianeta alla deriva, una emergenza che sempre più si fa sentire, una sensibilizzazione che deve trovare in ognuno la presa di coscienza di iniziare a rispettare l’ambiente in ogni singolo momento della giornata.
Ma come sono fatte le bottiglie in vetro leggero? Le bottiglie prodotte saranno standardizzate, ovvero con un’unica forma ed un ugual colore verde scuro. Contro ogni credenza il vetro trasparente è più costoso perché la lavorazione è più complessa, mentre il vetro di colore verde richiede meno impegno energetico.

Vetro leggero già realtà. Ecco come combattere falsi miti e pregiudizi.

Vero è che sarà l’etichetta a farne la differenza, ma spesso i sensi sovrastano il buon senso: quanti pensano che dentro una bottiglia dalla forma più originale ci sia un prodotto di maggiore qualità?
Ed in quanti
penseranno che la bottiglia è leggera perché il produttore vuole risparmiare? Diciamocela tutta, il packaging ha un suo valore, non foss’altro per l’aspetto estetico e tattile, ed è così che in molti produttori scelgono un vestito diverso per una comunicazione immediata e colpente.

Ma sono già molte le Aziende produttrici che lo fanno e non lo dicono –
l’uso del vetro leggero, s’intende – , proprio per evitare che il preconcetto possa avere ripercussioni nel mercato.
Educare, comunicare e soprattutto togliere obsolete credenze, sarà un compito che ogni addetto ai lavori – istituzioni, giornalisti, sommelier, addetti alla comunicazione ed al marketing, produttori – dovrà mettersi all’anima di fare seriamente.
Come ogni cambiamento esige una comunicazione, una paziente campagna divulgativa al fine di far capire che bottiglia pesante non significa vino di qualità.
Si pone anche il problema del riuso, a quali costi può portare per il produttore e a come poter calibrare le imbottigliatrici delle aziende senza dover sottoporsi ad ulteriori costi.
Tutto ancora in fase di lavorazione ma
da considerare seriamente.
Sarebbe utile inoltre segnalare sulle etichette il vetro usato ed il suo peso in ogni bottiglia di vino, al fine di informare correttamente il consumatore. E quindi, produrre vino biologico è bello ma ancor più bello se si usa una bottiglia più leggera, una coerenza che dovrebbe essere adottata da ogni produttore sostenibile.

Il Locale apre le porte a FoodFellas – ed è subito cena a quattro mani

Il Locale apre le porte a FoodFellas – ed è subito cena a quattro mani

Il Locale di Firenze, in via delle Seggiole in pieno centro storico, fa ancora parlare di sé con FoodFellas, un ciclo di appuntamenti in collaborazione con Acqua Panna, S.Pellegrino, Perrier e Bibite Sanpellegrino, brand del Gruppo Sanpellegrino, che vede protagonista Simone Capponnetto, resident chef del Locale, accompagnarsi una volta al mese con prestigiosi colleghi per  grandiose scorribande culinarie sotto il segno della tradizione con l’ascendete dell’innovazione. Chef Caponnetto è in piena ascesa e nel fiore degli anni, classe 1990 ha già fatto parlare di sé per un trascorso fuori Patria che lo ha spinto sempre più in alto nella sperimentazione ristorativa, proponendo già da qualche anno, piatti originali e tesi a far sorprendere. Special Guest della serata per questa cena a quattro mani è Davide Marzullo, oggi chef di Trattoria Contemporanea a Lomazzo (Como), già insignito, nonostante la giovane età di una stella Michelin e vincitore della finale regionale Italia e Sud Est Europa, il S.Pellegrino Award for Social Responsibility. Quattro mani che messe insieme non arrivano a 46 anni, Davide è solare e divertente, affiatato meravigliosamente con il padrone di casa Simone Caponnetto, i quali non risparmiano battute e si presentano in maniera amichevole e soprattutto senza atteggiamenti da star. Intrigante ogni passo della serata, fatta di un giro del mondo in poche ore, attraverso portate di impronta fusion e perfettamente comprensibili ad ogni palato. I piatti sono stati accompagnati dai cocktails su idee di Matteo di Ienno, super star del Locale che detiene il 39° posto nella classifica dei migliori cocktail bar al mondo.

Un’esperienza che ha portato freschezza e simpatia, sia per l’originalità della mise en place, sia per il gusto giovane ed innovativo senza per questo tralasciare la tradizione. Un bel colpo di vita ed una carica emotiva che per gli appassionati enogastronomici non è passata inosservata. Ma vediamo cosa è successo, in termini prettamente culinari, durante la serata.

La partenza con gli Amuse bouche – pietanze preludio divertenti e sempre molto apprezzate – di Chef Caponnetto hanno visto il Brodo caldo di pane e parmigiano – se non sapete cos’è il gusto umami questa è l’occasione perfetta per conoscerlo – ed olio al basilico; la cozza cotta al barbecue con caciocavallo e burro piccante ne ha fatto una compagna tra un sorso e l’altro e poi una crema di cappero, brodo alla cipollina in versione gelée della quale perplime soprattutto per le belle nuances tra i colori giallo e verde. Il radicchio selvatico con una crema mandarino e cedro ha indotto a pensare ad una fresca morbidezza – scusate l’ossimoro – e poi la Dobladita – ad ispirazione guatemalteca – di pane con sgombro affumicato e salsa di ibisco. Escalibada – piatto di tradizione spagnola a base di verdure grigliate (melanzane, peperoni, cipolla) del quale Caponnetto ne ha fatto una chips croccante, hanno reso insaziabile lo stomaco. Il tutto accompagnato da un White Americano – Vermouth bianco, liquore alla genziana, top di soda, pioppino.

Sul tavolo un meraviglioso ed invitante Graal contenente una pagnotta di farina bianca affiancata da un ghiotto burro al pollo arrosto non ha sottratto la gola a perseverare nel morso. E poi Grissini alla farina del Casentino e le croccanti Streghe alla zucca con olio al rosmarino.

Chef Simone Caponnetto ha esordito con Capasanta marinata, tabulé di cavolfiore, salsa di fumento di pesce aromatizzata alla huacatay – pianta originaria del Perù chiamata anche “menta negra”. Piatto di raffinata delicatezza e dall’ottimo equilibrio che sorprende per caratteristiche di pacata audacia giovanile.

A questo piatto è stato abbinato un Viognier in purezza della costa Maremmana del Podere La Pace Nina DOC 2021

Con Chef Davide Marzullo andiamo dall’altra parte del Pianeta con il Cavolo cinese alla brace , kimchi – preparazione di origine coreana composta da verdure fermentate ed aggiunta di spezie- , salsa al burro di arachidi, polvere di cavolo cinese. Un piatto equilibrato dalla consistenza paragonabile ad una seppia sbollentata, ottimo ed anch’esso tenue. Si parte in sobrietà ma con grande eleganza.

Abbinamento: No Clouds Mexico. Tequila e Sanpellegrino agrumi, lime, lemongrass

La Sogliola ripiena di mousseline – salsa di origine olandese chiamata anche chantilly, anch’essa di sogliola – , crema al miso ed una squisita salsa alla borragine affiancata da verdure dell’orto in differenti cotture, ha visto Resident Chef Simone Caponnetto adoperarsi in un’opera di particolare precisione. La presentazione della sogliola ha ricordato un carré di vitella ed il gusto è stato inebriante: le carni, di docile sapore, si sono immerse nella salsa in armonia, sussidiate da una borragine più scalpitante.

Abbinamento: Domaine Bernard Millot Meursault Cuvée Alexie 2017

Risotto Riserva San Massimo, burro affumicato e zuppa forte – un ragù di interiora di maiale – timo limonato ci ha portato per mano nella tradizione partenopea. Chef Davide Marzullo ha dato morbidezza e scossa di sapori in un colpo solo, ottimo e goloso piatto difficilmente dimenticabile. Il risotto – il riso Riserva San Massimo è un carnaroli della provincia di Pavia – , è stato cotto e mantecato alla perfezione conferendo delicatezza e morbidezza che si sono fuse con la potenza della zuppa forte rendendolo un corpo unico di sapore. Un aspetto di Nord e Sud Italia in incredibile armonia.

Gin Sherry Fino cordial tonica Sanpellegrino

Torniamo da Caponnetto con il Piccione servito a tutto tondo e scenicamente impattante. Sul piatto il petto leggermente scottato è messo a fianco ad un mini-filetto crudo e marinato. Di lato al piatto, un elegante pentolino in rame contiene il collo del volatile con ripieno classico toscano ed immerso nel consommé anch’esso di piccione. La coscia in polpetta è stata servita con salsa in stile giapponese ed infine i lollipop – più buoni dei chupa chups! – di cuori e fegati passato nell’isomalto a renderli dolci e croccanti che anche per chi non ama le interiora sono una tentazione goduriosa e soprattutto divertente.

Abbinamento: da Bolgheri Poggio al Tesoro Mediterra IGT 2020, un bland di Syrah, Merlot e Cabernet Sauvignon

Non poteva mancare una Scatolina con una divertente caccia al tesoro contente uno scoppiettante cotton-candy al lampone e Frizzy Pazzy alla fragola a cura di chef Davide Marzullo, così come per sua mano il dessert decisamente più convincente del Sorbetto al bergamotto, mandorla siciliana, meringa e liquirizia, una dolcezza dalle sfumature sapide e perfettamente integrate con il crumble di liquirizia dal gusto dolce-amaricante.

In abbinamento il Milk Punch, rum, whisky, burro di mandorla e latte

I Petit Four, curati da Simone Caponnetto, sono stati presentati in una teca – ricordate dove era racchiusa la rosa ne “la bella e la bestia”? –  e composti da deliziosi Torroncino al caffè, Tarte al cacao con ganache di arancia e meringa. Biscotto sigaretta, cioccolato al latte e riso koji. Macaron con fichi e cacao.